Film NO-PROFIT creato da Claudio Di Biagio e Luca Vecchi grazie al contributo degli utenti di Internet.
Soggetto e Sceneggiatura: Luca Vecchi
Regia: Claudio Di Biagio
Adele è succube d’un agghiacciante sogno ricorrente; un sogno che spesso sconfina nella realtà tramutandosi in atroci visioni che raggiungono il proprio culmine passeggiando una sera per il centro di Roma. Dagli accertamenti medici non emerge nulla degno di nota e al fratello, che era con lei quella sera, diagnosticano un semplice attacco epilettico. Scontratasi brutalmente con lo scetticismo generale ad Adele non resta che la via non convenzionale; decide così di rivolgersi a Dylan Dog. Professione: indagatore dell’incubo
Il primo giorno da ladro di Antonio è segnato dalle lacrime. Durante un’incursione al grande magazzino Upim, sua mamma viene arrestata, sorpresa in flagranza di reato dal personale anti taccheggio.
Sono passati 20 anni, adesso Antonio insieme ai suoi due inseparabili amici tenta “la svolta”. Dopo furti e furtarelli è arrivato il momento di una rapina a un ufficio postale. Le cose però non vanno come previsto. Un agente gli spara e la banda si ritrova sanguinante sull’asfalto.
Antonio vorrebbe “andarsene” con un sorriso, ma nella realtà non riesce a trovarlo, così ricorre alla fantasia. Vestito come Lupin III, il suo eroe dei cartoni animati, è ora pronto a scappare insieme alla sua bella.
L’attrice al giro di boa, sul set di due film. “Sono viva, in salute, ho due figlie che adoro… Cosa volere di più?”. Una carriera cominciata nella moda, consacrata dal cinema, e quel ruolo di icona di bellezza che non è mai riuscita a scrollarsi di dosso
PER commentare il traguardo del mezzo secolo sceglie il basso profilo, “sono viva, in salute, ho due figlie che adoro… direi che è un bilancio più che positivo”. Come una ragazza qualunque, che bada alle cose concrete e sembra che stia per concludere “…e adesso vi lascio, devo preparare il ragù”. Poi uno però se la immagina che quelle cose le dice con quella voce sussurrata, gli occhi che ogni tanto guardano verso l’alto per rincorrere il pensiero, la mano che scosta dal collo una ciocca di quei capelli lunghi neri brillanti e si ricorda che a compiere cinquant’anni non è proprio una come tante. Monica Bellucci soffia su cinquanta candeline e “non sono spaventata”, dice, e perché mai dovrebbe. Bellissima sempre, continua a essere considerata una delle donne più desiderate del mondo. Anche dai registi, ora nella sua vita professionale ci sono Emir Kusturica, che l’ha portata con sé fra le rocce sperdute della Serbia (“un luogo magico – dice lei – non c’è neanche il wi-fi”) per La via lattea, e Guy Edon che invece l’ha chiamata in Canada sul set di Ville-Marie.
PER commentare il traguardo del mezzo secolo sceglie il basso profilo, “sono viva, in salute, ho due figlie che adoro… direi che è un bilancio più che positivo”. Come una ragazza qualunque, che bada alle cose concrete e sembra che stia per concludere “…e adesso vi lascio, devo preparare il ragù”. Poi uno però se la immagina che quelle cose le dice con quella voce sussurrata, gli occhi che ogni tanto guardano verso l’alto per rincorrere il pensiero, la mano che scosta dal collo una ciocca di quei capelli lunghi neri brillanti e si ricorda che a compiere cinquant’anni non è proprio una come tante. Monica Bellucci soffia su cinquanta candeline e “non sono spaventata”, dice, e perché mai dovrebbe. Bellissima sempre, continua a essere considerata una delle donne più desiderate del mondo. Anche dai registi, ora nella sua vita professionale ci sono Emir Kusturica, che l’ha portata con sé fra le rocce sperdute della Serbia (“un luogo magico – dice lei – non c’è neanche il wi-fi”) per La via lattea, e Guy Edon che invece l’ha chiamata in Canada sul set di Ville-Marie.
Hai voglia a crescere professionalmente, la sua bellezza è sempre stata più prepotente della bravura, “all’inizio serviva a proteggermi – racconta – è un talento naturale che, come l’intelligenza, ci è stato dato per metterci alla prova. E uno strumento del mio lavoro, ovviamente. Ma se è fine a se stessa può diventare un handicap. L’aspetto seducente rischia di trasformarsi in una maschera che impedisce agli altri di cogliere la tua anima. Non va bene come donna, tantomeno per una donna attrice”. Ma negli anni, poi, qualcosa è cambiato da quel sentirsi “solo” icona di bellezza, “ora non ho più paura, mi sento serena. Ho imparato a confrontarmi con gli altri. Sono molto più contenta oggi che quando avevo trent’anni. E poi ho tanta energia , ho voglia di sperimentare, migliorarmi. Continuo dopo quasi venticinque anni ad amare questo mestiere che mi spinge alla ricerca personale”.
Ma nel giorno del compleanno, non mettetevi a cercare profili Facebook o Twitter su cui scatenare la vostra voglia di postare auguri e pupazzetti. “Non sono sui social network, i profili che portano il mio nome sono tutti falsi. Internet è un mondo a parte in cui si vivisezionano le persone. Mi ricorda il parrucchiere di Città di Castello, dove si spettegolava su tutto e su tutti. Mai sopportato, figuriamoci oggi”.
