San Martino è una poesia di Giosuè Carducci. Fa parte della raccolta Rime nuove, che raccoglie liriche scritte dal 1861 al 1887.
Una lirica di Ippolito Nievo, antecedente a quella del Carducci di circa venticinque anni, contiene una serie di termini (nebbia, colli, mare, pensieri, uccelli, vespero, rosseggiare, ecc.) e immagini presenti anche in San Martino.[1] Questo ha fatto avanzare l’ipotesi che Carducci si sia ispirato direttamente proprio alla poesia di Nievo, composta nel 1858, e l’abbia poi trasfigurata poeticamente secondo la sua sensibilità.
Il testo
La nebbia agli irti colli
piovigginando sale,
e sotto il maestrale
urla e biancheggia il mar;
ma per le vie del borgo
dal ribollir de’ tini
va l’aspro odor dei vini
l’anime a rallegrar.
Gira su’ ceppi accesi
lo spiedo scoppiettando:
sta il cacciator fischiando
su l’uscio a rimirar
tra le rossastre nubi
stormi d’uccelli neri,
com’esuli pensieri,
nel vespero migrar.
Analisi dell’opera
La poesia adotta la metrica dell’odicina anacreontica (quattro quartine di settenari).[2]
SI descrive un paesaggio in bianco e nero con l’eccezione del colore rossastro al termine della poesia che serve a far risaltare ancora di più il volo degli uccelli neri.
Evidente il contrasto tra l’atmosfera del borgo e il suono del mare in tempesta agitato dal maestrale, simbolo di un’ inquietudine che, a mano a mano che si sale con fatica verso la cima del colle, quasi svapora attraverso la nebbia che vela la realtà, che non ci fa capire cosa veramente vogliamo, finché si giunge alla chiara allegrezza del borgo dove il rumore del mare è ormai lontano e dove si diffondono gli odori del vino che si sta facendo e della carne che gira sullo spiedo. Questi sono i suoni della pace, il vino che bolle nelle botti, la legna dello spiedo che scoppietta contrapposti alla furia del vento che agita il mare dell’esistenza umana.
Al termine della faticosa salita per la conquista della tranquillità ci attendono il vino e il cibo, una consolazione e un modo per raggiungere serenità, lasciare alle spalle, giù in basso il mare agitato della vita.
La serenità, oltre che negli odori, qui tinta di tristezza, è nel suono: nello zufolare del cacciatore che appoggiato alla porta di casa guarda pensoso le nuvole rosse per il tramonto dove si stagliano uccelli neri che volano via come i foschi pensieri.
È una pace questa che si percepisce durerà poco, poiché ancora si sente là, in basso, il mare della vita rumoreggiare e poiché il poeta è ormai al tramonto che precede le tenebre della notte.