i politicanti
Un parente abita a Milano2 e lavora per il Biscione – Il padre Tiziano, gran lavoratore, ha sempre fatto il piccolo imprenditore, aprendo un’azienda dietro l’altra. Esclusa la prima, Raska, le altre si dedicano alla pubblicità e alla distribuzione in campo editoriale. È lo zio di Matteo, Nicola Bovoli, a creare la Speedy, di cui detiene il 50 per cento. Al cognato, suo socio, vende poi la sua quota, spingendo lui e la moglie a investire nel settore della comunicazione, di cui si occupa con buoni risultati da anni. Ha contatti, conoscenze, idee, e aiuta i coniugi Renzi a muoversi nell’ambiente. Lo zio Nicola rivoluziona la vita di casa Renzi e diventa modello ed esempio, per molti versi, del giovane Matteo, che gli somiglia anche per temperamento e carattere. È l’uomo di successo in famiglia. Veloce, sveglio, battuta sempre pronta e sorriso stampato in volto, Bovoli vive nella “Milano da bere” degli anni Ottanta e abita nel quartiere simbolo dell’imprenditoria berlusconiana: Milano 2.
Nella seconda metà degli anni Ottanta lo zio di Matteo lavora anche per le riviste Mondadori distribuendo il Bingo e legandolo alle trasmissioni di Mike Bongiorno, con cui aveva iniziato a collaborare nel 1987. All’attività dedicata alla carta stampata Bovoli affianca nei primi anni Novanta le televisioni. Per le tre reti del Cavaliere (con cui stipula un contratto da 7 miliardi di lire) crea quella che viene da subito accolta come l’ultima frontiera dell’intrattenimento: il Quizzy, un telecomando che permette di partecipare dal divano di casa ai concorsi di alcune trasmissioni televisive. La campagna pubblicitaria di Fininvest in cui appare Mike rimanda alla Standa, dove il telecomando è in vendita a 39.800 lire.
Il Quizzy viene applicato anche alla Ruota della fortuna. Ma dura appena sette mesi, dall’ottobre del 1993 all’aprile del 1994, quando sparisce, travolto dalle proteste dei telespettatori per la poca trasparenza e le costosissime telefonate al 144. Vincere è difficile: in media arrivano tra le 50mila e le 100mila telefonate per ogni trasmissione. A fine mese la bolletta aggiunge il danno alla beffa, perché chiamare il 144 comporta un sovrapprezzo di 635 lire al minuto. Quella somma viene poi così spartita: 307 lire alla compagnia Sip, 164 alla Edifin di Nicola Bovoli, le restanti 164 lire alla Audio 5, la società della Fininvest che gestisce gli introiti per conto di Berlusconi, ceduta all’inizio del ’94 alla neonata Diakron incaricata di svolgere sondaggi per la nascente Forza Italia. Parte del ricavato viene utilizzato per finanziare i circoli che devono diffondere il verbo berlusconiano.
Quella vincita al gioco di Canale5 – Il Quizzy viene lentamente accantonato. (…) Il suo testimonial Mike Bongiorno, invece, finisce in Procura a Torino per la prima inchiesta sulle frequenze Fininvest: i magistrati sospettano una frode alla Ruota della fortuna. Il 30 settembre 1994 viene arrestato Giuseppe Mazzocchi, un perito dell’ufficio tecnico del ministero delle Poste e telecomunicazioni accusato di aver avvisato i dirigenti Fininvest che ci sarebbe stato un controllo sulle frequenze utilizzate da Italia1 per la trasmissione del Giro d’Italia. In cambio sarebbe stato invitato al quiz di Mike Bongiorno e favorito nella vincita di 30 milioni di lire. Il perito del ministero conferma le accuse: “Fui io a chiedere alle persone che conoscevo della Fininvest di aiutarmi a partecipare”.
