Regia: Amato Federico & Event Management
Sceneggiatura: Beppe Grillo
Produttore: Marangoni Spettacolo
Casa di produzione: CASALEGGIO ASSOCIATI
Distribuzione: CASALEGGIO ASSOCIATI
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Tutti gli articoli per il giorno 30 dicembre 2011
Edipo re è un film italiano del 1967, basato sull’omonima tragedia di Sofocle, diretto da Pier Paolo Pasolini e interpretato da Silvana Mangano e Franco Citti.
Trama
Un bambino è nato da una giovane coppia italiana prima della Grande Guerra. Il padre, spinto dalla gelosia, porta il bambino nel deserto per abbandonarlo, a questo punto l’impostazione del film cambia portandosi al mondo antico. Il bambino viene salvato dal re Polibo (Ahmed Belhachmi) e della regina Merope (Alida Valli) di Corinto, che gli daranno il nome di Edipo e lo cresceranno come un figlio. Quando Edipo (Franco Citti) viene a conoscenza di una profezia secondo la quale lui ucciderà suo padre e sposerà sua madre, lascia Corinto credendo che Polibo e Merope siano i suoi veri genitori.
Sulla strada per Tebe, Edipo incontra Laio (Luciano Bartoli), il suo padre biologico, e lo uccide dopo un litigio. Dopo Edipo risolve l’enigma della Sfinge. Per liberare il regno di Tebe dalla maledizione della Sfinge Edipo viene ricompensato con la regalità e il matrimonio con la regina Giocasta (Silvana Mangano), che è la sua madre biologica. Quando scoprono quello che hanno fatto, adempiendo la profezia, Edipo si acceca e Giocasta si suicida.
Awards
Italian National Syndicate of Film Journalist
Won Silver Ribbon
Alfredo Bini for Best Producer and Luigi Scaccianoce for Best Production Design
1968
Kinema Junpo Awards
Won Best Foreign Language Film
1970
Venice Film Festival
Nominated for Golden Lion
1967
Part 2:
http://www.youtube.com/watch?v=sKnMkmS_01k
Review of Fellini’s most popular films (Le Notti di Cabiria, Amarcord, Casanova, Dolce Vita, I Vitelloni, Giulietta degli Spiriti, Otto e Mezzo)
Appearances of: Alberto Sordi, Marcello Mastroianni, Franco Fabrizi, Magali Noel, Anouk Aimee, Anita Ekberg, Donald Sutherland, Giulietta Masina… among many others.
Gene Gnocchi racconta il suo libro “L’invenzione del balcone”. Il protagonista è un venditore ambulante di siero antivipera convinto che il mondo sia finito. Finito del tutto. Ciò che resta è un’imitazione, una parodia..
Regia: Federico Amato & Natale Giampà
Sceneggiatura: Beppe Grillo
Produttore: Marangoni Spettacolo
Per maggiori informazioni visitare i siti
Giuseppe Piero Grillo: http://it.wikipedia.org/wiki/Beppe_Grillo
Blog di Beppe Grillo: http://www.beppegrillo.it/
Biografia di Beppe Grillo: http://www.beppegrillo.it/biografia.php
Marangoni Spettacolo: http://www.marangonispettacolo.it/
CASALEGGIO ASSOCIATI: http://www.casaleggio.it/
a scuola i miei insegnanti infami non mi capivano
i miei problemi..gli insegnanti sono come degli sbirri
io non finirò in galera perchè sputtano la scuola media rastignano
la mia gente era gente negativa, non me ne fotte un cazzo della gente positiva, che non mi capisce
ammazzate l’insegnante se vi punisce, non lasciate strisce
vendetta vera non finirò in galera free trucebaldazzi
vendetta vera non finirò in galera free trucebaldazzi
la mia strada è passata e mia ha ammazzato per quello che mi hanno fatto a scuola l’amicizia vera è il male estremo
siamo come dei fratelli, i pischelli in giro coi coltelli sono i miei fratelli
se l’insegnante ci punisce finisce male
l’insegnante non ti capisce..la scuola ti tradisce
vendetta vera non finirò in galera free trucebaldazzi
vendetta vera non finirò in galera free trucebaldazzi
Ma quanta arroganza si spreca,
per quali mediocri orizzonti,
il senso di vaga impotenza,
di un giorno di pioggia,
al gusto di pioggia,
in anni di pioggia.