Si mette in gioco, come abbiamo visto di recente, al Festival di Cannes, in Le meraviglie, acclamato e premiato film di Alice Rohrwacher in cui interpreta una fata televisiva, incantatrice di ragazzine di provincia col sogno della celebrità. “Mi è piaciuto dare fiducia ad Alice e sono stata ripagata, quando l’Italia mi chiama per progetti belli così, ci sono sempre. E poi quel film mi smuoveva un po’ dentro, sono cresciuta in provincia, molto protetta ma non vedevo l’ora di andare via. È arrivato in un momento particolare della mia vita, mi stavo separando non è stato solo lavoro, ma una bella esperienza umana”. Bella anche lei nel film (e fuori), poi va’ a sapere, ritocchi o non ritocchi, e un po’ chissenefrega. Lei, da cinquant’anni, usa la ricetta di famiglia: “Ricordo sempre quello che mi diceva mia nonna, per essere bella fuori, devi essere bella dentro”. E le nonne, si sa, hanno sempre ragione.
Set all’aperto, teatri, laboratori: il nuovo parco dei divertimenti di Castel Romano, ispirato agli studios dei celebri film nati a Cinecittà, aprirà le porte al pubblico il 24 luglio. Nel 2015 sono attesi un milione e mezzo di visitatori con un fatturato stimabile in 55 milioni di euro
ROMA – Nasce Cinecittà Word, il primo parco tematico in Italia dedicato al mondo del cinema. Il grande parco, disegnato da Dante Ferretti (lo scenografo marchigiano vincitore di tre premi Oscar) e con la colonna sonora di Ennio Morricone – cui è dedicata l’area western – aprirà le porte al pubblico il 24 luglio. Oggi, a Castel Romano, la presentazione in anteprima con oltre mille invitati. Lo spazio vanta tra l’altro 20 attrazioni, otto set cinematografici, quattro teatri, quattro ristoranti a tema. L’investimento di IEG (Italian Entertainment Groupon), finora, è stato di 250 milioni.
I principali azionisti di IEG sono Luigi Abete, Andrea e Diego Della Valle, Aurelio e Luigi De Laurentiis e la famiglia Haggiag con la partecipazione di Generali Properties. Il parco sarà aperto al pubblico tutti i giorni, dal 24 luglio, dalle 10 alle 23. Con oltre 260 giorni di apertura annua prevista, “si colloca come uno dei parchi con la stagione di apertura più lunga d’Europa”, spiegano da Cinecittà World. Il biglietto intero di ingresso che dà accesso a tutte le attrazioni e a tutti gli spettacoli del Parco, avrà validità giornaliera e un costo di 29 euro, 23 ridotto per bambini fino a 10 anni e per over 65. Ma si prevede anche un pacchetto famiglie, valido per 2 adulti e 2 bambini, per un costo di 95 euro.
La fase costruttiva e ingegneristica del Parco è durata circa 3 anni. Rispetto al totale dell’investimento già effettuato, il 30% è stato investito per l’acquisto dei terreni, un altro 30% per la parte costruttiva e il restante 40% per le attrazioni e per la realizzazione delle scenografie firmate da Ferretti. Nel 2015 sono attesi 1.500.000 visitatori con un fatturato stimabile in 55 milioni di euro. Cinecittà World, si sottolinea, “ha prestato un’attenzione particolare alla sostenibilità ambientale” anche attraverso “la valorizzazione del verde esistente e un investimento aggiuntivo di oltre 2 milioni di euro in nuove aree verdi. Cinecittà World è parte di un progetto che occuperà complessivamente 150 ettari che si articola in varie fasi”.
Video
Il tre volte premio Oscr Dante Ferretti illustra la “sua” creatura, Cinecittà World, il primo parco divertimenti in Italia a tema cinematografico di cui ha curatole scenografie. Cinecittà World è a Castel Romano, vanta 20 attrazioni, otto set cinematografici, quattro teatri, quattro ristoranti a tema. Sarà aperto al pubblico tutti i giorni, dal 24 luglio, dalle 10 alle 23. Con oltre 260 giorni di apertura annua prevista, sarà uno dei parchi con la stagione di apertura più lunga d’Europa
Ma vediamo, uno per uno, quali sono i set all’aperto, i teatri, i laboratori. “Cabiria”: roba da kolossal. Lo spettacolare portale d’ingresso di Cinecittà World è un omaggio di Dante Ferretti al primo grande kolossal girato in Italia, Cabiria, di Giovanni Pastrone e Gabriele D’Annunzio, del 1914. Il set ricrea il tempio del Dio Moloch, dal quale la piccola Cabiria viene salvata grazie all’intervento di Maciste.
“Cinecittà Street”: swing e pallottole. Oltrepassato l’ingresso, lo scenario muta notevolmente: il visitatore si trova nella Main Street del parco, calato in un’atmosfera ispirata alla New York degli anni Venti. Siamo nell’epoca del proibizionismo, dei gangster, dello swing. Nella Main Street sono presenti un Barber Shop, all’interno del quale gli ospiti potranno “trasformarsi” in vere comparse del cinema, due ristoranti (l’American Bar e il Charleston Club), un drugstore e il negozio principale del Parco, il Five Points, nome storico di una delle parti più suggestive di Manhattan.
“Sognolabio”, il tempio del fantasy. Tutta dedicata ai bambini, l’area è ispirata al genere fantasy. Il tema è il sogno e l’allestimento in scena è una vera e propria fabbrica di sogni: i piccoli visitatori cucineranno, impasteranno, stamperanno e impacchetteranno i loro sogni custoditi dagli instancabili Creatori. Sul set vi si trovano un chiosco Candy Dreams e 7 kiddie rides, che ripercorrono la catena di montaggio della fabbrica, cui si aggiunge la Splashbattle, un percorso di barche a 8 posti per tutta la famiglia, equipaggiate da cannoni che sparano acqua.
