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Tutti gli articoli per il giorno 8 dicembre 2011
di Paolo Tessadri
L’aeroporto Catullo ha noleggiato diciotto olivi ornamentali per 67 mila euro: più 3.700 a pianta. L’ultimo di una serie di sperperi e assurdità di uno scalo finanziato con i soldi pubblici ma sull’orlo della bancarotta e con i lavoratori in cassa integrazione
(06 dicembre 2011)
Uno degli ulivi decorativi del ‘Catullo
‘Gli ulivi dalle foglie d’oro sono all’aeroporto Catullo di Verona. Diciotto ulivi valgono, infatti, molto più di cinquanta lavoratori e delle loro famiglie. Molti di loro sono in cassa integrazione, altri in mobilità e perderanno il posto di lavoro, ma alla Avio Handling, società controllata interamente della società aeroportuale Catullo spa di Verona, non mancano 67 mila euro per affittare diciotto olivi.
Già il prezzo pare esorbitante, ma nemmeno si acquistano: si noleggiano per decorare l’ingresso principale dell’aeroporto. Tremilasettecentoventidue euro a pianta. E nonostante questa società, alla fine di novembre, sia stata ricapitalizzata con tre milioni di euro per non chiudere.
Quasi settantamila euro mentre tutte le società del Catullo sono in profondo rosso. Anche la holding, la Catullo spa, ha perdite fortissime e non da oggi, ma da fin dal 2008. Già da anni si raschiava il barile, come denunciò ‘l’Espresso’ già quattro anni fa.
A prosciugare i bilanci ha infatti pensato in questi anni l’aeroporto di Montichiari di Brescia, dove gli addetti ci sono, ma non ci sono aerei né in partenza né in decollo. Una stazione vuota per uno spreco tutto italiano, pagata dai soliti contribuenti. La vicenda è un insulto ai soldi pubblici. Nel 2001 si dovevano rifare le piste del Catullo per lavori che dovevano durare solo alcuni mesi, ma si pensò bene di costruire un aeroporto nuovo di zecca al posto di quello vecchio militare di Montichiari. Ma dopo breve vita, l’aerostazione bresciana cessò di fatto di esistere per i passeggeri.
Un’assurdità, gridarono già allora in molti. Infatti quella costruzione e la successiva gestione sono costate 40 milioni di euro, spesi dal 2002 a oggi, e una perdita annua attorno ai 5 milioni di euro all’anno. E ora il Catullo spa, per non fare bancarotta, deve ricapitalizzarsi. Perché il terminal bresciano è di proprietà al 99,99 per cento dello scalo scaligero, le cui quote azionarie sono soprattutto in mani pubbliche al 90 per cento con la Provincia di Verona e la Provincia di Trento in testa.
Mentre Brescia è sempre rimasta alla porta, non volendosi impegnare in uno scalo gestito male dai veronesi, secondo loro. Tuttavia nessuno in queste società e nelle istituzioni ha pensato in questi anni di fermare i vari amministratori nella corsa allo spreco e al dissesto finanziario. Una delle prime conseguenze è stata il blocco del premio di risultato da tre anni per i circa 350 lavoratori delle tre società che gestiscono lo scalo veronese: la Catullo spa, la Avio e la Catullo Park.
Alcune settimane fa i vecchi amministratori sono stati costretti alle dimissioni e il nuovo presidente, Paolo Arena, ha il difficile compito di rassicurare i soci pubblici e privati sulla ricapitalizzazione e rinegoziare il debito con le banche.
Ma il ritardo è comunque inspiegabile, poiché ha portato la società madre dell’aeroporto, la Catullo spa, vicino alla bancarotta, benché i sindacati, Uil in testa, avessero denunciato il dissesto da molti anni. E il peggio è arrivato puntuale con il bilancio 2011. La sola Catullo spa ha 20 milioni di deficit e 17 di tasse non pagate e dovranno essere svalutati molti crediti, come hanno denunciato i consiglieri provinciali del Pd. Fra le quattro società, le tre dello scalo di Verona e quella di Brescia, il buco dovrebbe aggirarsi complessivamente attorno ai 70 milioni di euro, 20 mila euro di perdita ogni giorno. Una cifra impressionante, che è pesata e peserà sulle tasche del contribuente pubblico.