Con quali blindate paure
confonde l’ amaro tra i denti,
l’insipido blu polizia,
di un giorno di pioggia,
al gusto di pioggia,
in anni di pioggia.
ma sai dirmi dove sei,
se ti chiedo dove sei,
ti nascondi dove sei.
Il vuoto delle tue certezze tra le tue pareti che ora
inchiodano il silenzio tra noi due disordine interiore
ma ordine nel paese prigioni tribunali cellulari o
forse chiese, paura della morte, paura della vita
paura che la vita sfuggendo tra le dita,
paura che diversa sarebbe anche possibile,
paura del diverso paura del possibile.
In quali silenzi riecheggia
la rabbia delle tue certezze,
perché non ci provi ad arrenderti
a un giorno di pioggia,
al gusto di pioggia,
in anni di pioggia
Alle redattrici, ai redattori, alle lettrici e ai lettori di Repubblica
Vogliamo invitarvi a riflettere su un argomento a proposito del quale i mezzi di informazione possono avere una grande influenza. Negli ultimi giorni, in due importanti inserti su questo giornale, sono apparse espressioni poco rispettose della “parità di genere”. Il primo è il blog del professor Arcangeli, che, interpellato da una professionista su come usare i titoli professionali al femminile, consiglia espressioni come “la ministro”; il secondo, ancora più incredibilmente, è l’appello delle donne “Per una Repubblica che ci rispetti”, le cui firmatarie, cittadine illustri di questo Paese, si definiscono: sindaco, deputato, commendatore, e sono tutte donne.
Ora, la grammatica italiana è molto chiara: i nomi in –o formano il femminile in –a. Ragazzo/ragazza, maestro/maestra. Direste mai il maestra? O il casalinga? O l’uomo infermiera? E quindi: ministra, avvocata, sindaca, deputata. Se a qualcuno ‘suona male’, vuol dire che c’è un pregiudizio, uno stereotipo che sta facendo capolino. Non è il vocabolo ad essere strano, è il suo significato. La grammatica parla chiaro, quindi il problema non è la forma, ma ciò a cui essa rimanda. Non siamo abituati a queste parole al femminile perché le donne non hanno mai ricoperto quelle posizioni. Ora che le ministre, le avvocate e le architette ci sono, usiamo le parole giuste, perché l’eccezione del vocabolo (un nome maschile con un articolo femminile) richiama l’eccezionalità del significato: finché useremo espressioni anomale per indicare le donne, la loro presenza in posizioni di prestigio sarà sempre percepita e perpetuata come un’anomalia.
E non basta: sappiamo bene che se la sindaca suona male, le sindache suona malissimo, ma ciò non vuol dire che sia sbagliato; anzi, è la conferma di quanto appena detto: se la sindaca è rara e si fa fatica a trovarne una al singolare, figuratevi quante possibilità ci sono di usare questo nome al plurale! E meno si usa, più suona strano.Quindi, coraggio: cominciamo ad usarlo!
La scelta delle parole è importante perché la lingua in cui ci esprimiamo veicola il nostro pensiero. Non siamo razzisti, e le nostre parole sono coerenti col nostro pensiero. Non siamo nemmeno sessisti: e non dovranno esserlo nemmeno le nostre parole!