“Aquila IV”: pronti alla battaglia. Siamo su un set interattivo di guerra e Cinecittà World diventa teatro di numerose battaglie di terra, aria e mare. Si racconta la storia vera di un indomito Sommergibile, nome in codice Aquila IV.
“Erawan”: avventura in caduta libera. Uno dei più significativi set di Cinecittà World, Erawan, celebra i film di avventura degli anni Cinquanta con uno stile a metà tra i romanzi di Emilio Salgari e il videogioco Tomb Raider. Il set è incentrato sul tempio del Dio Elefante Erawan, contornato da piante tropicali e suoni che riproducono una giungla. Sulla schiena dell’elefante è realizzata la prima vera attrazione adrenalinica del parco: la Drop Tower: 60 metri di altezza, dai quali i visitatori possono simulare una caduta libera. La Drop Tower è equipaggiata con 4 gondole, 2 delle quali con l’innovativa funzione “tilt”: giunti in cima alla torre, i sedili si inclinano in avanti di 20 gradi dando al passeggero un’esperienza di pura adrenalina. In una delle zampe del grande elefante c’è un negozio allestito come un sontuoso palazzo indiano.
“Ennio’s Creek”: siamo tutti pistoleri. Siamo a Ennio’s Creek, un villaggio western dove troviamo il ristorante-saloon Mezzogiorno al Fuoco, la sala gioco, la miniera, la Chiesa e il classico cimitero polveroso. Tra spaghetti western, pistoleri e ballerine di can-can, i visitatori potranno duellare con gli sceriffi e i più efferati banditi della storia del cinema. In questo set sono proposti numerosi giochi tematizzati per tutta la famiglia, con forti richiami al tema western come i candelotti di dinamite e le botti piene di whiskey. La colonna sonora del set sarà caratterizzata dalle musiche di Ennio Morricone.
“Altair”, occhio agli extraterrestri. Il set è dedicato alle grandi saghe cinematografiche di fantascienza e ci si muove tra alieni e umani.
Altair è il nome di una astronave da poco sbarcata sul pianeta Terra: si tratta di un “10 Inversion Coaster” che rappresenta una delle eccellenze del parco: un roller coaster con un tracciato costituito da 10 inversioni a 360 gradi con le celebri evoluzioni del “cobra roll” e del “corkscrew” che la posizionano tra le grandi attrazioni europee. L’effetto del “viaggio interstellare” fornito ai visitatori è amplificato dalle diverse inclinazioni e dalla scenografia dell’astronave, che racchiude la stazione di carico e scarico. La rampa del treno raggiunge i 35 metri di altezza e una velocità massima che sfiora i 100 chilometri orari.
“Aktium”: nel rifugio dei legionari. Dedicato all’antica Roma, Aktium è un omaggio alla cinematografia del genere peplum. Qui viene riproposta la città di Ambracia, rifugio dei legionari di Marco Ottavio. Il pubblico può provare il Water Ride, attrazione dedicata a tutta le età che appartiene alla categoria delle attrazioni Super Splash: la corsa ha inizio nella stazione, tematizzata da Dante Ferretti con un grande edificio romano del I secolo. I visitatori con due lift raggiungono i 22 metri d’altezza e si immergono in uno scenario di sfida e emozioni tra onde immense ed emozionanti “camel back”.
Al centro del parco si trova la piazza Dino De Laurentiis, omaggio al fondatore degli Studios, con una fontana spettacolare. È il fulcro del parco e potrà ospitare, oltre agli spettacoli a tema di Cinecittà World, concerti e altre iniziative.
Ecco invece i teatri, e le attrazioni ospitate.
Teatro 1. “Enigma”. Con una capienza di circa 1300 posti posizionati su una gradinata telescopica e mobile, il Teatro 1 ospita lo show permanente Enigma, uno spettacolo originale in 5 atti scritto e prodotto da Filmmaster Events, un omaggio alla magia del cinema e all’enigma che ogni storia crea dentro di noi. Un viaggio nelle illusioni, nell’inganno dei sensi, della percezione e della mente. Il Teatro 1 ospiterà anche altri show che cambieranno nel corso della stagione; il primo è lo spettacolo rock All in 15′ – Rock Super Heroes che sarà in scena dal giorno dell’apertura fino a settembre.
Teatro 2. Darkmare. L’atmosfera di questo studio riporta al genere cinematografico thriller-horror in bianco e nero. Viene qui ambientato un set maledetto dalla presenza del diavolo, caratterizzato da un roller coaster indoor con una scenografia che riporta i visitatori nell’immaginario dell’Inferno dantesco illustrato da Dorè. Il treno parte dalla stazione di carico, tematizzata in stile selva oscura, il percorso si snoda lungo le anse del fiume Stige, in un ambiente inquietante. Lungo il tragitto, una sorpresa ad alto impatto emotivo: il “Free Fall”, un’assoluta novità in Europa, un viaggio fino all’ultimo girone infernale.
Teatro 3. Il proiettore incantato. Il set è allestito come un enorme proiettore cinematografico. Il set è un playground multilivello che può contenere contemporaneamente 150 bambini tra i 3 e i 12 anni.
Teatro 4. Ciak, si gira. All’interno di un vero teatro con una capienza di 250 persone circa, gli show selezionati sono un mix di performance artistiche. Sono previsti due spettacoli: il primo è Audition: cosa succede veramente in un casting? Il nostro regista deve trovare il cast per il suo film musicale, gli spettatori saranno coinvolti nella selezione degli artisti. Il secondo show è Come ti faccio un film: i titoli di coda, in cui gli spettatori scopriranno il backstage di un film e il lavoro di chi sta dietro alla telecamera.
