Alzati e cammina per scoprire di essere vivo come non mai
Lazzaro stamattina
e resuscita un pezzo alla volta la volontà
ora che sei un’emozione scaduta
ora che sei una certezza tradita
ora che sei un’embizione svenduta
chiuso nel tuo sepolcro
quello che avevi oggi non vale più
hai studiato, creduto, lottato e sofferto
c’era un sorriso negli occhi non c’è più
col futuro qualcuno ha giocato d’azzardo
alzati e cammina per scoprire di essere come non mai
Lazzaro
stamattina e resuscita un pezzo alla volta la volontà
ora sei una protesta ammaestrata
ora che sei una carezza svogliata
ora che sei una speranza piegata
chiuso nel tuo sporco
alzati e cammina
per scoprire di essere vivo come non mai
Lazzaro
stamattina e resuscita un pezzo alla volta la volontà
un pezzo alla volta
un pezzo alla volta
ci hai creduto oggi c’è un più
hai discusso sprecato amato sofferto
un’ipoteca sulla tua dignità
sei un crudele silenzio delle notti insonni
alzati e cammina
per scoprire di essere vivo come non mai
Lazzaro
stamattina e resuscita un pezzo alla volta la volontà
un pezzo alla volta
un pezzo alla volta
c’era un volta non c’è più
mentre l’unica che resta davvero sei tu
Solo domenica
è stupido pensare al tempo perso
a ciò che non so fare
a ciò che non so dire se non mi va bene
al mio stare male
che in fondo un po’ mi piace per le tue attenzioni
tra le tue mani
anche un uomo morto sa come guarire
la razionalità non fa per me
fingo di starci dentro
ogni giorno è un tormento
resta solo il rimpianto
quello che non mi dirai
sei tra il cielo e l’asfalto
tra il calore e la gravità
Nevica
ma il mio viaggio verso il sole inizia ora
ho un mal di testa
se penso alle mie scelte prese come botte
se penso a quanto è facile fare progetti
quando il cielo è limpido
all’aria che ti manca se le storie non finiscono
come credevi tu
resta solo il rimpianto
quello che non mi dirai
sei tra il cielo e l’asfalto
tra il calore e la gravità
resta solo un rimpianto
quello che non mi dirai
sei tra il cielo e l’asfalto
tra il calore e la razionalità
la razionalità non fa per me
fingo di starci dentro
ogni giorno è un tormento
quello che non mi dirai
tra il calore e la gravità
Con la chiave apro la porta, con la scala sfrutto la forza di gravità, con la strada non mi perdo. Mi aggiro per Lubiana: non capisco una città solo passandoci il finesettimana, men che meno quando la mia padronanza della lingua slava è limitata ai termini come “umri”, “dobrot”, “crkni”, “voda”, e il mio blocco d’imbarazzo m’impedisce di gettarmi in un discorso in finto inglese, rischiando che le mie richieste siano troppo complesse rispetto alle poche parole sentite e lette nella lingua del yes. Cerco una panetteria con prodotti e prezzi ben esposti, in modo da potermi esprimere a gesti, versi, sgranate d’occhi. Quando sono accompagnato mando avanti gli altri, poi mi inserisco nei contesti. Ho problemi a chiedere persino in italiano, che irrisolti, ma tappati con degli espedienti, si ripresentano con degli accenti già quando gli abitanti parlano dialetti. Compro dolci austroungarici facendo gesti con le dita. Ieri sera sotto il palco la gente era molto ricettiva, e questo basta a compensare la diversità linguistica con la disattenzione di molti conlinguanei, che costruiscono muri con l’onestà intellettuale, con un’idea impersonale di spontaneo e naturale. Se qualcosa non vi è chiaro, fate domande, non fate discorsi! Generazioni intere di devoti dei dualismi, generazioni intere di devoti delle generazioni – sono le barriere dei patriarchi nei confronti di noi maghi. Voi non siete persone, non siete dialoghi, siete