Intanto è arrivata una nuova grana e la procura della Repubblica di Verona ha aperto un fascicolo. Le nuove infrastrutture dell’aeroporto sarebbero prive della Valutazione d’impatto ambientale e delle relative autorizzazioni dell’Enac per attivare le procedure presso il ministero dell’ambiente per la concessione della Via.
Insomma, all’aeroporto volano gli sprechi.
Compravendita dei seggi alla Camera, scambi sotto banco per un voto, privilegi e vitalizi dei parlamentari al centro della seconda puntata, con immagini che non avremmo mai pensato di vedere.
Il tema della seconda puntata sarà la compravendita dei parlamentari. La politica è un mercato: si comprano voti, seggi, favori, nomine, schieramenti, candidature. La compravendita avviene a tutti i livelli di rappresentanza: dalle assemblee regionali e comunali ai consigli di amministrazione degli enti pubblici, alla buvette della Camera.
Chi sono i compratori? Come si definisce il prezzo? Chi fa da mediatore? Come si svolge una trattativa?
Ospite in studio Antonio Di Pietro, leader dell’IDV.
Café Tacvba, uno de los invitados nacionales del encuentro, que se realizará en marzo
Integrantes de la agrupación de Inglaterra
Jorge Caballero
Con el concepto de que el Vive Latino es de la gente y que vuelva a ser de ella, la germinal banda inglesa Madness, acompañada de Gogol Bordello, TV On The Radio, Kasabian y Foster The People, además de grupos nacionales como Café Tacvba, Enrique Bunbury, Zoé, Molotov, Kinky y DLD, entre 100 agrupaciones, integran el cartel del próximo Festival Iberoamericano de Cultura Musical Vive Latino 2012, a realizarse del 23 al 25 de marzo de 2012 en el Foro Sol de la ciudad de México.
En entrevista con Jordi Puig, productor del festival considerado más importante de su género en el mundo, dijo que convenció a Madness: Le expliqué más o menos de qué se trataba el festival, quienes éramos, qué tipo de gente asistía, y le mostré que la gente la pedía mucho, que es la banda más solicitada por los fanáticos mexicanos en la página web. El grupo sale poco de Inglaterra y se fue dando, y la labor de cinco años ahora fructificó
.
La mejores propuestas
Con la presencia de más de 100 bandas, de diferentes naciones, se escuchará en todos los rincones un intenso octanaje musical, plagado de las mejores propuestas, bandas y solistas, que año con año se dan cita en este recinto, el Foro Sol, para armar una intensa fiesta llena de ritmos, color y aromas; en esencia las palabras unidad, hermandad y paz serán las claves de esta magna celebración al rock hispanoparlante.
Como ya es costumbre, el festival contará con sus ya tradicionales tres escenarios: Indio, que estará ubicado dentro del Foro Sol; el de la cancha Palillo Martínez, que se encuentra dentro del estadio de prácticas de futbol, y la Carpa Danup. Además se contará con la Carpa Intolerante, que ha tenido gran aceptación del público, ávido de nuevas experiencias sonoras, y que ha hecho de ésta su guarida favorita para saborear los brebajes más eclécticos, que existen hoy día y son todo un agasajo para el sentido auditivo.
También, como cada año, estará presente el emblemático Tianguis Cultural del Chopo, además de El Faro de Oriente, la zona de disqueras independientes, en la que el público encontrará atractivas propuestas musicales. También habrá diferentes módulos de las ONG, la inconfundible zona de grafiti, así como áreas culturales y de divertimento y, claro, no podría faltar el mercado gastronómico, para que la comunidad roquera recargue baterías.
Vive Latino ya es una forma de vivir y pensar. Se dice fácil, pero hablar de 13 ediciones es todo un logro. Detrás de esta magna fiesta, se encuentra un sinnúmero de personas que trabajan casi un año para poder hacer realidad este rito onírico, y que todos los adictos al rock en español pasen un momento confortante e inolvidable.
