Vent’anni fa moriva Massimo Troisi a soli 41 anni per un problema cardiaco. Un attore e regista geniale come lo ha definito Martone capace di unire tradizione e avanguardia. Uno accanto all’altro, sorridenti Enzo Decaro, Lello Arena e Massimo Troisi ovvero La Smorfia
“Com’aggio cominciato a fare l’attore?”, spiegava Troisi, “Ero nù guaglione, ero andato a vedere un grande film, Roma città aperta. Me n’ero uscito da ‘o cinema con tutte quelle immagini dint’a capa e tutte quelle emozioni. Mi sono fermato ‘nu mumento e m’aggio ditto….”Massimo, tu da grande devi fa ‘o geometra”. Della prima volta sul palco raccontò “i proposero una particina, quattro parole. Ma è stato l’incontro con l’imprevisto, un gioco. Poi è scoccata la scintilla dell’innamoramento. A volte lavoravamo nelle cantine. L’ingresso del teatro era così in discesa che se non avevi le scarpe da tennis scivolavi giù e ti ritrovavi direttamente in palcoscenico”.
Afasia, Smorfia. La Capria dedica (Opere) qualche riflessioni sull’impossibilità di parlare di Massimo Troisi espressione di “un’insicurezza esistenziale tipicamente napoletana: un’afasia espressiva, la sua, a far capire che con questa lingua della napoletanità non ci sono più cose nuove da dire, dunque non più parole ma solo gesti e allusioni a una lingua che c’è stata e forse non c’è più, e che tuttavia è sempre sottintesa, protettiva e operante, perché resta l’unico punto di riferimento, l’unico appiglio di una sempre più incerta identità”. Troisi appartiene alla “nuova Napoli” di Pino Daniele e di Roberto De Simone. Mario Martone nel libro dedicato a La smorfia definisce Troisi un “genio”. Se lui all’epoca, gli anni Settanta, era per l’avanguardia, La smorfia, con Troisi, Lello Arena, Enzo Decaro, saldava “la dimensione popolare e quella innovativa”. Al cinema invece Massimo era un fratello maggiore, “il capofila di quello che poi si è chiamato il nuovo cinema napoletano”. La leggerezza del suo cinema non era mai superficiale ma “sospensione del dire”, praticata da attore e regista. Al cinema Troisi “ha dato nuova forza, inventato una nuova lingua”.
Napoli e il Napoli. Negli anni Settanta, quando Troisi lavora al suo teatro da cantina, sui telegiornali rimbalzano le imprese di suoi coetanei dell’ascesa criminale, droga e omicidi. Negli anni Ottanta, quando passa al cinema, il terremoto del 23 novembre 1980 è stato sfruttato da una “peggio gioventù” che si è straordinariamente arricchita. Diceva di se stesso, Massimo: “Eccomi qui, io sono sua maestà il Napoletano normale. Nessuno se lo aspettava un napoletano timido, che parla sottovoce. Forse per questo faccio ridere”. Del potere a Napoli, nel prezioso Il mondo intero proprio, curato da Marco Giusti, Troisi dice “Il potere a Napoli è rappresentato dal medico, che ti può uccidere perché è ancora più di uno stregone, è ‘o dottore. Dal poliziotto, che quando viene può fare qualunque cosa, dal maestro, da tutti quelli che fin da piccolo ti fanno sentire inferiore. Poi ci sono le istituzioni, a cui nessuno si rivolge perché nessuno ci crede. Il potere dello Stato è troppo lontano. Da Napoli non si vede. Al politico locale si dà il voto perché lui in cambio forse ti darà qualcosa per campare. questo al Nord lo chiamano potere clientelare, camorra, malavita, però se non ti adatti non campi. Quale voto? In tutte le zone “già terremotate prima del terremoto” si votava Democrazia cristiana. Giustamente, perché dopo il terremoto nei comuni democristiani le famiglie democristiane hanno avuto la roulotte e le altre no”. L’attore tifava Napoli, intervistato dopo lo scudetto nell’87 disse alle telecamere, dopo essersi dichiarato entusiasta, “Sicuramente molti di quelli che avete intervistato avranno detto: “abbiamo vinto lo scudetto però non dimentichiamoci i problemi di Napoli. La disoccupazione, la criminalità”… allora io vi dico: per piacere, abbiamo vinto lo scudetto, però non ci dimentichiamo l’acqua e il gas aperti…”.
Romincio da tre. La notorietà televisiva arriva con le trasmissioni Non stop, La sberla, Luna Park. Il successo al cinema esplode nel 1981 con Ricomincio da tre: costa 450 milioni di lire, incassa più di 14 miliardi. Lo ha scritto con la compagna Anna Pavignano (autrice del romanzo Da domani mi alzo tardi, che immagina Massimo come sarebbe oggi). “La storia di Ricomincio da tre rappresentava la parabola di Massimo. La scelta di non fare quel che è stato deciso da altri. Il padre di Gaetano nel film gli dice “devi fare il geometra”, lui invece parte. E’ successo a Massimo nella vita privata. Seguono Scusate il ritardo, nel 1983 e Le vie del signore sono finte, nel 1987, fino a Pensavo fosse amore e invece era un calesse del 1991. Ettore Scola lo chiama per interpretare due film: Splendor e Che ora è? Che vale a lui e a Marcello Mastroianni la Coppa Volpi alla Mostra di Venezia. Sodalizio felicissimo quello con Roberto Benigni e Non ci resta che piangere, l’avventura spaziotemporale di un bidello e un maestro che si ritrovano nel Rinascimento: 15 miliardi di incassi e battute culto entrate nel linguaggio quotidiano di giovani di ieri e oggi (da “Ricordati che devi morire…. mo’ me lo segno proprio”, a “Ma nove per nove farà ottantuno?”).
Il postino e l’addio. Stava male da tanto tempo, ormai, quando girò Il postino. Sul set poteva interpretare solo i primi piani, tanto era esausto. Ma lo voleva fare, ci teneva tantissimo, al quel personaggio tratto dal romanzo del cileno Antonio Skàrmeta. Racconta il regista Michel Radford. “Con Massimo ci vedemmo a Roma e decidemmo di trasformarlo in un film cambiarlo tutto, tranne la storia d’amore con la ragazza e il rapporto del giovane con Neruda. Le riprese furono complicate, lui girava un’ora al giorno, i primi piani. Ma avevamo tutti una pena nel cuore. Una volta lo dissi a Massimo e lui mi rispose che io avevo un’umanità che è uguale ovunque. A tutto il resto avremmo pensato noi, insieme. Era davvero una persona speciale”.