solo allenamento costante per me che so già di cosa sto morendo, io che sono consumato nel nervo, non nel nerbo, genero forza motrice anche dal vento e dalla forma di un cumulonembo, da questo strudel caldo pieno di semi di papavero. Mi perdo nei vicoli di queste case ignote, con le tegole quadrate, sottili, sfasate. Strada principale, negozi come ovunque, cielo grigio perla. Qualcuno parla, commercia, tratta. Levo il filtro dell’esotico, immagino che questa sia la mia città natale, le strade che frequenterei, le case lungo il fiume. Chi sarebbero i miei amici se io abitassi qui? Quali mezzi pubblici preferiti? Quali luoghi nascosti obliqui? E con quale lingua renderei i miei pensieri comprensibili? Quanti mesi – anni? – per adattarmi agli abitanti? I miei sacchetti di leccornie comandano i miei passi, mi dicono: “smetti di immaginarti. Torna a fare colazione con gli altri, ricaricati e riparti!” I miei ritorni sono i percorsi contrari e rovesci di quelli appena fatti e, mentre sono a pochi angoli dalla casa dei miei ospiti, la mia sorpresa si trasforma in elemento: diventa il cappotto giallo indossato da un veloce soggetto fatto di capelli, collo, gambe, passo, e un colore intenso e scelto, un panno morbido, deciso, caldo, avvolge un corpo che non identifico in altro modo se non “ragazza”. Non faccio a tempo a perdermi nelle opinioni inutili sulla bellezza per la troppa fretta, ma vorrei fermarla e dirle che la sua scelta determina molte più cose delle caratteristiche fisiche a lei date dall’ordine spontaneo e naturale. Non riesco a fermare una ragazza così, dal niente: temo sempre che non capisca quel che io voglio da lei, temo sempre che sovrapponga i pensieri degli altri ai miei, e poi, in inglese, a gesti, potrei soltanto fare disastri… cosa dico? Excuse me miss, hey girl! I saw you walking on this little street, strictly for fit. I want only tell you that I was impressed by the color of your long jacket: I think that the choice of a color for a girl is more important than the somatical beauty, because you can choose the color of your clothes, but you can’t choose the shape of your nose. I love your human side, that is best expressed in this warm yellow. Sì, è molto stupido, però, adesso che ci penso, avrei molta più difficoltà a spiegare la magia in italiano, a un italiano, quindi, in rapporto alla magia, posso fare qualunque cosa, anche toccare un ragno, o presentarmi a una ragazza, anche toccare una ragazza, presentarmi a un ragno.
Un amico si presenta a casa mia alle quindici e trenta. Porta con sé la sua ragazza. Il campanello suona: io apro, loro entrano. Si accontentano di succo di frutta e biscotti. A volte mi capitano dei pomeriggi vuoti, che occuperei guardando cartoni animati, giocando con i videogiochi. A volte questi pomeriggi vengono solcati dai volti noti. Seduti al tavolo, io, un mio amico, una ragazza, un aggettivo possessivo: sua. Lei è zitta. Seguo la conversazione con gli occhi. Io mi chiedo cosa lei stia pensando. Il suo ragazzo mi chiede di tenerla d’occhio per qualche ora fino al suo ritorno: deve andare in qualche posto, vuole disfarsi ad ogni costo di questa occhi da cerbiatto. Io accetto. L’amico mi saluta, esce, chiude uno sportello, consapevole del fatto che, fidandosi del sottoscritto, ha vinto un viaggio di qualche ora, lontano da una persona con cui non parla tanto. E siamo qui: mi giro e la osservo. Il suo sguardo è vuoto come il mu, in questa casa non abbiamo la TV, e questa tipa straripa di una voglia matta di avere un dialogo, di aprire la bocca. Lo capisco dal fatto che finora è stata zitta. Io