Una vez más, las páginas del Festival Iberoamericano de Cultura Musical Vive Latino están listas para seguir impregnando la tinta y las líneas de lo que sucederá en esta mítica reunión, que ya es considerada la más inmensa e importante conmemoración del rock en tu idioma de Latinoamérica. Y que al paso de los años y a raíz de las mutaciones que ha sufrido –este año no será la excepción–, se ha convertido en la parte esencial de la extensa comunidad más vigorosa del rock latino.
Así, todo está listo para la decimatercera edición del Festival Vive Latino, que se realizará del 23 al 25 de marzo próximo, en el Foro Sol. Los boletos estarán en preventa Banamex los días 8 y 9 de diciembre. La venta al público en general comenzará el 10 de diciembre en las taquillas del inmueble y por medio del sistema Ticketmaster. Para consultar el cartel oficial visite la página vivelatino.
Según cálculos de Economía es de 11.25 pesos, pero en 30 ciudades se vende en más de 12
A principios del sexenio con un salario mínimo se podían comprar 8.1 kilos, ahora sólo 5.25
Susana González G.
A punto de que concluya 2011, el precio promedio de la tortilla sobrepasó los 12 pesos por kilo en 30 de las 53 ciudades monitoreadas por el Sistema Nacional de Información e Integración de Mercados (SNIIM), de la Secretaría de Economía, aún cuando según la dependencia el promedio a nivel nacional se mantiene en 11 pesos con 25 centavos.
Si esta última cifra se compara con los 6 pesos que se pagaban por un kilo de tortilla en noviembre de 2006, antes de iniciar el gobierno del presidente Felipe Calderón, resulta que el principal alimento de los mexicanos acumula un encarecimiento de 87.5 por ciento, porque de entonces a la fecha cuesta 5.25 pesos más, en promedio.
En ese entonces el salario mínimo ascendía a 48.67 pesos por día, por lo que alcanzaba para comprar 8.1 kilos de tortillas, pero con el minisalario de 59.82 pesos vigente para 2011 sólo se pueden adquirir 5.3 kilos, es decir, que hay una reducción de 2.8 kilos de tortilla en la capacidad de compra del salario mínimo en lo que va del sexenio.
Los alimentos en general se encarecieron 32.40 por ciento, pero la tortilla se incrementó 51.40 por ciento entre noviembre de 2006 y octubre de 2011, según el reporte más actualizado del índice de precios al consumidor del Instituto Nacional de Estadística y Geografía (Inegi).
Los datos sobre la inflación ubican a la tortilla como uno de los productos de la canasta básica que más han subido de precio, pero no es el único. Incluso hay otros que acumulan alzas mayores, aunque son de menor consumo, como el aceite, que subió 73 por ciento, o el huevo, en 60 por ciento.
Actualmente Mexicali es la ciudad donde la tortilla se vende más cara, a 15.40 pesos el kilo en promedio, mientras en Hermosillo se comercializa en 15.25 pesos. En otras seis ciudades (Piedras Negras, Cuernavaca, Cancún, Chetumal, Matamoros y Poza Rica) el precio promedio es 14 pesos o más, de acuerdo con los reportes del SNIIM.
En 13 pesos se vende en 12 metrópolis (Tijuana, La Paz, Campeche, Colima, Chihuahua, Acapulco, Tepic, Culiacán, Ciudad Obregón, Nogales, Villahermosa y Mérida), mientras el precio de 12 pesos todavía se mantiene en otra decena de lugares (Tuxtla Gutiérrez, Chilpancingo, Monterrey y su zona metropolitana, Querétaro, Ciudad Victoria, Nuevo Laredo, Reynosa, Boca del Río, Coatzacoalcos).
En contraste con el 56 por ciento de las zonas donde el SNIIM reporta que la tortilla se vende a más de 12 pesos por kilo, en el restante 44 por ciento se incluyen seis casos donde se mantiene un precio promedio de 8.70 pesos (correspondiente únicamente a la zona metropolitana de Puebla) o a nueve pesos o más (zona metropolitana del Distrito Federal, Durango, Toluca, Tlaxcala y Jalapa).