La sua prima richiesta, inoltrata seguendo l’iter normale, era stata rifiutata. A marzo del 1994, invece, riesce a partecipare. Gli inquirenti sospettano la corruzione: se il concorrente è stato aiutato a vincere, i 30 milioni sarebbero una tangente. Nel 1999 Mazzocchi viene rinviato a giudizio, ma nel marzo del 2002 il processo si conclude con l’assoluzione: i giudici accolgono la tesi della difesa secondo cui avvisare dell’arrivo dei controlli era una prassi normale. Tra gennaio e febbraio del 1994 Matteo Renzi partecipa a cinque puntate della Ruota della fortuna, vincendo 48 milioni di lire. È lo zio Nicola ad accompagnarlo. “Ha partecipato perché lo segnalai io”.
Quando il colonnello di B. provò a “prendersi” Matteo – Il coordinatore del Pdl ha un debole per Renzi, tanto che all’inizio del 2008 il colonnello berlusconiano incontra il presidente della Provincia per arruolarlo nelle file di Arcore. Il solitamente riservato Verdini si spinge a una rara dichiarazione pubblica con una punta di dispiacere: “Renzi è uno in grado di rompere gli schemi. Certo, oggi è un candidato del Pd: ma se poi di là saltasse tutto e si facesse un percorso insieme, non escludo nulla”.
Il 31 maggio 2008, quando presiede la festa per i dieci anni di vita del suo Giornale della Toscana, Verdini è all’apice del potere. Fra i trecento invitati ci sono i parlamentari toscani del Pdl e gli imprenditori amici, ma l’ospite d’onore è lui, Matteo Renzi. Seduto al tavolo con Verdini e la moglie. (…) Nell’agosto dello stesso anno i due salgono insieme sul palco del meeting di Comunione e liberazione a Rimini. L’occasione è la presentazione del libro Sto registrando tutto per l’eternità, che raccoglie le lettere dello scomparso Graziano Grazzini, ex democristiano, ex Cdu e poi capogruppo di Forza Italia in Provincia, vicino al movimento di don Giussani dal 1980.
Il presentatore fa gli onori di casa: “Ci aiuteranno a conoscere Graziano due amici: Denis Verdini e Matteo Renzi”. Lui non si fa pregare. Sa come rendersi gradito a un universo distante anni luce da quello del centrosinistra. Alla platea ciellina Renzi parla di Grazzini in questi termini: “Comunione e liberazione gli aveva cambiato la vita. Ai miei compagni di coalizione è sempre difficile far capire che Cl è senza dubbio un’esperienza che interviene nel sociale in tutte le modalità che ritiene opportune, ma che l’esperienza di Comunione e liberazione può cambiare la vita davvero”. (…) Verdini invece parla in libertà.
“Il successo – argomenta – passa attraverso il consenso”, che si ottiene anche mediante modi per “far sognare la gente. Non voglio dire ingannare, perché sarebbe sbagliato, ma insomma, stimolare, sotto certi aspetti; e Graziano invece era una persona diversa, straordinaria dal punto di vista umano. Io gli dicevo: ‘È stupido quello che fai’, e lui invece lo faceva per generosità, perché era convinto che la politica è ‘al servizio di”. “Il problema è che lui era serio, profondamente serio”. La serietà è notoriamente un problema. “Quindi il mio rapporto con Graziano è stato molto complesso, molto difficile. Differenti profondamente in tutte le cose, però uniti da una grande simpatia”.
Un collante importante, la simpatia, anche con Renzi, che solo un mese dopo ufficializza la corsa per il Comune di Firenze. (…) Al termine dell’incontro Verdini va a cena con il suo delfino Massimo Parisi, con Paolo Carrai, cugino di Marco nonché esponente della Compagnia delle opere, e con i vertici di Cl al gran completo capitanati dai fondatori Giorgio Vittadini e Giancarlo Cesana. Al momento di sedersi a tavola, a Verdini scappa una bestemmia. Con un sorriso indulgente, Cesana ribatte: “Ho sentito benissimo, certo. Non ha bestemmiato, ha detto zio”. Verdini poteva tutto. Anche sostenere, pochi mesi dopo, un sindaco di centrosinistra contro il candidato del Pdl scelto da Berlusconi, Giovanni Galli.