Infine, i laboratori: sono tre, di fianco a Piazza Dino de Laurentiis.
Laboratorio 1. Con Kroma K, grazie alla tecnologia del green screen di ultima generazione i visitatori potranno diventare protagonisti di un’avventura digitale e vivere l’esperienza di far parte di un film come fossero delle vere star. All’interno dello stesso laboratorio è in programma anche Dante Ferretti – Design of a dream: dal giorno dell’apertura fino alla fine di settembre si potrà visitare uno spazio espositivo dedicato a Dante Ferretti, tre volte premio Oscar e, in particolare, agli artwork da cui sono state realizzate le scenografie del Parco. Un fantastico “dietro le quinte” e un tributo all’eccellenza cinematografica italiana nel mondo.
Laboratorio 2. In questo laboratorio, gli ospiti si siederanno all’interno di speciali vetture per compiere un giro meraviglioso e adrenalinico nell’esplorazione dello spazio. Titolo: Cinecitram, un viaggio reso ancora più realistico da una superficie di proiezione 3D che circonda gli ospiti.
Laboratorio 3: Velocità Luce. In questo set si gira un film di fantascienza sulle corse di macchine avveniristiche. Il pubblico più giovane si troverà immerso in luci fluo, motori ruggenti e una pista di laser per una competizione senza regole.
Vent’anni fa moriva, a soli 41 anni, il grande attore e regista napoletano. Capace di saldare la tradizione con l’avanguardia e di realizzare capolavori di comicità come “Non ci resta che piangere” con Benigni
“Io devo tutto a quel mondo, al mio paese, San Giorgio a Cremano, 5 chilometri da Napoli. Laggiù ho imparato cos’era la disoccupazione, ma anche a non rassegnarmi. Ho imparato a parlare, a fare “‘o teatro” e non mi pare di essere cambiato molto da allora, anche se vivo a Roma”. Massimo Troisi se n’è andato un sabato afoso di vent’anni fa, il 4 giugno del 1994. era a casa di una delle sorelle, Annamaria, e dopo pranzo si andò a stendere sul letto, si sentiva affaticato. Aveva solo 41 anni appena finito di girare Il postino, per il quale sarebbe poi stato candidato all’Oscar. “A casa è umile ma onesta”.Racconta la sorella Rosaria, custode della memoria (in tutto i fratelli erano sei) nel bel libro Oltre il respiro, Massimo Troisi, mio fratello che alla nascita Massimo pesava cinque chili e aveva una fame insaziabile, tanto che la sua prima interpretazione fu una foto pubblicitaria di un marchio del latte in polvere. Di pubblicità non ne avrebbe fatto più, rifiutando una lucrosissima offerta, negli anni Ottanta, per uno spot sul caffè. La famiglia Troisi, padre macchinista ferroviere, madre casalinga, abitava in piazza Garibaldi (all’epoca ancora Piazza Tarallo), in un palazzone ribattezzato “o palazz’e Bruno miezz’e Tarall”. Il padre Alfredo, originario di Salerno, si era trasferito nella zona negli anni Trenta. Quella piazza avrebbe poi portato il suo nome, piazza Massimo Troisi.
Il regista voleva Henry Fonda, poi ideò l’accorgimento del sigaro per Clint Eastwood. La pellicola in sala stentava, poi il passaparola – all’inizio sponsorizzato – portò il successo. Sabato prossimo l’opera chiuderà il Festival dopo la cerimonia di assegnazione della Palma d’oro, con tanto di presentazione affidata a Quentin Tarantino
Clint Eastwood è stato la disperazione di Sergio Leone. Quando se lo ritrovò davanti fu sconvolto. “Ha un viso d’angelo, è inespressivo, anzi ha due espressioni: una col cappello e una senza. Non è adatto per il mio Joe”. Il regista avrebbe voluto Henry Fonda, ma non ci fu niente da fare. Joe, sigaro e pistola, è il protagonista di Per un pugno di dollari, anno 1964. Cinquant’anni fa. Una pellicola entrata nel mito, che ha permesso alla storia di un genere, il western, di non morire con i classici americani e il volto di John Wayne. Una storia che continua ancora oggi e che ritornerà sul grande schermo in versione restaurata – dal Laboratorio l’immagine ritrovata per Cineteca di Bologna e Unidis Jolly Film – a Cannes: sabato prossimo chiuderà il Festival dopo la cerimonia di assegnazione della Palma d’oro, con tanto di presentazione affidata a Quentin Tarantino.
Clint Eastwood è stato la disperazione di Leone, ma per pochissimo tempo. Una volta digerita l’assenza di Henry Fonda, con quel giovane biondo sul set, il regista creò una leggenda del cinema con un semplice accorgimento: il sigaro, inseparabile compagno di Joe. “Proprio così – racconta Pier Giorgio Palladino, nipote di Giorgio Papi, produttore, per la Jolly Film, insieme ad Arrigo Colombo nel 1964 – questi almeno sono i racconti di mio nonno ascoltando i quali sono cresciuto. Eastwood negli Stati Uniti faceva cose per la televisione, in quegli anni stava girando una serie, Rawhide, ma era sconosciuto. E l’impatto di Leone con l’attore fu negativo, ma poi le cose cambiarono. Tu non parlare, basta che hai il sigaro in bocca”.
