Indagati i rappresentanti della casa di produzione, che però negano di aver pagato e sostengono di aver partecipato alle indagini. Al centro delle indagini la grande villa di un boss della camorra diventata nella fiction la casa stile barocco kitch della famiglia Savastano
di IRENE DE ARCANGELIS
STUCCHI, affreschi, lampadari di cristallo che si riflettono negli specchi al soffitto. Una vasca da bagno rosa che ha le dimensioni di una piscina. Mobili dorati. Il trionfo del kitsch, gusto pesante anche nei tendaggi. L’ideale per il set della serie televisiva “Gomorra”.
È la casa del boss, quello vero, che diventa la scena della fiction. Solo che poi la finzione a puntate diventa realtà, sprofonderebbe in una squallida vicenda di estorsione in cui, purtroppo, anche le vittime giocano contro la giustizia e la punizione dei colpevoli. Vicenda in cui un vincitore non c’è, perché vi inciampano anche alcuni pezzi dello Stato (due vigili urbani di Napoli) e l’imprenditoria privata
Torre Annunziata, il villone del boss Francesco Gallo, a capo del clan Gallo-Cavalieri. Lui è in carcere, continua a comandare con il tramite dei genitori Raffaele Gallo e Annunziata De Simone. Anno 2013: la società di produzione Cattleya individua quel villone pacchiano di colore rosa al parco Penniniello, lo sceglie come location delle riprese della serie Gomorra. È la casa ideale per la famiglia Savastano, protagonista della fiction di successo. Così arriva il contratto d’affitto tra la famiglia Gallo e la società di produzione: canone complessivo di trentamila euro da pagare in cinque rate da seimila.
Tutto in regola, fin qui. Ma il boss Gallo, il 4 aprile 2013, viene arrestato per associazione camorristica. Lui e la sua famiglia risultano nullatenenti, dunque quel villone, come altri beni, viene sequestrato. Interviene l’amministratore giudiziario, la Cattleya deve continuare a versare le rate a lui e non più alla famiglia Gallo. Ma è a questo punto che si imbrogliano le carte. I genitori del boss seguono le direttive del figlio in carcere, impongono alla società di continuare a pagare anche a loro le rate dell’affitto. Altrimenti, minacciano, verranno sospese le riprese con gravi perdite per la società che intanto aveva già registrato le prime puntate.
E la società, anziché denunciare, paga una seconda rata al clan. Cerca di entrare in trattative con la cosca, di fatto i suoi rappresentanti – tra cui Matteo De Laurentiis, organizzatore generale della società di produzione – negano l’estorsione ostacolando le indagini.
La brillante indagine dei carabinieri del maggiore Alessandro Amadei riesce comunque a chiudere il cerchio grazie alle intercettazioni, scopre altri dettagli, come la mazzetta pagata a due vigili urbani di Napoli per consentire alla società di girare alcune scene in strade cittadine escluse dall’ordinanza sindacale. E alla fine l’Antimafia del procuratore aggiunto Filippo Beatrice chiede nove misure cautelari. Nell’elenco – oltre ai Gallo – ci sono anche i vertici della Cattleya e i due vigili urbani. Per de Laurentiis e compagni l’ipotesi di favoreggiamento aggravato dal fine di agevolare una associazione camorristica. Ma il gip rigetta, e alla fine vengono arrestati solo il boss già in carcere e i suoi genitori.
Scrive il gip Marina Cimma a proposito del comportamento dei manager della Cattleya, accusati dalla procura di favoreggiamento personale: “Il pagamento della rata di seimila euro ai gallo non è stata frutto di libera determinazione, quanto piuttosto l’effetto di una condotta minatoria. La stessa decisione di non denunciare i fatti all’autorità giudiziaria, quanto soprattutto negare gli stessi una volta escussi a sommarie informazioni, è fortemente significativa del clima di intimidazione determinato dalla consapevolezza delle vittime della provenienza della richiesta”.
E a proposito del favoreggiamento personale nell’avvertire i Gallo dell’inchiesta in corso, un comportamento peraltro definito “riprovevole” dallo stesso gip: “La condotta degli indagati è stata finalizzata principalmente a porre fine all’ingiustificato pagamento della doppia rata”.
La Cattleya ha diffuso un comunicato: “Con riferimento alle notizie apparse oggi sugli organi di stampa, relative alla produzione della serie Gomorra, Cattleya ribadisce la sua posizione di assoluta estraneità ai fatti riportati. Il prezzo di euro 30.000 è stato pagato per la locazione della villa per un periodo di sei mesi ed è stato erogato senza subire né alcuna ulteriore richiesta rispetto alle obbligazioni contrattuali né alcuna pressione. Tale prezzo -come può confermare qualsiasi esperto di “location” cinematografiche e televisive- è del tutto congruo, vista la dimensione della villa e il lungo periodo di utilizzo”.
“La magistratura, stante l’intervenuto sequestro dell’immobile da parte della Procura competente, successivo alla data del contratto di locazione, ha peraltro autorizzato lo svolgimento delle riprese e disposto che il restante pagamento della locazione venisse effettuato, come è effettivamente avvenuto, su un conto indicato dalla amministrazione giudiziaria, in persona del nominato custode. Quanto al comunicato stampa in data odierna della Direzione distrettuale antimafia, Cattleya conferma di non essere a conoscenza di alcun ulteriore versamento rispetto a quelli effettuati dalla medesima società, con le modalità sopra precisate, in adempimento del contratto di locazione”, conclude Cattleya.