L’eminenza grigia renziana organizza cene ed eventi – “Se Matteo mi chiede un consiglio io glielo do perché è il mio migliore amico, ma gliel’ho detto: su ruoli ben distinti e distanti, ben distinti e distanti”. Marco Carrai lo ripete due volte, come per ricordarlo a se stesso. La realtà è ben diversa. I ruoli non sono né distinti né distanti. Simbiotici, piuttosto. Come le loro vite. Avanzano insieme, uno a fianco dell’altro. Nel giugno del 2012 è Carrai ad accompagnare Renzi a un pranzo con Tony Blair sulla terrazza dell’hotel St. Regis in piazza Ognissanti a Firenze, poi, nel settembre dello stesso anno, alla convention democratica di Charlotte per accreditarsi con lo staff di Obama, e infine, nell’agosto del 2013, da Angela Merkel a Berlino.
Ma non ha voluto candidarsi alle politiche, né seguirlo al governo nel 2014, come invece gli aveva proposto il premier: “Matteo mi ha chiesto di fare il deputato ma non ho voluto, io faccio altro nella vita. Purtroppo ho dovuto prendere la mia prima tessera di partito, mi è toccato iscrivermi al Pd per votarlo”. Imprenditore di mestiere, per Renzi fa il lobbista e il fund raiser, ed è l’unica vera persona fidata del premier. Senza di lui, con ogni probabilità, l’ambizioso giovane di Rignano non avrebbe mai potuto trovare i fondi per finanziare l’attività politica. È lui che organizza le cene di raccolta fondi e gli eventi, invitando chi può sostenere la causa. Così, dal 2007 al 2013, vengono raccolti complessivamente circa tre milioni di euro. “Erano cene da mille euro a testa e io invitavo gli amici”. “Certo, all’inizio gli ho presentato tante persone”.
Nel 2004 Renzi lo chiama in Provincia come caposegreteria e gli chiede aiuto per comporre la sua giunta: “La sera della sua vittoria volo a casa mia in Sardegna. Lui mi chiama e mi fa: ‘Ho bisogno di una donna per fare l’assessore… una del tuo giro fiorentino”. Dico: “Giovanna Folonari”. E lui: “Chi è?”. Non lo sapeva. Rispondo: “È una persona seria. I Folonari sono una famiglia importante e poi sono i cugini dei Bazoli”. E lui subito: “Perfetto, perfetto!”.
La Firenze Parcheggi e le campagne elettorali – (…) Nel 2009, quando Renzi diventa primo cittadino (…) gli feci da consigliere economico, i primi tre mesi, poi andai da lui e gli dissi: “Matteo, qui c’è un problema, lucrum cessans, damnum emergens”. E lui: “Cioè?”. Risposi: “Be’, che il consigliere economico lo fo gratis e in più non posso far nulla a Firenze”. Quindi mi dimisi, lui mi disse: “Ascolta, ma perché non rimani in qualche azienda? Perché comunque mi piace usare la tua intelligenza”. C’era qualche nomina pubblica in scadenza e mi propose di fare il consigliere. Firenze Parcheggi era in rovina Carrai accetta l’incarico a una condizione. “Dissi a Matteo: ‘Sto il tempo limitato di ristrutturare l’azienda, ma non mi nomini tu’, infatti entro con Monte dei Paschi”. (…) Nel 2009 è anche il committente responsabile della campagna per l’elezione a sindaco di Renzi. In tale veste si becca una multa da 700 mila euro per affissioni abusive. Vero, ammette Carrai: “Gli attacchini dei manifesti li avevano messi nei posti sbagliati. Arrivò la multa, era nominale e il committente ero io”. (…) Nell’ottobre del 2013 Renzi è impegnato nell’assalto finale al Pd: a dicembre ci sono le primarie per la segreteria e non vuole di certo essere sconfitto come l’anno precedente. Perciò concentra tutte le armate sull’obiettivo.