Così è nato il mito. “Poi si è rivelato con gli anni uno straordinario attore e un grande regista”. Clint Eastwood con Per un pugno di dollari guadagnò 13.500 dollari. Nel 1964 già una bella cifra per un comune mortale, ma quasi niente per l’Olimpo del cinema. D’altra parte il cachet di Gian Maria Volonté, Ramon Rojo nel film, era 2 milioni di vecchie lire. Il budget totale era di circa 100 milioni. Non esattamente una grande produzione. Il film si fece. Dopo un’apparizione senza grande fortuna al Festival del Cinema di Sorrento, la pellicola è all’Excelsior, una vecchia sala nel centro di Firenze. È fine agosto e alle prime proiezioni l’Excelsior rimane quasi vuoto. Qui comincia una leggenda nella leggenda, perché una versione della storia, come raccontata in parte dallo stesso Leone, fa riferimento al “passaparola” che, dopo il primo weekend deludente, pian piano fa riempire la sala, tanto da tenere il film per sei mesi consecutivi. Un’altra versione fa riferimento ai commessi viaggiatori, divenuti fan di Per un pugno di dollari nell’attesa tra un treno e l’altro. La versione del produttore Giorgio Papi, raccontata oggi dal nipote Pier Giorgio Palladino, è inedita: “Mio nonno ci ha sempre detto che quel ‘passaparola’ fu comprato all’inizio. Nel senso che mise mano alla tasca e riempì la sala acquistando lui i biglietti e regalandoli, per ben cinque giorni. Passati i quali il passaparola diventò reale e da quel momento il successo di Per un pugno di dollari è stato inarrestabile”. Tanto da arrivare al Festival di Cannes come grande evento di chiusura nel 2014, cinquant’anni dopo.
“Il lavoro di restauro – spiega la vicedirettrice del Laboratorio di Bologna, Elena Tammaccaro – è stato possibile anche grazie a una collaborazione d’eccezione, quella del direttore della fotografia Ennio Guarnieri, che ci ha consentito di riportare i colori alla loro versione originale”. Anche le musiche sono state rimasterizzate, “seguendo le indicazioni dello stesso Ennio Morricone – racconta ancora Palladino – che ne è stato alla fine entusiasta”. A Cannes saranno prioiettati anche gli altri due film della Trilogia del dollaro (sempre restaurati dal Laboratorio l’immagine ritrovata) Per qualche dollaro in più del 1965 e Il buono, il brutto e il cattivo del 1966. Da giugno, per almeno sei settimane, la Trilogia del dollaro di Leone, nella nuova versione restaurata, tornerà anche nelle sale italiane. E adesso Ramon Rojo può morire sputando sangue.
Grazie al film il nostro paese conquista di nuovo una statuetta. Non succedeva da quindici anni, dai tempi di “La vita è bella”. Il regista ringrazia Fellini, Scorsese e Maradona: “Sono stati loro le mie fonti d’ispirazione”. Le congratulazioni di Napolitano
ROMA – La grande bellezza vince l’Oscar come miglior film straniero. Era da 15 anni, dal 1999 con La vita è bella di Roberto Benigni, che l’Italia non agguantava la statuetta. L’Italia ha sconfitto i rivali più temibili, il belga Alabama Monroe e il danese Il sospetto di Thomas Vintenberg. Il regista Paolo Sorrentino, visibilmente emozionato, è salito sul palco insieme al protagonista Servillo e al produttore Giuliano: “Grazie a Toni e Nicola, grazie agli attori e ai produttori. Grazie alle mie fonti di ispirazione, i Talking Heads, Federico Fellini, Martin Scorsese, Diego Armando Maradona. Mi hanno insegnato tutti come fare un grande spettacolo. Che è la base per il cinema. Grazie a Napoli e a Roma, e alla mia personale grande bellezza, Daniela e i nostri due figli. Sono molto emozionato, questa vittora era tutt’altro che scontata. Gli altri film erano forti, mi sento felice e sollevato”, dice il regista. E intanto impazzano i festeggiamenti sui social media, mentre è arrivato anche il messaggio di congratulazioni di Giorgio Napolitano: “Si è giustamente colto nel film di Sorrentino il senso della grande tradizione del cinema italiano e insieme una nuova capacità di rappresentazione creativa della realtà del costume del nostro tempo. E’ uno splendido riconoscimento, è una splendida vittoria per l’Italia”, recita la nota del Presidente della Repubblica.
Sorrentino poi ha parlato del cinema italiano. “Spero che questo film e questa vittoria siano una porta aperta affinché il cinema italiano diventi più cinema per il mercato internazionale”. Il regista ha detto poi di sentire ora un senso di responsabilità dopo questa vittoria che lo fa diventare rappresentante del cinema italiano nel mondo. “È una sensazione che ho provato negli ultimi giorni perché tanta gente parlava del mio film e voleva che vincessi, e quindi mi sentivo sotto pressione. È stato un momento non facile da vivere, ma ora sono felice. Non è facile descrivere cosa sto provando”.
Quanto alla musica, elemento importante del film, “è un semplice mix fra musica sacra e profana – ha spiegato Sorrentino – perché Roma è la città che combina sacro e profano, la chiesa cattolica e il profano della città che vive fuori dal Vaticano. La musica del film riflette questo”.
Dopo aver vinto l’Oscar per miglior film straniero con “La grande bellezza”, Paolo Sorrentino dà sfogo al suo entusiasmo baciando la statuetta d’oro
Il massimo riconoscimento arriva a coronare un percorso straordinario iniziato al festival di Cannes. Se sulla Croisette il film non ha ottenuto nessun riconoscimento (è stato premiato invece con la Palma d’oro il suo rivale, il francese La vita di Adele), in seguito è stato un susseguirsi di premi. Ha ottenuto quattro Efa (gli Oscar europei: miglior film, migliore attore, miglior regista e miglior montaggio), ha conquistato il Golden Globe come miglior film straniero (non accadeva dal 1989 con Nuovo cinema paradiso di Tornatore) e ha vinto il Bafta (l’Oscar del cinema inglese) battendo ancora una volta il rivale Kechiche.