non sono un vero uomo, sono un parcheggio, dove gli uomini si fidano a lasciare le loro donne in macchina ad aspettare. Ed io non sono un parcheggio, sono una scavatrice. Schiaccio le vostre auto vuote, pulite. Scarico lavastoviglie tra il volante e il parabrezza. Ti piace questo mio modo di fare? Io ti sfondo la Golf in modo irreparabile, poi mi prendo la tua colf sessuale, e ci mettiamo a parlare fino a che non si riempie. Il cerbiatto di cui sopra non si distingue. Non arriva ai ventiquattro o ai venticinque. Storia dell’arte, comunicazione, oppure lingue. Io dico: bene, adesso il tuo ragazzo si è dileguato nel niente, lui adesso non c’è, giochiamo alle signorine che prendono il tè? “Cosa intendi?” Voglio dire che nella mia testa c’è un interruttore che quando voglio bypassa a comando ogni interesse di natura sessuale. “Ma così diventi gay!” Ma così diventi stupidina! La persona omosessuale è un’invenzione cattolica, che inscatolava dei comportamenti normali per gli esseri umani, per poter dare un’identità al male e arrostire dei poveri cristi, che oggi chiedono diritti come tutti, e che spesso fomentano i dualismi. Al posto di distruggere dei generi, ne creano di sempre più fissi. Nuovi stili nei sessismi. È per integrarsi tra i generi diversi che io spengo i miei interessi imposti e mi concentro sugli individualismi. Mi individui? Voglio solo tu capisca che non sto cercando di provarci. “Sì ma non c’era bisogno di farmi questo discorso!” Ammetto che forse la mia spiegazione è un eccesso di zelo, che mi rende più ambiguo, e tu capisci di meno, ma ne ho bisogno, perché io cerco di tenere esposto quello che gli esseri umani di solito tengono dentro e nascosto. “Mi piace, ho capito. Premi quel pulsante, spegni gli interessi con un dito. Per qualche motivo adesso mi fido, anche se sembri costruito. Ora sono serena.” Molto bene. Ora possiamo andare insieme a spaccarci di tè e paste alla crema fino alle sei di sera. Così mi spieghi quello che non capisco del tuo ragazzo, che è mio amico. Divertimento uguale merenda, amiche, discorsi sull’amore. A volte invento aneddoti falsi come questo in cui l’ascoltatore possa calarsi, per spiegargli dei fatti di cui non potrebbe capacitarsi. È questo il mio cyberpunk! In un futuro presente senza passato, senza nemmeno una macchina volante, o un espediente narrativo che possa buttarti nel mondo nuovo di Aldous Huxley. Io sono qui che m’impegno, non per affermarmi, ma per avvisarti che ci sono umani diversi da quelli che puoi trovare informandoti. Sbiadisco l’immagine di me stesso e del cerbiatto che mangiamo dolci dallo stesso piatto. Rimango solo io che parlo, quasi contento, con questi suoni intorno, sopra, sotto. Nessun canone, nessun contesto. Questa non è musica, è un artifizio spontaneo di qualcuno che vede oltre l’umano. Piano piano arreda il vuoto. “Ma il vuoto non lo puoi arredare!” Dai, cerbiatto, fammi dire le mie stronzate da mago!
Come se, ogni giorno
fosse uguale a quello prima
fosse come il giorno prima.
In questa notte che il nome ho scordato,
in questi giorni che il nome ho scordato,
sento le voci da DIETRO LE SBARRE,
sento le voci entrare NEL FERRO,
in questi giorni c’è un pensiero che non penso,
in questa notte C’E’ UN SUONO CHE NON SENTO,
questa condanna si stringe al cuscino
e non so il PERCHE’.
In questi giorni d’inchiostro LEGALE
c’è una menzogna tagliata a verbale,
che assurda non trova DISSENSO,
gioielli di stato MANETTE d’argento,
per potere respirare in cortile
con il RESPIRO attaccato alle suole
e come un arcobaleno in un forno
che aspetto IMPAZIENTE il mio nuovo giorno.