L’evento clou è la Leopolda (…). Intanto però i giornali hanno cominciato a occuparsi di Marco Carrai, dei suoi rapporti con Renzi, delle nomine ricevute dal Comune e della sua presenza nelle partecipate e nella fondazione Big bang che finanzia l’attività politica dell’amico Matteo. “Ci fu una persona che voleva mandare soldi da Israele, ma dissi di lasciar stare, chissà poi che cosa saltava fuori”. (…)
Nell’ottobre del 2012 Renzi partecipa a una cena a porte chiuse alla fondazione Metropolitan di Milano per incontrare alcuni uomini d’affari, esponenti dell’alta finanza e imprenditori. Si diffonde la notizia che a organizzarla sia stato Davide Serra. “La cena di Milano l’avevo organizzata io. Davide è un amico, ma sbagliai, perché non pensai che sarebbe stato accostato alla finanza in maniera negativa, come poi è avvenuto”. I fondi all’ascesa renziana arrivano anche in forma diretta da “imprenditori come Guido Ghisolfi del gruppo M&G o Vito Pertosa” spiega Carrai. “Gli si dice: ‘C’è un ragazzo in gamba, va sostenuto, ti va?’. E via. Funziona così. Semplice. Persone fuori dal giro che non vogliono apparire. In Italia c’è tanta bella gente”.
Maurizio Landini: ”Lavoratori e sindacalisti picchiati senza motivo dalla polizia”
”Quello che è successo è inaccettabile. Chi ha dato l’ordine è responsabile”.
“Abbiamo chiesto al Governo e al capo della Polizia di essere ricevuto. Se non ci riceveranno non ce ne andremo via”
Momenti di tensione in piazza Indipendenza tra operai della Ast e le forze dell’ordine. Gli operai, guidati dal sindacato Fiom, stanno manifestando contro la chiusura delle acciaierie di Terni sotto l’ambasciata tedesca. “Ci hanno manganellato perché non volevano farci arrivare al ministero dell’Economia”, così che dicono di essere stati caricati dagli agenti mentre dall’ambasciata tedesca si spostavano verso il ministero. Quattro operai sono stati soccorsi per ferite alla testa.
Più flessibilità o più rigore per la Ue? Le posizioni di Italia e Germania, ad oggi, sembrano inconciliabili. Colpa della nostra reputazione? I tedeschi ci considerano inaffidabili? Lo abbiamo chiesto a quelli che vengono in vacanza in Italia
Gli esercenti devono accettare il pagamento con moneta elettronica, ma non c’è alcun obbligo di utilizzo. “Chi ottempera ha dei costi, e chi non lo fa, non ha sanzioni”, spiega il presidente dell’Istituto per la competitività. E non si può contare su incentivi e detrazioni. Il beneficio, per ora, è tutto per le banche: offerte poco chiare e difficilmente comparabili, nonostante le raccomandazioni di Bruxelles. Il governo convoca le parti il 16 luglio proprio per fare il punto su installazione e utilizzo
Doveva essere il passo in avanti per facilitare i pagamenti e far emergere anche parte dell’economia in grigio e in nero del Paese. E, invece, così com’è, il Pos obbligatorio per professionisti, artigiani e esercenti rischia di essere un’occasione mancata. Poco più di un regalo alle banche che propongono i servizi di “moneta elettronica” in una giungla di offerte fra le più care d’Europa. Per giunta difficilmente comparabili. Senza un grosso e cospicuo vantaggio per le casse pubbliche cui farebbe decisamente comodo recuperare almeno una parte dell’evasione fiscale record che, come ricorda il Rapporto sul coordinamento della finanza pubblica della Corte dei Conti, ammonta a 50 miliardi (dato 2011) sui soli introiti Iva e Irap.
La legge, che ha introdotto il Pos obbligatorio per esercenti, liberi professionisti ed artigiani, non prevede infatti delle vere e proprie sanzioni, ma solo la possibilità per il cliente di rifiutare il pagamento in contanti. Fermo restando l’obbligo del pagamento, la norma non prevede alcuna forma di “incentivo fiscale” che potrebbe spingere all’emersione di un’importante fetta dell’economia italiana che oggi sfugge al fisco. “Esiste una correlazione diretta fra la diffusione di moneta elettronica e la riduzione dell’economia sommersa, spiega Stefano Da Empoli, presidente di ICom, Istituto romano per la competitività . Ma la sola obbligatorietà nella detenzione del Pos non è sufficiente a far scattare i meccanismi di emersione. Serve uno sforzo ulteriore sul fronte degli incentivi fiscali”.