Sin embargo, se trata de precios promedios que el SNIIM calcula a partir de tan sólo 384 tortillerías en relación con la población de las 53 localidades seleccionadas, cuando existen 80 mil tortillerías en el país.
Así, por ejemplo, en Chihuahua, donde desde el pasado lunes se reportó un aumento de tres pesos en el kilo de tortilla para venderse a 16 pesos (aunque hubo lugares del estado donde se comercializó hasta 17 y 18 pesos), la revisión oficial sólo da cuenta de un aumento de 80 centavos al pasar de 12.60 a 13.40 entre los días 2 y 7 de diciembre.
Tortillería en el sur de la ciudad de México
Foto Jesús Villaseca
Se dispara importación de maíz
Factores internos y externos son utilizados como argumentos por las autoridades para justificar el alza de la tortilla, desde afectaciones climatológicas, como la helada que a principios de año afectó la producción de maíz de Sinaloa (considerado como el granero de México porque aporta 5 millones de toneladas anualmente) y la sequía en los meses recientes en el norte, hasta la especulación con los alimentos en los mercados internacionales, que hace afirmar a organismos multilaterales que las alzas llegaron para quedarse.
Las importaciones de maíz entre enero y septiembre de 2011 se dispararon 69.6 por ciento, al llegar a 2 mil 112 millones 440 mil dólares, cuando en igual periodo del año pasado sumaron mil 245 millones 255 mil dólares, de acuerdo con el más reciente reporte sobre el sector alimentario del Inegi.
México no importó ni pagó tanto por ningún otro cereal o alimento como lo hizo por el maíz, ya que éste por sí solo representó 12.4 por ciento de los 16 mil 970 millones de dólares del total de las importaciones hechas en los nueve meses referidos.
Ya el mes pasado la Organización de Naciones Unidas para la Alimentación y la Agricultura (FAO) reportó que México fue el tercer país que más redujo su producción de granos básicos en este año (sólo superado por Sudáfrica y Etiopía), porque de llegar a 31.1 millones de toneladas en 2010 para este año se prevé que cierre con 28.5 toneladas, lo que implica una reducción de 9.1 por ciento.
Además la FAO catalogó a México como el principal comprador de granos de América Latina al concentrar 38.4 por ciento de las 28.4 millones de toneladas que se calcula la región importará en total durante este año.
No obstante, la Secretaría de Agricultura ha insistido en que se cuenta con abasto suficiente de granos básicos y particularmente de maíz blanco, que es el que se destina para la producción de tortilla, toda vez que la producción nacional llegará a 20 millones de toneladas de este grano frente a una demanda nacional de 11 millones.
Según la dependencia la reducción anual en la producción maicera sólo fue de 3 millones de toneladas debido a las afectaciones climáticas de este año, pero reportes del Servicio de Información y Estadística Agroalimentaria y Pesquera de la misma dependencia, y del Inegi detallan caídas de entre 12 y 74 por ciento en la producción obtenida
de las cosechas de maíz de marzo a septiembre de este año.
En marzo la reducción fue de 23 por ciento en comparación con igual mes de 2010; en abril de 12 por ciento; para mayo se elevó a 67.5, subió a 74 en junio, en julio fue de 57.8, mientras en agosto y septiembre la caída fue de 34 por ciento.
Ieri sera, a Ballarò, Giovanni Floris ha chiesto ad Antonio Catricalà, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, come mai il governo non avesse imposto l’Ici anche alla Chiesa. E la risposta, ineffabile come si addice a un successore di Gianni Letta, è stata: “Non abbiamo avuto tempo di pensarci e di studiare la questione”.
Eppure, le telecamere hanno seguito Monti ogni domenica mentre andava a messa. Un buon numero di ministri, da Balduzzi e Ornaghi e Passera e Profumo, sono dei notori baciapile. Questo governo fa una tale confusione fra Stato e Chiesa, che un sottosegretario si è addirittura fatto il segno della croce al momento del giuramento. E ci vengono a dire che non hanno avuto tempo di pensarci, e di studiare la questione?
