Intervista allo scrittore inglese Sir David Gilmour, autore del libro “The pursuit of Italy”. Una dura critica ai meccanismi della politica italiana che non ha trovato ancora nessun editore pronto a pubblicarlo nel nostro paese.
Lo storico e scrittore David Gilmour
di Alessio Altichieri
Oggi l’Italia «è di cattivo umore», scrive David Gilmour, ma non vuole sentirselo dire. A 150 anni dall’unificazione, a oltre sessant’anni dalla fine del fascismo, «la politica italiana non è stata ancora capace di trovare una qualche coerenza»: noi, appena passati dall’anomalia di Berlusconi all’eccezionalità di Mario Monti, lo sappiamo bene, ma ci irritiamo se lo nota un forestiero. Sappiamo anche come sono scadenti i deputati italiani, «i più ricchi del mondo», ma non ci era mai venuto il sospetto d’essere«congenitamente incapaci di produrre grandi leader», visto che i migliori, Cavour e De Gasperi,«erano più o meno stranieri». Non amiamo farci ricordare che «la maggiore attività economica della scorsa generazione è stata l’edilizia fuorilegge». O che la valle del Po è ormai «un’immensa periferia, né città né campagna». Oppure che «due terzi dei dentisti e metà degli ingegneri sono subentrati al padre».
Tutto questo, e molto più, ha scritto Sir David Gilmour, scrittore inglese, in “The Pursuit of Italy” (cioè, alla ricerca dell’Italia), un libro che i giornali di Londra segnalano come uno dei migliori dell’anno (« affidabile e aggiornato », secondo il “Financial Times”), ma che nessun editore italiano, stranamente, trova degno d’interesse. Gli americani lo comprano, i russi e i tedeschi lo traducono, ma noi no. Più che censura, forse è fastidio: Gilmour, già apprezzato biografo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa (“L’ultimo Gattopardo”, Feltrinelli), appartiene alla tradizione britannica, come Denis Mack Smith, che non perdona all’Italia, per amore dell’arte o del paesaggio, le sue eterne magagne. E sulla mala-Italia picchia duro. Così, in questo momento di trapasso, quando Mario Monti riporta in politica un profumo d’antico, può valere il suo parere di esperto in gattopardi (e quindi da non confondere con il, probabilmente, più popolare chitarrista dei Pink Floyd).
L’Italia ha festeggiato per qualche ora la caduta di Berlusconi, ma presto è ripiombata nel pessimismo. Eppure eravamo un popolo ottimista …
«Mi chiedo quanti italiani siano davvero contenti della caduta di Berlusconi: non era mica un dittatore come Gheddafi, di cui la gente voleva disfarsi da quarant’anni. Solo nel 2008 gli italiani avevano eletto Berlusconi a grandissima maggioranza. E poi non è caduto per il suo comportamento, l’incompetenza, i presunti reati, bensì per la crisi europea. D’altronde, l’ottimismo italiano è stato raramente giustificato dalla politica ».
Forse siamo pessimisti perché abbiamo paura che nulla cambi. L’Italia dei gattopardi è sempre incinta.
« L’Italia cambia in continuazione, culturalmente ed economicamente, ma in politica ha sempre patito d’immobilità. In questo, l’epoca di Berlusconi è stata simile a quella dei suoi predecessori, i liberali di Cavour, Depretis e Giolitti, tra il 1861 e il 1922, e i democristiani nel mezzo secolo dopo la guerra. Tutti speravano in un cambiamento radicale dopo il 1993, ma non s’è visto ».
In fondo, l’establishment italiano accettò Berlusconi come male minore, per paura dei “comunisti”, come nel ’ 22 appoggiò Mussolini, “contro i rossi”. Cinico opportunismo politico?
« Si può capire che i conservatori italiani fossero spaventati dalla minaccia socialista dopo la Grande Guerra. Ma non penso che stavolta abbiano votato Berlusconi per la cosiddetta “minaccia comunista”. C’è una naturale maggioranza di centro-destra in Italia, che neppure Enrico Berlinguer, con il suo carisma, ha potuto ribaltare. Penso che le ragioni del successo elettorale di Berlusconi siano state il suo fascino, il suo controllo dei media e la sua immagine di businessman – nonché l’incompetenza e la disunione della sinistra ».
Lei descrive un’Italia vittima di « letargia, corruzione, indecisione ». Parole dure, no?
« Ma parlo del settore pubblico, non del privato. L’Italia non ha avuto solo il “miracolo economico” degli anni ‘ 50 e ‘ 60, ma anche gli anni ’ 80, quando l’economia italiana superò quella britannica. Gli imprenditori italiani non mancano di talento, ma devono combattere contro burocrazia, monopoli, leggi antiquate ».
« L’Italia non è mai pari alla somma delle sue parti ». Triste constatazione …
« I punti di forza dell’Italia sono la diversità e la ricchezza culturale, le sue tradizioni regionali, il potere e la stabilità della famiglia. Le debolezze sono altrettanto chiare: corruzione, burocrazia, crimine organizzato e uno Stato nel quale la maggior parte dei cittadini non riesce a identificarsi ».
Ma lei, che sta nella campagna di Oxford, potrebbe mai vivere in Italia?
« Se qualcuno mi risparmiasse le noie burocratiche, penso che starei bene in una piccola città medievale del centro o del nord. Lucca sarebbe la mia prima scelta, seguita da Siena e Cremona. D’inverno, anche Venezia o Roma. In fondo, mi sono trovato bene quasi dappertutto in Italia, anche se fa rabbia la distruzione del paesaggio delle coste, specie al sud, e della campagna padana, che oggi è quasi tutta cemento ».
Che cosa propone un osservatore come lei, inglese, dopo il viaggio « alla ricerca del-l’Italia »?
« Spero che gli italiani restino fedeli alle loro tradizioni locali, e che escogitino un sistema di federalismo politico, come Cattaneo e altri immaginavano a metà dell’ 800, che permetta loro di mantenere le loro identità, ma di governarsi all’interno di uno Stato comune ».