Così come è strutturata la legge “mi sembra un bel discorso teorico, ma in pratica chi ottempera, ha dei costi, e chi non ottempera, non ha sanzioni. Il che pone anche un problema di concorrenza sleale. Per non parlare del fatto che stiamo parlando solo di una piccola fetta di economia sommersa” conclude Da Empoli. Il caso delle farmacie e la detraibilità dei farmaci è un esempio emblematico per spiegare come invece le cose possano funzionare diversamente inaugurando un percorso virtuoso a vantaggio della collettività. “Oggi tutti i cittadini chiedono gli scontrini al farmacista perchè sanno che potranno avere una detrazione” spiega Antonio Longo, presidente del Movimento difesa del cittadino e della Italian epayment coalition (Iepc), associazione che riunisce Movimento Difesa del Cittadino, Cittadinanzattiva onlus, Confconsumatori e Assoutenti. “Se il governo trovasse delle formule per cui un esercente o un cittadino che raggiunge un dato livello di transazioni tracciate elettronicamente ha diritto ad una detrazione fiscale, allora sono certo che si assisterebbe ad un fenomeno progressivo di emersione che porterebbe ad un allargamento della base imponibile e ad una conseguente maggiore equità fiscale“.
Il Pos obbligatorio è insomma “un passo importante” di un percorso ben più complesso in cui sarebbe bene “desse il buon esempio la Pubblica amministrazione che - come ricorda Longo - accetta in buona parte solo pagamenti in contanti”. Ma non può pesare solo su chi produce ricchezza con “una bastosta” che secondo la Confesercenti “ammonta a 5 miliardi l’anno fra costi di esercizio e commissioni”. Ecco perché la Iepc propone ad artigiani, professionisti ed esercenti di ingaggiare assieme una battaglia per ottenere dalle banche la gratuità dei terminali e una maggiore trasparenza sui costi di gestione del Pos che per Longo “è fra i più cari d’Europa, come del resto lo sono tutti i servizi bancari del Paese”. Proprio per discutere di questi aspetti, il governo ha convocato rappresentanti delle banche “per fare il punto sull’entità dei costi e delle commissioni sulle transazioni che commercianti, artigiani e professionisti devono sostenere per l’utilizzo dei Pos”. I costi legati all’installazione e all’utilizzo saranno al centro della riunione del 16 luglio con il ministro dello Sviluppo Economico, Federica Guidi, e rappresentanti del ministero dell’Economia, di Bankitalia e il consorzio Bancomat.
L’introduzione dei Pos obbligatori, in effetti, ha fatto immediatamente scattare polemiche sulle tariffe dei terminali, sulle commissioni e sulla complessità di selezionare la migliore proposta commerciale per via delle soluzioni assai diverse offerte dalle banche. Per avere un’idea della situazione, basta dare uno sguardo alle proposte online sui siti dei più importanti istituti di credito italiani: si va dagli 11,42 euro al mese di Unicredit collegato al conto Imprendo per un pos standard (quello cordless però costa 28,53 euro) alla più complessa tariffazione di Intesa (da un minimo di 9,99 euro fino a un massimo di 36 euro euro per canone stagionale). Come differenze legate ad esempio anche al solo fatto che il pos si appoggi su una linea telefonica analogica (canone flat 21,90) o digitale (31,90). Ci sono poi pacchetti tutto incluso con il conto come nel caso Mps (canone 25 euro) o offerte “con installazione gratuita” come per Poste Italiane che prevede un canone da 15 euro al mese. Senza contare le commissioni che vanno dal 2,5 al 4% a seconda degli istituti di credito.