Tra l’altro, non è che il problema dei costi della Chiesa si sia posto solo ora. A pensarci hanno avuto tempo proprio tutti, a parte il governo. Persino il faccendiere Denis Verdini, coordinatore del Pdl, ha dichiarato a Un giorno da pecora che sarebbe giusto che l’Ici fosse estesa agli immobili della Chiesa. E Maurizio Crozza ha notato a Ballarò che questo sarebbe un modo per rendere la manovra più equa, visto che il cardinal Bagnasco aveva pontificato che non lo era.
Quanto a studiare il problema, ci ha pensato proprio in questi giorni l’Uaar, che ha pubblicato sul portale http://www.icostidellachiesa.it i risultati. La cifra documentata e annotata, voce per voce, è di almeno 6 miliardi di euro. In difetto, ovviamente, visto che ad esempio l’esenzione dall’Ici viene valutata solo mezzo miliardo, mentre la stima diBallarò era di 700 milioni, per un capitale immobiliare valutato a 1.200 miliardi!
Ma se quello con la Chiesa è il conflitto di interessi più evidente del governo, quello con le banche non è meno reale, nonostante tutte le assicurazioni di Passera, ripetute ancora ieri sera a Porta a porta. Ad esempio, l’Ici per gli edifici di proprietà dei comuni cittadini sarà rivalutata del sessanta per cento, ma quella per gli edifici di proprietà delle banche no. E, come se non bastasse, sarà lo Stato a garantire le loro passività, con scadenze fino a cinque anni, e le obbligazioni da loro emesse, fino a sette.
Per par condicio, visto che un ministro banchiere lavora per le banche, un capo di stato maggiore della difesa lavorerà per la difesa degli interessi dello stato maggiore. Puntualmente, l’ammiraglio Gianpaolo di Paola ha escluso stizzito che si possa pensare di congelare e annullare le commesse del centinaio di cacciabombardieri F35, e del centinaio di caccia Eurofighter Typhoon, ammontanti a 25 miliardi di euro.
Non c’era dunque bisogno di chiedere piangenti sacrifici ai cittadini normali. Bastava imporli sorridenti a preti, banchieri e militari, per ricavare molto di più non solo in termini finanziari, ma anche di credibilità e di equità. Ma per poterlo fare, al governo ci sarebbero dovuti essere cittadini normali, e non bigotti, banchieri e militari, in continuità con la politica dei conflitti di interessi che ha caratterizzato l’ultimo ventennio.
Solo a Roma ci sono 23mila tra terreni e fabbricati. Cresce la protesta per l’esclusione delle proprietà ecclesiastiche dall’Ici. Che potrebbe fruttare fino a tre miliardi l’anno. Ieri una ventina di deputati del Pd ha presentato una proposta di legge per estendere la tassazione ai beni di oltre Tevere. Ma riscuotere è quasi impossibile
di ETTORE LIVINI
QUASI 160mila persone in fila su Facebook nel gruppo “Vaticano pagaci tu la manovra”. Un fiume di messaggi (venti al minuto ieri sera) su Twitter alla voce Ici-Chiesa.
IL TESTO DELLA MANOVRA 1 / DOSSIER LE MISURE 2
La manovra Salva-Italia ha riaperto una ferita mai chiusa: quella delle esenzioni fiscali della Santa Sede Spa. Il loro valore reale è materia di discussione accademica: 3 miliardi l’anno dicono i Radicali (che nel mazzo infilano anche il miliardo dell’8 per mille). Poche centinaia di milioni – rispondono oltreTevere – meritatissimi da chi tra oratori, mense e servizi di assistenza finisce per tappare (gratis) i buchi del welfare pubblico.
Guida alla manovra, 24 pagine da sfogliare 3
Unica certezza: la Ue ha aperto un’indagine per aiuti di stato sulle leggi salva-Vaticano: l’esenzione-Ici per le realtà no profit (laiche e cattoliche) e lo sconto del 50% sull’Ires per associazioni di assistenza e beneficenza.