The great beauty, titolo con cui il film è uscito negli Usa, ritratto appassionato e amaro di una Roma bellissima e decadente, ha per protagonista Jep Gambardella (Toni Servillo, attore feticcio di Sorrentino), viveur di sessantacinque anni e scrittore di un solo libro che si muove tra cultura alta, mondanità e situazioni surreali in una città santuario di meraviglia e grandezza. Oltre a Servillo il cast corale è composto da Carlo Verdone, Sabrina Ferilli, Isabella Ferrari, Pamela Villoresi, Carlo Buccirosso, Galatea Ranzi, Massimo Popolizio, Iaia Forte, Giorgio Pasotti, Roberto Herlitzka.
Il film di Paolo Sorrentino, protagonista Toni Servillo, conquista quattro Oscar europei: ai tre si aggiunge quello per il miglior montaggio consegnato a Cristiano Travaglioli. Servillo: “Sono davvero felice, è la mia seconda volta”
BERLINO – Grande successo agli European Film Awards, gli Oscar europei, per La grande bellezza che a Berlino conquista i premi per il Miglior film, la Miglior regia e il Miglior attore. “Sono davvero felice – ha detto Servillo – è la mia seconda volta qui agli Efa dove ho già vinto con Il divo e Gomorra, ringrazio la European Film Academy, i produttori del film e soprattutto, naturalmente, ringrazio moltissimo Paolo Sorrentino”. A La grande bellezza anche il premio per il Miglior montaggio, consegnato a CristianoTravaglioli. Sorrentino non era presente a Berlino perché impegnato come giurato al Festival di Marrakech. La grande bellezza è il film che l’Italia ha candidato nella corsa a un posto nella categoria Miglior film straniero per i prossimi Oscar.
Paolo Sorrentino
L’Italia era arrivata agli European Film Awards con un boom di nomination: quattro a La grande bellezza (film, regia, attore per Toni Servillo e sceneggiatura), tre a La migliore offerta di Giuseppe Tornatore, una a Riccardo Milani per Benvenuto Presidente!. Nella storia degli EFA l’Italia ha vinto per cinque volte il premio come miglior film, l’ultima volta è stato con Gomorra di Matteo Garrone. Fra le nomination c’era anche il Pinocchio di Enzo D’Alò (nella categoria Miglior lungometraggio animato) mentre per le “rivelazioni dell’anno” era candidato Miele di Valeria Golino.
L’Efa per la migliore attrice è andato a Veerie Baetens per il film belga The broken circle breakdown diretto da Felix Van Groeningen. Per la categoria Miglior commedia, nella quale era candidato anche Benvenuto, presidente di Riccardo Milani, con protagonista Claudio Bisio, il riconoscimento è andato a Love is all you need di Susanne Bier, con Pierce Brosnan. Il Miglior lungometraggio animato è The Congress di Ari Folman. Ma vediamo, di seguito, la lista completa dei premi.
Miglior filmLa grande bellezza di Paolo Sorrentino Migliore commediaLove is all you need di Susanne Bier Migliore rivelazione-Premio FipresciOh Boy di Jan Ole Gerster
Miglior documentarioThe act of killing di Joshua Oppenheimer
Miglior lungometraggio animatoThe congress di Ari Folman
Miglior cortoDeath of a shadow di Tom Van Avermaet
Miglior regista Paolo Sorrentino per La grande bellezza
Migliore attrice Veerle Baetens per The broken circle breakdown
Miglior attore Toni Servillo per La grande bellezza
Miglior sceneggiatore François Ozon per Nella casa
Miglior direttore della fotografia – Premio Carlo Di Palma Asaf Sudry per Fill the void
Miglior montatore Cristiano Travaglioli per La grande bellezza
Miglior production designer Sarah Greenwood per Anna Karenina
Miglior costumista Paco Delgado per Blancanieves
Miglior compositore Ennio Morricone per La migliore offerta
Miglior sound design Matz Müller & Erik Mischijew per Paradise: Faith
Premio alla carriera Catherine Deneuve
Premio per il contributo europeo al cinema mondiale Pedro Almodovar
Premio alla coproduzione europea – Eurimages Ada Solomon
Consiglio a tutti di andare a vedere il film prodotto da Luciano Stella. Perché è un capolavoro fatto da talenti creativi della mia città. Perché l’animazione per adulti in Italia non ha una storia, non ha precedenti. E perché è coraggioso
È un capolavoro “L’arte della felicità” e mostra quello che amo di Napoli, perché mostra quello che amo della vita. È un capolavoro da qualsiasi prospettiva lo si guardi. Anni fa mi capitò di vedere al cinema “La città incantata” di Hayao Miyazaki. Fu così che entrai di nuovo e per puro caso, dopo i tempi dell’infanzia, nel meraviglioso mondo dei film di animazione. Mi avvicinai a Miyazaki e al suo modo di lavorare e capii che attorno a lui tutto era capolavoro: l’organizzazione del lavoro, la scelta dello staff, persino chi allo Studio Ghibli teneva la contabilità era ispirato a criteri di umanità, rispetto e bellezza. Da quel momento non mi era più successo di vedere nulla di simile, nulla di tanto perfetto in ogni sua parte. Ecco perché quando ho visto “L’arte della felicità” mi è mancato il respiro. Mi sono sentito pieno e felice. Affranto e rinfrancato. Ho pianto lacrime calde di commozione, calde della passione di chi ci ha lavorato: di tutte le persone che ci hanno lavorato.Luciano Stella, il produttore del film, a Napoli è un mito vero, di quelli capaci di rendere migliore il posto in cui decidono di vivere. Grazie a lui, alla sua lungimiranza nel voler riaprire in via Cisterna dell’Olio il Modernissimo (la prima multisala del Sud), intere generazioni di studenti napoletani – la mia compresa – hanno potuto formarsi una vastissima cultura cinematografica. Se amo il cinema, se mi manca come l’aria ora che non ho la libertà di poterci andare, lo devo a lui. Luciano Stella ha prodotto “L’arte della felicità” decidendo di investire nell’animazione per adulti in un momento di crisi, perché – come ha detto in un’intervista – la crisi è rottura di vecchi equilibri, non solo catastrofe e fallimento. Nella crisi Luciano Stella ha visto un’opportunità soprattutto se si battono sentieri nuovi e l’animazione per adulti in Italia non ha una storia, non ha precedenti. “L’arte della felicità” è il primo, incredibile esemplare con cui misurarsi.