Una vera giungla di offerte che preoccupa anche Bruxelles. Lo testimonia il fatto che, sulla questione, nell’aprile scorso, è intervenuto anche il Comitato di Basilea per la vigilanza bancaria (CBVB). Il principale organismo di definizione degli standard internazionali per la regolamentazione prudenziale del settore bancario, ha suggerito a governi e supervisori, Bankitalia in primis, di “implementare la disclosure” (cioè migliorare le informazioni) e di “facilitare la comparazione di prodotti concorrenti” con adeguata documentazione. Suggerimenti che in un futuro porteranno di certo un beneficio per Stato e cittadini. Ma di sicuro non per gli utili delle banche.
La Suprema Corte ha accolto la richiesta del procuratore generale: il fondatore di Forza Italia colpevole di concorso esterno in associazione mafiosa. Il pg: “I rapporti tra Cosa Nostra e Dell’Utri non si sono mai interrotti e si sono protratti senza soluzione di continuità dal 1974 fino al 1992”. Emesso ordine di carcerazione
Il fondatore di Forza Italia, il primo partito italiano degli ultimi vent’anni, è un amico di Cosa Nostra, frequentatore di boss mafiosi e uomo cerniera tra la piovra e Silvio Berlusconi. Nel giorno in cui l’ex premier inizia a scontare la pena con l’affidamento in prova ai servizi sociali, cadono i condizionali anche su Marcello Dell’Utri, l’amico di una vita, prima piazzato al vertice di Publitalia e poi l’ideatore di Forza Italia: la prima sezione della Corte di Cassazione ha infatti confermato la condanna a sette anni di carcere per concorso esterno a Cosa Nostra, accogliendo la richiesta del pg. Il sostituto procuratore generale di Palermo Luigi Patronaggio, a seguito della condanna, ha emesso un ordine di carcerazione nei confronti dell’ex senatore e il provvedimento verrà trasmesso al ministero della Giustizia che lo allegherà alla richiesta di estradizione alle autorità libanesi.
Dopo più di quattro ore di camera di consiglio, la corte presieduta da Maria Cristina Siotto ha accolto le richieste del sostituto pg Aurelio Galasso. “I rapporti tra Cosa Nostra e Dell’Utri non si sono mai interrotti e si sono protratti senza soluzione di continuità dal 1974 fino al 1992” aveva detto il pg, chiedendo alla Suprema Corte di applicare il bollo definitivo sulla condanna dell’ex senatore, titolare di un seggio parlamentare tra il 1996 e il 2013. La prima sezione penale della Cassazione (quella storicamente guidata dal giudice Corrado Carnevale, l’ammazzasentenze) ha dunque accertato che per diciotto anni Dell’Utri ha regolato i rapporti tra i boss di Cosa Nostra (prima guidata da Stefano Bontade e poi, dopo la “mattanza”, dai corleonesi di Totò Riina) e Berlusconi, con l’ex premier che negli anni ha elargito enormi somme di denaro ai padrini siciliani.
Dell’Utri si trova in questo momento a Beirut, ricoverato in un ospedale e guardato a vista dagli agenti della polizia locale, dopo che era stato arrestato il 12 aprile scorso, rintracciato dagli agenti dell’intelligence libanese in una suite dell’albergo Phoenicia. Sul suo capo pendeva un mandato d’arresto internazionale dell’Interpol, spiccato dopo che si era dato alla latitanza, proprio alla vigilia della sentenza della Cassazione, originariamente prevista per il 15 aprile, e poi rinviata a causa delle cattive condizioni di salute dei legali dell’ex senatore. Un rinvio che per una sorta di scherzo del destino ha fatto slittare la sentenza definitiva ad una data simbolo: primo giorno di Berlusconi ai servizi sociali e trentaseiesimo anniversario dall’omicidio di Peppino Impastato e di Aldo Moro.
Anche la storia giudiziaria di Dell’Utri comincia in un anno simbolo: è il 1994, data che segna la prima scalata al potere di Forza Italia, quando la procura di Palermo ha già raccolto testimonianze di diversi pentiti, iniziando a indagare sui rapporti tra l’ex senatore, Cosa Nostra e Berlusconi. Rapporti che vedono Dell’Utri fare da intermediario già dal 1974 tra i padrini palermitani e l’amico Silvio, all’epoca giovane imprenditore bisogno di finanziamenti e protezione. È proprio per questo che ad Arcore viene spedito Vittorio Mangano, ufficialmente stalliere di Villa San Martino, in realtà boss della famiglia palermitana di Porta Nuova.