Chiamereste mai “negro” un vostro conoscente di colore? E la persona che vi pulisce casa, la chiamereste “serva/o”? E il netturbino, che tutte le mattine si sobbarca l’ingrato compito di pulire le strade della città, lo chiamereste monnezzaro? È chiaro che no, perché abbiamo sviluppato la consapevolezza che questi vocaboli sono portatori di pregiudizi e li abbiamo coscientemente, volutamente sostituiti con altri più rispettosi, grazie anche all’aiuto delle istituzioni e dei mezzi di informazione, tra cui la stampa, appunto.
Da oltre due decenni studiose e studiosi italiani affrontano il problema del sessismo linguistico e concludo con le parole di una di loro, Alma Sabatini: “Quando ci si vergognerà altrettanto di essere considerati “sessisti” molti cambiamenti qui auspicati diventeranno realtà “normale”.
I cambiamento possono essere incoraggiati, se si crede in essi: questa lettera è il nostro piccolo contributo.
Post scriptum: per i dubbi linguistici relativi al femminile, esiste un ottimo strumento: Il genere femminile nell’Italiano di oggi: la norma e l’uso, realizzato da Cecilia Robustelli, docente di Linguistica Italiana all’Università di Modena e Reggio Emilia, su incarico della Direzione Generale per la Traduzione della Commissione Europea nel 2007.
Cecilia Robustelli – Il genere femminile nell’Italiano di oggi, la norma e l’uso (.pdf da sacricare)
Sottoscritto da un gruppo di lettrici e lettori diversamente impegnati nei campi dell’insegnamento scolastico e universitario, della ricerca scientifica, della cultura e della comunicazione:
Raffaella Anconetani, Docente di italiano e latino presso il Liceo Scientifico di Roma
Rossana Annacondia , Docente di materie letterarie, latino e greco – Liceo “Virgilio” di Roma
Maria Antonietta Berardi, Dirigente T. A. presso il CNR-IBF
Francesca Brezzi, Professoressa di Filosofia morale, “Roma Tre”
Marcella Corsi, “Sapienza” Università di Roma
Livia De Pietro, Prof.ssa di Lettere e critica letteraria
Aureliana Di Rollo, Prof.ra Liceo “Foscolo” di Albano L.
Maria Pia Ercolini, Docente di Geografia, IIS “Falcone” di Roma
Renata Grieco Nobile, Professoressa, Scuola Media di Riano
Alessandro Gentilini, Professore a contratto all’Università “Sapienza” di Roma
Simona Luciani, Prof.ra, Liceo “J.F.Kennedy” di Roma
Nadia Mansueto, Docente di Italiano e Latino al Liceo Classico “Socrate” di Bari
Rosanna Oliva, Presidente di “Aspettare stanca”
Maria Nocentini, Docente di Italiano e Latino al Liceo “Joyce” di Ariccia (Roma)
Cristina Sanna, Giornalista di “RomaGiovani” e Com. Pari Opportunità dell’Università Tor Vergata
Maria Serena Sapegno, Prof. di letteratura italiana ‘Sapienza’ Università di Roma
Ilaria Tanga, Radiologa, Ospedale Civile “Paolo Colombo” di Velletri
Maria Cristina Zerbino, Docente di materie letterarie, latino e greco, Liceo “Montale” di Roma
di Simonetta Losi
Una utente, a cui ha risposto Massimo Arcangeli (8 maggio, ore 22.56), ha manifestato i suoi dubbi sull’uso di buon pomeriggio,buonasera e buonanotte. Una preziosa occasione per trattare il tema in una chiave più generale.
