dal nostro inviato MATTEO PUCCIARELLI
CASTELVETRANO (TRAPANI) – Nino Pipitone si asciuga le lacrime dopo il pianto, sono passati 65 anni “ma non c’è nulla da fare, ogni volta è così”, spiega la moglie. Il papà Vito era un sindacalista comunista della Federterre, aveva 39 anni; Nino solo quattro, eppure si ricorda tutto, quella sera voleva montare sulla canna della bicicletta per fare un giro insieme. “Torno presto, aspettami”, e invece la mafia tempo per aspettare non ne aveva, i braccianti non dovevano ribellarsi. Di sindacalisti in quegli anni ne uccisero almeno 35. Senza dimenticare la strage di Portella della Ginestra.
Pipitone – bracciante anche lui, umile ma fiero – ha in mano una poesia scritta qualche anno fa pensando alla sua storia da una studentessa di un istituto per geometri della vicina Petrosino, si chiama Il fanciullo e la fa leggere a tutti: “Non c’è età per il dolore – ed è proprio quest’ultimo che fa sì che il tempo si fermi – e quell’uomo rimanga il fanciullo orgoglioso del padre”. Se mai è possibile immaginare un corso accelerato di antimafia accessibile a tutti, allora questo è il posto giusto: quindici persone (sono studenti, impiegati, avvocati, giornalisti, pensionati), una settimana nel campo di lavoro e studio organizzato da Libera insieme a Coop Lombardia nei luoghi confiscati alla mafia. Nelle campagne di Castelvetrano si produce l’olio Nocellara del Belice, ma qui soprattutto è dove è nato e dove vive la famiglia dell’ultimo super boss, Matteo Messina Denaro.
Per gli organizzatori dell’associazione fondata nel 1995 da don Luigi Ciotti il “corso” è ormai un classico, pronti come sono ad accogliere i volontari che arrivano da tutta Italia (e che vengono spediti nei campi di tutta Italia): 31 i “corsi” attivi coordinati direttamente da Libera ed altri 21 in collaborazione con altri soggetti aderenti a Libera, tra cui Legambiente e Arci. Complessivamente nel 2013 una presenza di circa 6.000 volontari, la maggior parte dei quali donne. Il numero dei partecipanti e dei campi cresce di anno in anno perché di anno in anno aumenta il numero dei beni sottratti alla criminalità organizzata. Ci sono quelli dedicati esclusivamente ai giovani; ma anche altri concordati con aziende diverse (Telecom, Coop, Unipol) che decidono di coinvolgere i propri dipendenti o soci. Dal prossimo anno, poi, verranno organizzati anche per le famiglie. Alcuni in luoghi spettacolari anche dal punto di vista naturalistico, come sull’isola dell’Asinara, a due passi da carcere bunker di Cala d’Oliva, dov’era rinchiuso Totò Riina. “Solitudini, memorie e narrazioni”, si era chiamato l’ultimo campo a ridosso di settembre. Ma che sia la Sicilia o che sia la Sardegna, per i partecipanti che scelgono la vacanza alternativa sono sette giorni in cui – sembra impossibile ma non lo è – un po’ ci si sente in caserma e un po’ in un centro sociale: il programma delle cose da fare, delle cose da vedere e dei luoghi da visitare è concentratissimo.
Sveglia alle 6.30. La mattina si prende confidenza coi vecchi arnesi: le zappe, la falce, le vanghe e le carriole. Venti ettari di bosco in contrada Canalotto. In mezzo alla ex proprietà del boss palermitano Gaetano Sansone c’è un’enorme struttura ormai fatiscente, quella che doveva essere una villa a metà tra una vecchia masseria e un esibito sfarzo alla Scarface. È stata confiscata e assegnata proprio a Libera. La missione è ripulire un appezzamento di 2mila metri quadrati, pieno di rifiuti e con l’erba alta che arriva alla vita. E alla fine piantumare 15 ulivi, uno a testa, ognuno dei quali verrà intitolato a una vittima delle mafie, che sia Cosa Nostra o la Sacra Corona Unita non importa. Nomi sconosciuti ai più: uomini delle scorte, tante donne, bambini.
Da quando la proprietà è cambiata a intervalli regolari “qualcuno” arriva e brucia interi appezzamenti di terra, l’ultima volta accadde a giugno, con tre roghi simultanei in altrettanti campi confiscati della zona. “Ma evitiamo di fare del vittimismo – dice Salvatore Inguì, coordinatore dell’associazione a Trapani – noi denunciamo tutto alle autorità, però spesso non lo diciamo neanche alla stampa locale. Ché poi sembra di piangerci sempre addosso, non possiamo dare questa immagine”. L’immagine da dare, il messaggio da far veicolare è invece un altro: “I beni sottratti alla mafia possono diventare opportunità di lavoro, di economia sana e trasparente. Il cambiamento culturale parte anche da qui”. Così il pomeriggio si visitano anche gli imprenditori e le cooperative antimafia. Alcune crescono e si sviluppano, come la “Centopassi – Placido Rizzotto” di San Giuseppe Jato: produzione di vino e di altri prodotti biologici, un accordo commerciale con Coop che garantisce una bella fetta di fatturato. Altre soffrono, come la Calcestruzzi Ericina di Trapani, perché non è facile competere sul mercato quando fai tutte le cose in regola, a differenza dei concorrenti.
E poi i luoghi: il casolare dove gli uomini di Giovanni Brusca sciolsero nell’acido il 12enne Giuseppe Di Matteo, figlio del pentito Santino, ora diventata un museo quasi sempre chiuso. Sul lungomare di Erice dove scoppiò una bomba che voleva uccidere il giudice Carlo Palermo; lui e la scorta si salvarono, ma ci rimisero la vita Barbara Asta con i gemellini Giuseppe e Salvatore, colpevoli di ritrovarsi con la macchina dietro a quella del magistrato. Dei bambini ritrovarono solo i piedi a qualche decina di metri.
“Grazie di essere venuti”, ripetono tutti, che siano semplici attivisti antimafia, magistrati, parenti delle vittime della mafia incontrati in questi giorni. “Raccontate di noi una volta a casa”, aggiungono alla fine di ogni incontro. Sembra poco ma in realtà il grande successo degli ultimi anni e su cui Libera ha puntato molto è stato quello di spingere protagonisti diversi e spesso inconsapevoli della lotta alla mafia a raccontare di sé e a ritrovarsi. Dopo anni, anzi decenni, di silenzio e di paura. Un’altra parola che viene utilizzata senza vergogna, perché “c’è il dovere di avere coraggio, ma anche il diritto di avere paura”, ammette Gregory Bongiorno, presidente di Confindustria Trapani e imprenditore nel campo dei rifiuti che pochi giorni fa ha denunciato e fatto arrestare chi gli chiedeva il pizzo. Negli anni scorsi aveva pagato. Poi ha detto basta e non sono stati in pochi a criticarlo, “ti sei svegliato solo adesso?”. Purismo che rischia di portare acqua nel mulino della vasta area grigia dell’indifferenza.
L’ultima sera dopo cena partecipanti e organizzatori seduti in cerchio si scambiano impressioni. Sul programma, sul come può essere migliorato; ma sui contenuti più che altro, sul cosa resterà una volta tornati alla vita di sempre. Qualcuno si commuove, la corda dei sentimenti rimane la più sollecitata. Lo pensano tutti: non è stata una vacanza, ma molto meglio.