Una norma utilizzata in qualche caso da suore e preti – sospetta la Ue – per far funzionare ospedali, scuole e hotel facendo concorrenza ai privati. Il capitolo più delicato, come testimonia il dibattito in rete, è quello dell’Ici-Imu. La stangata sulla casa costerà 11 miliardi agli italiani. E in molti chiedono che anche la Chiesa faccia la sua parte: ieri lo hanno fatto con una proposta di legge venti deputati Pd.
Vaticano Real Estate
Quanto vale il patrimonio immobiliare della Chiesa? Una stima reale non esiste. I beni del Vaticano sfuggono a qualsiasi radiografia catastale. L’Amministrazione del patrimonio della Sede apostolica (Apsa), l’ombrello ufficiale del mattone di Dio, ha a bilancio beni per soli 50 milioni, ma si tratta di valori storici inattuali. In realtà ogni congregazione è un piccolo impero immobiliare a sé, in costante metamorfosi: solo a Roma, per dare un’idea, ci sono circa 10mila testamenti l’anno a favore del clero.
Secondo il Gruppo Re, una società che gestisce immobili per gli enti ecclesiastici, il 20% del real estate italiano fa capo in un modo o nell’altro a realtà religiose. Le stime di settore parlano di qualcosa come 115mila immobili, quasi 9mila scuole e oltre 4mila tra ospedali e centri sanitari. A Roma sotto il cappello del Santa Sede ci sono 23mila tra terreni e fabbricati, 20 case di riposo, 18 istituti di ricovero, 6 ospizi. Solo il patrimonio di Propaganda Fide – finita nell’occhio del ciclone per la gestione disinvolta dei suoi appartamenti – vale qualcosa come 9 miliardi.
Un impero (quasi) esentasse
Le attività commerciali svolte da enti e realtà riconducibili alla Chiesa – l’ha ribadito ieri “L’Avvenire” – “sono tenute a pagare l’Ici e lo fanno. E chi non lo fa merita di essere sanzionato”. Vero? Purtroppo è difficile dirlo. Perché la legge al riguardo è ambigua. Il Governo Berlusconi nel 2005 aveva esentato dall’imposta tutti gli immobili di enti no-profit senza distinzioni sul loro utilizzo. La minaccia di un’indagine Ue aveva convinto l’esecutivo Prodi a limitare il beneficio agli edifici “che non hanno esclusivamente natura commerciale”. Il problema è l’avverbio.
Nessuno, nemmeno quei mangiapreti dei Radicali, pretende che oratori e parrocchie paghino l’Ici. Nel mirino c’è l’immensa zona grigia in cui si trovano migliaia di altri beni della Santa Sede. Palazzi e ville trasformati in alberghi. Scuole private e ospedali che fan concorrenza a prezzi salatissimi con il pubblico. Oratori diventati palestre Vip. Oppure le 214 case per ferie censite sul sito di Roma Turismo, punta dell’iceberg di quel business del turismo religioso che nella capitale – come lamenta Giuseppe Roscioli, presidente di Federalberghi Roma – muove 10mila posti letto e 700 milioni di giro d’affari l’anno. Senza il fastidio dell’Ici.
La guerra in tribunale
Di casi come questi ce ne sono a migliaia in tutta Italia. La Cassazione ha obbligato l’Alma Mater, la clinica delle Suore infermiere dell’Addolorata di La Spezia, a pagare 38.327 euro di Ici perché lavorava a fine di lucro con pazienti privati. “In Provincia abbiamo un centinaio di situazioni di questo genere”, racconta Paola Michelini, assessore al bilancio della città ligure. Cagliari ha spedito a decine di enti religiosi cartelle esattoriali (“tutte oltre i 50mila euro”, dicono all’ufficio tributi) secondo un criterio semplice: nessuna richiesta alla scuola privata che accoglie i bimbi a rischio del tribunale dei minorenni.
Avvisi di riscossione invece a realtà come l’istituto Infanzia Lieta, dove si pagano fior di rette in concorrenza con la scuola pubblica o alla Casa della Studentessa delle Figlie di San Giuseppe, “130 camere usate d’inverno per le figlie delle famiglie più ricche e d’estate per i turisti”. Le cartelle finiscono di solito in tribunale. E l’equivoco sulla natura “non esclusivamente commerciale” ha portato a una giurisprudenza confusa sull’argomento.