E i talenti li ha messi tutti a disposizione Napoli. Il racconto e i disegni sono di Alessandro Rak, un napoletano, un genio del disegno. Napoletano come gli altri disegnatori, come gli animatori, come i musicisti, come gli informatici. E Napoli ci ha messo anche la capacità di produrre un gioiello con mezzi esigui. Una città in difficoltà da sempre è il luogo da cui ripartire, è il luogo che può insegnare al resto del Paese come considerare la crisi (dal greco κρίσις, decisione) un momento di riflessione prima della rinascita e non l’ultimo rantolo prima della morte.
La crisi di un uomo, Sergio Cometa (se Stella è il cognome del produttore, mi ha fatto sorridere il pensiero che questo film potesse essere una stella cometa da seguire per la ricerca della felicità), di un musicista, che perde la persona più preziosa, suo fratello. Un fratello con cui nella vita ha condiviso tutto. Finanche la passione – che è professione – per la musica. Attorno a quest’uomo, e a questo dolore, una serie di personaggi. Citazioni poetiche di una Napoli che diventa meravigliosa perché stranamente, nonostante la sua monnezza, nonostante il Vesuvio, nonostante il mare e nonostante la pioggia che mi ricorda Malacqua di Nicola Pugliese, nonostante tutto, smette di essere Napoli e diventa una metropoli che si può amare. Una Napoli invasa dalla pioggia che cessa di essere crudele e si trasforma in balsamo per le anime sofferenti. Balsamo per l’opportunità che offre di perdersi nel suo ventre, per le infinite combinazioni di incontri possibili. Una Napoli struggente negli affreschi aerei di Alessandro Rak, il cui tratto coglie tutto, anche il minimo dettaglio.
“L’arte della felicità” è un capolavoro che ho voglia di consigliare. Mi viene da dirvi: smettete di fare qualsiasi cosa stiate facendo e andate a vederlo perché è un film coraggioso. Coraggioso in una fase in cui odio, crudeltà e ferocia sembrano essere gli unici fari; coraggioso in una fase in cui distruggere sembra essere l’unica strada per ricominciare. Al centro di questo arido sentiero c’è la trasformazione di Sergio Cometa, c’è il racconto della resistenza del bene, del volersi bene come necessità per una vita dignitosa. Al centro di questo arido sentiero si erge coraggiosamente “L’arte della felicità”. L’insegnamento buddista secondo cui nulla nasce dal nulla ma tutto diventa altro, qui, si fa carne e sangue. Si fa sentiero da seguire per poter sperare in un paese diverso.
In un personalissimo testo, Martin Scorsese rievoca la New York e l’America della sua infanzia: feste, rituali e cibo in arrivo dal Sud Italia, il matrimonio dei genitori combinato per unire le famiglie provenienti dai paesini di Polizzi Generosa e Cimmina, la scelta/necessità del giovane Martin di varcare “il confine di Houston Street” per raccontare quel mondo ad altri. La premessa del noto regista al volume fotografico Trovare l’America è un viaggio nella memoria, personale e storica, del quale anticipiamo in esclusiva un intenso estratto
di Martin Scorsese
I miei nonni, arrivati in America dalla Sicilia all’inizio del Novecento, erano italiani. I miei genitori, nati qui,erano italoamericani. Io ero, e ancora sono, americano italiano. E anche se so che non dimenticheranno mai le loro origini, le mie figlie sono americane. Con immagini e parole, questo magnifico libro delinea la nostra trasformazione attraverso le generazioni, quella della mia famiglia e di tante altre famiglie, sbarcate su queste rive a centinaia di migliaia per lasciare la loro impronta in questo luogo che chiamiamo America. (…) GUARDA LE FOTO DEGLI ITALIANI IN AMERICAQuando quelle prime ondate di immigrati arrivarono dall’Italia, ricostruirono il mondo che conoscevano. Crearono un luogo che venne chiamato Little Italy, che possedeva tutta la bellezza e il calore, tutto il dolore e le tensioni interne, del paese che avevano abbandonato. Mentre crescevo, Little Italy costituiva un mondo a sé stante, collocato in un angolino del lower east side di Manhattan – e sono certo che lo stesso può essere detto delle Little Italy in tutto il paese, da Boston a San Diego. Confinava con un altro mondo a sé, Chinatown. Le feste, i rituali, il cibo, le merci, i valori – tutto arrivava dal Sud Italia. Prima che io nascessi, le persone arrivate dallo stesso paese vivevano in un unico edificio e i matrimoni tra uomini e donne di edifici diversi erano una faccenda delicata. La famiglia di mia madre arrivava da Cimmina, la famiglia di mio padre da Polizzi Generosa e si sposarono solo dopo che gli anziani delle due famiglie si riunirono e diedero il loro assenso.
