Si è chiusa l’inchiesta sui morti dell’ex Breda-Ansaldo. La procura chiede il rinvio a giudizio per 12 boiardi
di Alfredo Faieta
Sono dodici gli ex manager di Stato consiglieri o amministratori della società o della holding che la controllava per cui la Procura chiederà il processo con l’accusa di omicidio colposo per la mancata prevenzione dai rischi delle inalazioni di amianto, molto utilizzato nelle costruzioni ferroviarie. Il nome forse più noto è quello di Fabiano Fabiani, classe 1930, con un passato ai vertici non solo di Ansaldo ma della stessa Finmeccanica, dove è entrato nel 1981 per diventarne poi amministratore delegato nel 1985. Prima di allora era stato direttore del Telegionale Rai, azienda di cui nel 2007 è diventato consigliere d’amministrazione nominato dal ministero dell’Economia.
Tra i manager coinvolti nell’inchiesta figura anche Giobatta Clavarino, classe 1927, Cavaliere del lavoro che ha iniziato la sua carriera in Ansaldo nel 1952 diventandone amministratore delegato nel 1981 dopo incarichi in molte società del gruppo, di cui è stato un dirigente simbolo dell’epoca statale. E poi Giovanni Gambardella, 78 anni, tarantino, già amministratore delegato sia dell’Ansaldo che dell’Ilva.
Se il gip dovesse accogliere le richieste di rinvio a giudizio, già nel prossimo giugno potrebbe dunque celebrarsi un vero e proprio processo a una stagione industriale fatta di scarsa prevenzione per i danni delle polveri di amianto, e che non si faticherà ad associare al caso Eternit di Casale Monferrato. Dei dodici indagati, nessuno dei quali ha chiesto di essere interrogato, il più giovane ha 75 anni e il più anziano 88 e potrebbero essere dunque chiamati a ricordare una stagione molto lontano.
Nella richiesta di rinvio a giudizio si parla di «negligenza, imprudenza, imperizia e inosservanza delle leggi» sulla protezione dei lavoratori, di mancanza di informazioni circa i rischi dell’inalazione delle polveri di amianto, le cui fibre venivano utilizzate anche per poltroni e letti senza che fosse vietato. Tra le accuse, c’è anche quella di non aver eliminato manufatti e produzioni che utilizzavano l’amianto – secondo ciò che si in un documento del Consiglio di fabbrica del 1978 – anche dopo aver formalmente disposto la loro sostituzione, solo apparentemente iniziata. Con l’aggravante che tutto ciò è successo in un’impresa statale, dove il rispetto delle leggi in materia di protezione dei lavoratori avrebbe dovuto essere la regola.
Secondo gli esperti mesotelioma, asbestosi e carcinomi indotti dall’amianto possono aver un decorso che, in alcuni casi, può superare i quarant’anni: consumano la vita con inesorabile lentezza.
Oltre agli undici decessi c’è anche un ex dipendente ancora in vita, che potrebbe fare da memoria storica del procedimento se si presenterà in aula come parte civile. Da lui dovrebbero arrivare le testimonianze più nitide e dirette. Si tratta di un ingegnere, e non è l’unico della lista: il mesotelioma, dunque, non è stata solo una malattia delle tute blu, le più esposte nelle produzioni, ma anche di chi dirigeva e forse aveva più strumenti per comprendere i danni dell’amianto.
Comnunque non sarà semplice ricostruire in tribunale la vicenda e arrivare rapidamente a una conclusione. Non solo perché si tratta di fatti lontani nel tempo, ma anche perché i molti procedimenti giudiziari avviati nel tempo hanno avuto esiti contrastanti.