Come si salutano, oggi, gli italiani? Nel linguaggio corrente il portabandiera delle formule di saluto, anche in virtù di una tendenza diffusa all’uso di un registro informale, è l’amichevole ciao, che si utilizza all’inizio e alla fine di un incontro fra persone che si danno del tu. Termine fortunatissimo perché breve, incisivo, facile da pronunciare con un sorriso. Una parola sempre “giovane”, tanto fortunata da dare il nome a un popolarissimo ciclomotore, molto amato dagli adolescenti negli anni Settanta e Ottanta. Eppure è un saluto antico e, nel significato originale, molto cerimonioso. Proviene dall’Italia settentrionale, più precisamente da Venezia: schiao (che si legge s-ciao) è forma accorciata – sincopata – di “schiavo”. Ciao è, dunque, l’equivalente di “servo (suo)”. Saluto informale per eccellenza, viene adoperato anche in contesti comunicativi che richiederebbero decisamente la formalità. Non è raro entrare in un negozio ed essere apostrofati da una giovanissima, sconosciuta commessa con un disinvolto: “Ciao, dimmi”; e si può sentir dire ciao a un giovane cameriere, mentre l’estraneità suggerirebbe buongiorno o buonasera. Se è vero che “ciao ciao” risulta più caldo e personale, congedarsi con un “ciao ciao ciao” è un tic linguistico sempre più diffuso; ciau, invece, un’affettata via di mezzo tra il guaito e la moina.
Anche buongiorno e buonasera si utilizzano come formule di saluto sia nel momento dell’incontro sia in quello del congedo: più formali di ciao, possono essere “stemperate” dal ricorso al registro informale. Talvolta, specialmente all’inizio di un’interazione comunicativa, si hanno forme miste come “Ciao, buongiorno” o “Ciao, buonasera”, che propongono fin da subito un tono non formale. Buongiorno si usa come saluto augurale al mattino, o comunque prima che sopraggiunga la sera. Il momento della giornata in cui si passa da buongiorno a buonaseravaria in senso geografico (tecnicamente, diatopico): in Toscana ci si saluta con buonasera già dal primo pomeriggio – con qualche incertezza verso le due del pomeriggio, specialmente in estate, quando la luce suggerisce di più l’associazione con il giorno; in Sardegna la buonasera si dà dopo aver consumato il pranzo, indipendentemente dall’ora.
Buondì equivale a buongiorno, ma dovrebbe essere rivolto a persone con le quali si ha almeno una certa confidenza. Alla sua “tenuta” ha contribuito la pubblicità, chiamando Buondì una nota merendina e sfruttando il detto popolare “Il buon dì si vede dal mattino”. Decisamente raro è buon pomeriggio, usato quasi esclusivamente – e ormai poco – in televisione.
Prendono sempre più piede buona giornata e buona serata come formule di congedo. Se quest’ultima ha un senso, la prima, rispetto abuongiorno, risulta riduttiva nonostante l’apparente maggiore estensione. Infatti il giorno è un periodo di 24 ore – considerato di solito fra la mezzanotte e la successiva –, mentre la giornata è piuttosto il periodo del giorno compreso tra la mattina e la sera.
Tono neutro per salve, un tempo augurio di buona salute, al quale oggi si ricorre quando siamo incerti sul registro, formale o informale, da usare con l’interlocutore e che può essere utilizzato in tutti i momenti del giorno per salutare all’inizio di un incontro.
Mantiene intatto il suo valore di formula di saluto buonanotte, usata nella tarda serata o prima di andare a letto. Insieme a ciao e addiopuò essere un ironico riferimento a qualcosa che si conclude, più o meno volutamente, in maniera brusca o inaspettata: “Lo hanno licenziato e buonanotte”.
Addio è un po’ in declino: è utilizzato nello standard solo come saluto enfatico, prima di una separazione definitiva. Sopravvive in Toscana, soprattutto in bocca a persone anziane, nel senso di arrivederci. Quest’ultima è una formula di saluto conclusiva e informale (o comunque meno formale di arrivederla). Può essere seguita da a presto, che si è guadagnata una certa autonomia fino a comparire da sola come saluto esprimente un’opportunità o un desiderio di rivedersi non sempre realizzabili o autentici; forme analoghe: ci vediamo, ci sentiamo, a risentirci.
Quanto a noi, a rileggerci.