Come se, ogni giorno
fosse uguale a quello prima
fosse come il giorno prima.
Son giorni che ti stan passando attraverso
in giorni che nessun colore é diverso
È stato un solco
tracciato all’improvviso
senza certezze,
senza prudenza
nell’ annusarci
d’istinto e di stupore,
in un crescendo
che ha dell’ irregolare.
Forse l’attesa
ci ha visto troppo soli,
forse nel mondo
non sapevamo stare
così distanti
ad aspettarci ancora.
Così prudenti,
così distanti,
così prudenti.
Sei il suono, le parole
di ogni certezza persa dentro il tuo odore.
Siamo gli ostaggi di un amore
che esplode ruvido
di istinto e sudore.
È stato un lampo
esploso in un secondo
a illuminarti in un riflesso,
quando temevi
tutta la luce intera,
l’iridescenza
della tristezza.
Probabilmente
lasciandomi cadere
a peso morto
al tuo cospetto
avrei sicuramente
permesso la visuale
sulle mie alienazioni,
sui miei tormenti,
sui miei frammenti.
Ma voglio che tu
tu piano piano scivoli dentro me,
ma voglio che poi
nell’insinuarti sia incantevole.
Ma voglio che tu
tu piano piano faccia strage di me
in un incerto compromesso
tra la mia anima e il suo riflesso.
Sei il suono, le parole
di ogni certezza persa dentro il tuo odore.
Siamo gli ostaggi di un amore
che esplode fragile
di istinto e sudore.
Quanti graffi da accarezzare
per tutti i cieli che possiamo tracciare,
tutte le reti del tuo odore
dentro gli oceani che dobbiamo affrontare.
Ma voglio che tu
tu piano piano scivoli dentro me,
ma voglio che tu
nell’insinuarti sia incantevole.
Ma voglio che tu
tu piano piano scivoli dentro me,
ma voglio che tu
nell’insinuarti tu sia incantevole.
Ma voglio…
Son 7000 giorni che io vago qui dentro
Entro tiro i dadi, al gioco mi sono perso
La testa rasata i boots ai piedi
Il primo palco il pogo adrenalina e occhiali scuri
Said are you ready, said are you ready to roll,
Si sono pronto scommetto quello che ho
Said are you ready, said are you ready to roll,
Si tiro i dadi mi gioco quello che ho
GIOCO TUTTO AL CASINO ROYALE
I BET AGAIN ON THE ROYALE’ SOUND
La tattica l’hai scelta ma è la sorte che ti sceglie
Rosso e nero vince suono sul tappeto verde
Vince l’altro perde e prende il posto di quell’uno
dopo un tot di mani sono scomparsi uno ad uno
GIOCO TUTTO AL CASINO ROYALE
I BET AGAIN ON THE ROYALE’ SOUND
Ed è la sorte che si accetta, vivendo ciò che sarà
Ed è la sorte che si afferra, sfruttando quello che da, ti da
Ed è la sorte che si sfida cercando il suono che vuoi, che sei
Ed è la sorte che ti sfida, gioca le carte che hai, ora
GIOCO TUTTO AL CASINO ROYALE
I BET AGAIN ON THE ROYALE’ SOUND
Speaker da montare uno sopra l’altro
Prima di suonare costruire il palco
La posta che si alza la pressione che sale
Chi stava bleffando ha preferito mollare
Il tipo dietro il banco sfida: fate il vostro gioco
Fanno il loro gioco, questo è il nostro gioco,
cambiare il nostro suono, sale su la posta in gioco
e noi rischiamo il nostro culo
GIOCO TUTTO AL CASINO ROYALE
I BET AGAINT ON THE ROYALE’ SOUND
GIOCO TUTTO AL CASINO ROYALE
I BET AGAINT ON THE ROYALE’ SOUND
Directed by Leandro Manuel Emede + Nicolò Cerioni / SUGARKANEstudio
Produced by Art + Vibes / Executive producer Max Brun
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Vinicio Capossela