Per me e per i miei amici, il confine a nord era delimitato da Houston Street. Oltre, si trovava il nuovo mondo. Alcuni italoamericani che avevano valicato quel confine erano già diventati famosi e avevano lasciato il segno nella cultura. Ciò nonostante, incuteva ancora timore quando decisi di lasciarmi quel mondo alle spalle. Fu una scelta molto dolorosa, ma sapevo di doverla fare – non avevo altre possibilità, non c’erano altre decisioni possibili. (…)
Sapevo di voler mostrare il mondo da cui venivo in quei film. Ma avevo la necessità di osservarlo dal mio punto di vista, mettendo un po’ di distanza tra noi. Per me, Little Italy sarà sempre casa, quanto Polizzi e Cimmina erano casa per i miei nonni. Non il luogo in sé, ma la sua memoria. (…)
Questo libro mi restituisce molto: il modo in cui vivevamo, i valori che condividevamo e la trama della nostra vita, dalle aule delle scuole parrocchiali alla processioni religiose fino ai carrettini che vendevano alimentari (come quello che avevano i miei nonni). Amplia la mia prospettiva, offrendomi una ricca impressione della vita italo americana prima del mio tempo e anche prima di quello dei miei genitori. Infine, mi permette di cogliere il senso di una più generale trasformazione storica, offrendo un bellissimo punto di vista per commemorare un modo di vivere che ormai è scomparso.
Alcuni anni fa, all’indomani dell’11 settembre, girammo un piccolo film, mostrato durante il Concert for New York City. Andammo a Little Italy e visitammo alcuni dei luoghi di una volta. Andammo da Albanese’s, una macelleria su Elizabeth Street a poca distanza dall’appartamento dove sono cresciuto. Mary Albanese, che si vede mentre taglia della carne nelle prime scene del mio primo film, era ancora là, novantenne, e lavorava fianco a fianco con il figlio. Poi andammo alla formaggeria Di Palo su Grand Street, dove mia madre era andata per anni a fare la spesa. Louis Di Palo, che oggi gestisce il negozio con la sua famiglia, mi disse che, un giorno, una persona arrivata da fuori città gli chiese, animato da una genuina curiosità, come mai avesse aperto un negozio italiano nel mezzo di un quartiere cinese. Ovviamente, quando sua nonna l’aveva aperta nel 1925, la “latteria” non si trovava a Chinatown, ma faceva ancora parte di Little Italy. Ma, con gli anni, gli immigrati italiani erano diminuiti mentre erano aumentati quelli arrivati da ogni parte della Cina: Chinatown si allargava e Little Italy si rimpiccioliva. (…)
Nulla, nemmeno la pericolosa traversata oceanica, generava più paura negli emigranti della possibilità di essere respinti a Ellis Island. (…) I nuovi arrivati temevano soprattutto la visita medica. «[Molti] sono risultati affetti da tracoma e la loro esclusione era obbligatoria – raccontava Fiorello LaGuardia, che in gioventù aveva lavorato come interprete a Ellis Island – Era straziante vedere le famiglie separate».
New York. Sotto la pioggia, un gruppo di italo americani osserva la cerimonia dell’alza bandiera durante la festa di San Rocco (Marjory Collins, 1942)
Una famiglia italiana appena scesa dal piroscafo che sbarcava gli emigranti italiani a Ellis Island
Bucato del lunedì a New York nei primi anni del Novecento, quando erano centinaia di migliaia gli italiani che arrivavano ogni anno negli Stati Uniti. Nel 1920, erano più di 1.600.000 gli abitanti degli Stati Uniti nati in Italia
Un gruppo di breaker boys i bambini impiegati nelle miniere di carbone per rompere il minerale, selezionarlo e separarlo dalle impurità (…)
«Rosie Passeralla, 5 anni [di] Philadelphia. Raccoglie qui da due anni. Whites Bog, Browns Mills, N.J. 28 sett. 1910». Insieme alla piccola Rosie, moltissimi italiani di ogni età si trasferivano dalle loro residenze nelle grandi città del Nord-Est per raggiungere i campi del New Jersey, della Pennsylvania e di altri stati orientali durante la stagione del raccolto
In Italia le donne votarono per la prima volta in occasione del referendum del 1946 per scegliere tra monarchia o democrazia. Dall’altra parte dell’Oceano invece le italo americane votavano dal 1920 e pochi anni dopo ricoprivano già importanti cariche elettive: Anne Brancato nel 1932, divenne la prima donna eletta in un parlamento statale, quello della Pennsylvania
Il personale del teatro dei pupi di New York, 1910 circa
Mulberry Street a New York in un giorno di mercato con bancarelle e persone che ostacolavano il traffico cittadino (…)
Joe DiMaggio e Marilyn Monroe in Canada dove l’attrice stava girando ” La magnifica preda”. Nonostante la sua luminosa carriera sportiva, in Italia, la stampa cominciò a occuparsi di Joe DiMaggio solo quando venne annunciato il fidanzamento con Marilyn (…)
Il suonatore di organetto era una delle rappresentazioni più comuni per gli italiani in America (…)
Al centro, il giovane Secondino Libro che insieme a migliaia di connazionali viveva e lavorava nelle industrie tessili di Lawrence in Massachusetts