“Un eroe” lo ha sempre definito Dell”Utri, che nel 2004 viene condannato a nove anni di carcere nel processo di primo grado. Condanna scontata fino a sette anni di reclusione nel processo d’appello, che però viene parzialmente annullata dalla prima sentenza della Cassazione il 9 marzo 2012: secondo gli ermellini il ruolo di mediatore di Dell’Utri non era stato totalmente provato negli anni che vanno tra il 1978 e il 1982, periodo in cui l’ex presidente di Publitalia abbandona l’amico Silvio per andare a lavorare dal finanziere Filippo Alberto Rapisarda. È per questo che il 18 luglio 2012 inizia a Palermo il secondo processo d’appello, che il 25 marzo 2013 condanna nuovamente Dell’Utri a sette anni di carcere. Più di un anno dopo la palla torna nuovamente alla Cassazione che ha reso definitiva la condanna dell’ex senatore. Dopo una maratona giudiziaria lunga vent’anni, dunque è accertato oltre ogni ragionevole dubbio che il braccio destro dell’ex premier è un concorrente esterno di Cosa Nostra. La Suprema Corte non si è espressa per i fatti successivi al 1992, per i quali l’ex senatore era già stato assolto dalla prima sentenza d’appello, poi diventata definitiva dal verdetto degli ermellini del 2012.
Mediatore tra Berlusconi e Cosa Nostra per un ventennio, Dell’Utri viene allontanato dall’organizzazione criminale proprio mentre incarica il politologo Ezio Cartotto di studiare il progetto per un nuovo soggetto politico, che in pochi mesi vincerà a sorpresa le elezioni. “I giudici mi fanno passare per mafioso fino al ’92, ma cadono in contraddizione: se fosse vero, la mafia non mi avrebbe mollato proprio nel ’92, quando poteva sperare nei veri vantaggi del potere, della politica” aveva commentato l’ex senatore dopo la prima sentenza d’appello. Analisi assolutamente condivisibile.
Silvio Berlusconi ha concluso la sua prima giornata ai servizi sociali. L’ex-premier ha trascorso quattro ore alla Fondazione Sacra Famiglia di Cesano Boscone, nell’hinterland milanese, dove è stato affidato in prova al servizio di assitenza agli anziani malati di Alzheimer.
Massiccia la presenza della stampa, anche internazionale. Un giornalista di al Jazeera fa notare come si tratti di un evento unico: un ex premier che finisce ai servizi sociali dopo un verdetto.
La lettera del Commissario europeo alla concorrenza è sul tavolo del ministero dell’Economia per sospetti aiuti di Stato gli istituti di credito: “Stiamo valutando”. Il decreto del governo Letta aveva scatenato la bagarre in Parlamento, sfociata ieri in duri provvedimenti disciplinari, soprattutto contro deputati M5S. Villarosa: “Sono felicissimo”
Il decreto Bankitalia diventa un caso europeo. Il Commissario Ue per la concorrenza ha inviato al ministero dell’Economia una lettera con una richiesta di chiarimento, per capire se dietro la rivalutazione miliardaria del capitale sociale della Banca centrale – il relativo decreto ha scatenato la bagarre in Parlamento per la quale ieri sono stati puniti in sede disciplinare 24 deputati, tra i quali 22 del’M5S – si celi un aiuto di Stato mascherato perché fortemente limitato dalle norme dell’Unione europea. Aiuti, in particolare, agli istituti bancari che trarranno benefici in termini di patrimonializzazione dalla rivalutazione prima e poi dalla vendita delle quote stesse. L’arrivo della missiva è confermata da fonti del Tesoro: “Il ministero sta ora valutando”, spiegano. Mentre il portavoce del commissario alla concorrenza Joaquin Almunia chiarisce che “i tempi dell’analisi della Commissione Ue delle norme sulle quote di Bankitalia dipendono dall’Italia: ora sta alle autorità italiane rispondere alla nostra richiesta di informazioni”.