La posta in ballo
Quanto vale l’Ici (o l’Imu) non pagata sugli edifici della Chiesa? Anche qui dipende dall’avverbio. L’ufficio studi dell’Anci ha stimato qualche anno fa un gettito potenziale di 400-700 milioni di euro. L’Associazione ricerca e sviluppo sociale (Ares) si è spinta fino ai 2,2 miliardi.
Luca Antonini, presidente della Commissione attuazione del federalismo fiscale, è più prudente. “Un’elaborazione del Tesoro fatta incrociando le dichiarazioni degli enti non commerciali con Irap e Iva, stima un gettito Imu di 70-80 milioni dal patrimonio ecclesiastico davvero “commerciale””. Il discrimine è il solito: l'”esclusivamente”. Propaganda Fide e Apsa sono il secondo e terzo contribuente tra gli enti non commerciali a Roma, per carità. Ma solo un po’ di attività d’indagine del Comune della capitale sull’effettivo utilizzo degli edifici ecclesiastici ha portato dal 2005 ad oggi al recupero di 9,3 milioni di tasse.
INTER-CSKA MOSCA 1-2 (0-0)
INTER (4-4-2): Castellazzi, Nagatomo, Ranocchia, Samuel, Chivu (1′ st Caldirola), Faraoni, Zanetti, Cambiasso, Obi (25′ st Alvarez), Coutinho (1′ st Zarate), Milito. (21 Orlandoni, 48 Crisetig, 8 Thiago Motta, 7 Pazzini). All.: Ranieri
CSKA MOSCA (4-4-2): Gabulov, Nababkin, V. Berezutski, Ignasevich, A. Berezutski, Oliseh (31′ st Cauna), Semberas (31′ st Aldonin), Mamaev, Dzagoev, Vagner Love, Doumbia (91′ st Shennikov). (1 Chepchugov, 5 Vasin, 25 Rahimic, 59 Fedotov). All.: Slutsky
ARBITRO: David Fernandez Borbolan (Spagna)
RETI: nel st: 5′ Doumbia, 6′ Cambiasso, 42′ V. Berezutski
ANGOLI: 8 a 6 per il Cska Mosca
RECUPERI: 1′ e 3′
AMMONITI: Semberas, Mamaev, Nababkin, Caldirola per gioco falloso
SPETTATORI: 13.241
INCASSO: 213.286,40
VILLARREAL-NAPOLI 0-2 (0-0)
Villarreal (4-4-2): Diego Lopez 5.5, Angel Lopez 6, Zapata 5 (30′ st Gonzalo Rodriguez sv), Musacchio 6, Oriol 6.5, De Guzman 5.5, Senna 6.5 (28′ st Joselu sv), Bruno Soriano 6, Perez 6, Nilmar 5.5 (19′ st Camunas sv), Ruben 6. (1 Cesar Sanchez, 14 Gaspar, 5 Marchena, 26 Gullon). All.: Garrido.
Napoli (3-4-2-1): De Sanctis 7, Campagnaro 7, Cannavaro 7, Aronica 6.5, Maggio 6, Inler 6.5, Gargano 6, Zuniga 5.5 (47′ st Grava sv), Hamsik 7.5 (33′ st Dzemaili sv), Lavezzi 6.5, Cavani 5.5 (37′ st Pandev sv). (83 Rosati, 21 Fernandez, 8 Dossena, 19 Santana). All: Mazzarri.
Arbitro: Moen (NOR) 6.
Reti: nel st 20′ Inler, 32′ Hamsik.
Angoli: 14-5 per il Napoli.
Recupero: 1′ e 5′.
Spettatori: 10 mila.
Espulsi: Mazzarri (8′ st) per aver spinto Nilmar dopo che la palla era uscita in fallo laterale.
Ammoniti: De Guzman, Zapata, Perez, Angel Lopez e Campagnaro per scorrettezze.
Enrico Mentana parla della cattura del boss dei Casalesi Michele Zagaria con Roberto Saviano, collegato da New York
l u c a t l e c o 