“Ventisei M5S sospesi dalla Boldrini, 26 medaglie”, festeggia intanto Beppe Grillo sul suo blog elencando, uno per uno, i nomi dei deputati sanzionati dall’ufficio di presidenza della Camera per gli scontri in Aula del 29 dicembre. “Il M5S fece ostruzionismo, e alla fine la Boldrini applicò per la prima volta nella storia l’ormai famosa ‘ghigliottina’ tagliando gli interventi in aula e approvando il decreto senza altre discussioni. Il M5S protestò rumorosamente, la deputata Lupo si beccò un ceffone in faccia ad opera dell’illustre statista questore Dambruoso, e oggi arriva la sentenza della Presidenza che punisce tutto ciò”.
L’Unione europea – secondo quanto risulta all’Ansa – si è attivata anche su denuncia dell’Adusbef alla quale ha scritto lo scorso 11 febbraio per confermare l’apertura del fascicolo SA.38311 (2014/CP) su “Revaluation of Banca d’Italia – Italy”. Il decreto sotto esame, che l’allora ministro Saccomanni non avrebbe mai notificato a Bruxelles, prevede in particolare la rivalutazione da 300 milioni di lire a 7,5 miliardi di euro delle quote di via Nazionale, in possesso di molti istituti di credito, e in vieta di detenere più del 3% del capitale. Sopra questa soglia sono in particolare Intesa-SanPaolo e Unicredit, ma anche Generali, Cassa di risparmio di Bologna, Inps e Carige. Il decreto prevede, la dismissione delle quote eccedenti che, se non trovano investitori sul mercato, possono essere acquistate “temporaneamente” dalla Banca d’Italia stessa. Un’altra norma, poi, prevede la possibilità della distribuzione di un dividendo, da parte della banca d’Italia, fino al 6% del valore di ogni singola quota. Da qui le proteste in Parlamento, con in testa il Movimento Cinque Stelle, sul “regalo miliardario alle banche”.
Il caso è stato anticipato oggi da Repubblica. Secondo il quotidiano, la lettera è partita pochi giorni fa per capire dal Tesoro se, dietro la rivalutazione delle quote di Bankitalia, non ci siano aiuti di Stato agli istituti. Nell’articolo si cita in particolare la denuncia dell’eurodeputato dell’Idv, Niccolò Rinaldi, ma sul tavolo della commissione vi sarebbe almeno un altra denuncia: quella delle due associazioni di consumatori Adusbef-Federconsumatori che all’inizio del mese avevano presentato un esposto a circa 130 procure generali e alla Corte dei Conti contro la riforma di Bankitalia.
“Abbiamo ricevuto nei giorni scorsi la mail della Commissione Europea – afferma oggi il presidente di Adusbef Elio Lannutti – C’è indicato un indirizzo al quale mandare ulteriore documentazione. Ho anche chiamato il funzionario e posso dare la conferma che sul tema si è attivata la commissione”. L’articolo di Repubblica, che evidenzia come “per ora Bruxelles non salta alla conclusione, perché il caso Bankitalia è appena agli inizi”, sostiene che al di là delle segnalazioni le autorità europee avevano comunque notato l’operazione, in considerazione anche dell’esame dell’Eba – l’autorità europea sulle banche – sui bilanci degli istituti.
“Quando ieri ho saputo della mia sanzione avevo detto che la storia li avrebbe puniti per questo. Ecco, il giorno dopo quella sanzione la storia inizia a punirli…”, commenta il deputato M5S Alessio Villarosa. “Sono felicissimo. Lo avevamo già detto che la Bce non aveva avuto in tempo utile i documenti di quella operazione”. Mentre il vicepresidente del Senato, Maurizio Gasparri, fa sapere che “il decreto su Banca d’Italia è finito nel mirino dell’Unione europea. Un atto vergognoso. Vogliamo discutere in Parlamento delle critiche”.