La bellezza di sempre, sotto una luce nuova. La Cappella Sistina si mostra dopo tre anni di lavori che hanno permesso di ripensare totalmente l’impianto di illuminazione e quello di climatizzazione.
Interventi necessari a preservare gli affreschi michelangioleschi non soltanto dal trascorrere del tempo, ma anche dalle frotte di turisti che affollano la Cappella: quasi sei milioni nel 2013 e in aumento costante.
I lavori hanno avuto costi contenuti, dal momento che alcune aziende del settore hanno offerto i propri prodotti a titolo di liberalità. Le telecamere contano le persone presenti in sala, permettendo di regolare temperatura e umidità. Quanto alle luci, tutte a led, tarano le emissioni per ottenere lo spettro ottimale.
Un bel regalo, per celebrare i 450 anni dalla morte di Michelangelo.
Dipinti spettacolari. Mosaici mai visti. E tre nuove case. Il più famoso dei siti archeologici risponde alle critiche ampliando l’offerta di meraviglie aperte al pubblico
Il salone della casa di Frontone
I riflettori tornano a essere puntati su Pompei. Questa volta però non si tratta di muretti di contenimento o di pezzi di intonaco finiti a terra, né di frane causate dal maltempo: tre abitazioni, uscite da lunghi restauri, sono pronte a raccontare al pubblico le loro storie. Che riguardano l’arte e la vita quotidiana dell’epoca, ciascuna con le sue particolarità, le sue vicende pubbliche e private, come quella appartenuta a Marco Lucrezio Frontone. Era un esponente dell’upper class cittadina che vantava una “domus” di quasi 500 mq e affreschi così raffinati del cosiddetto “terzo stile” da far invidia alla stessa Roma. Colpiscono infatti per ricercatezza tematica ed esecuzione le scene di mito poco usuali, i quadretti con ville marittime appese a candelabri fantastici, come fossero cartoline, i nastri di originali motivi geometrici che corrono lungo le pareti, i medaglioni con ritratti di giovani: forse i figli dello stesso Frontone che dormivano in una stanza dal fondo giallo oro.
A famiglie molto in vista appartenevano anche le domus di Trittòlemo e di Romolo e Remo, mai aperte finora. In età repubblicana queste due abitazioni erano unità immobiliari distinte, poi negli ultimi anni di Pompei finirono nelle mani di un solo proprietario, che poteva così esibire pavimenti in mosaico a cubi prospettici, a riquadri colorati come tappeti persiani, e due schiere di animali in ogni dimensione dipinti sulle pareti che racchiudevano i giardini interni (“viridaria”).
Come è accaduto per le abitazioni scoperte in passato, anche queste due nuove case prendono il nome dai soggetti degli affreschi più importanti, ma abbiamo notizia anche di chi vi abitava. In una stanza della domus di Romolo e Remo sono state ritrovate cinque vittime, una delle quali stringeva nella mano destra un sacchetto di monete d’oro e d’argento e alla sinistra portava un anello di bronzo con una sigla che rimanda all’importante famiglia romana Fabia. Sappiamo che da questa famiglia provenivano i sacerdoti che organizzavano le feste per celebrare le origini dell’Urbe, e così si potrebbe spiegare il riferimento pittorico ai gemelli più famosi.
L’élite cittadina, che viveva in queste dimore – proprietari terrieri, commercianti, uomini politici, facoltosi liberti (ex schiavi che avevano fatto fortuna) – conduceva uno stile di vita che si potrebbe paragonare a quello dei senatori romani: amava il teatro, gli spettacoli gladiatori, si rilassava nelle terme, leggeva, viaggiava, intratteneva gli ospiti in ambienti eleganti, e apprezzava l’arte, facendo ornare le proprie dimore ad artisti e artigiani di alto livello.
Le belle abitazioni di Pompei sono tante: erano lo status symbol del proprietario, e dovevano celebrarne l’importanza sociale in modo ben evidente. Già dalla porta aperta sulla strada, il passante poteva percepire ricchezza e lusso con un solo colpo d’occhio perché gli ambienti più importanti erano disposti in asse: prima c’era l’atrio, dove si esponevano le opere d’arte di maggior valore, e anche il forziere di famiglia; il “tablino”, lo studio dove il padrone di casa accoglieva clienti, colleghi di lavoro, questuanti; infine il giardino interno, più o meno grande: spazio per il relax e le cene estive, con fiori, aiole, statue e fontane. Era questa la pianta della cosiddetta “domus ad atrio” di origine ellenistica, che a Pompei, grazie al clima, svolgeva al meglio il suo compito.
Se la competizione elettorale – “Vota Lucrezio Frontone perché è onesto”, recita un dipinto vicino alla sua casa ora aperta al pubblico, oppure “Vota Giulio Polibio perché produce pane buono” – e l’esibizione della ricchezza mostrano accenti simili in ogni tempo, ben diversa era l’organizzazione della vita domestica. I romani, e i pompeiani, non riempivano le stanze di mobili, non avevano camere da letto spaziose. Non tutte le case avevano il bagno, e se c’era una latrina si trattava di un ambiente striminzito. Anche gli abitanti delle case più ricche, che godevano gli agi di piccole terme private, per le necessità personali facevano uso di recipienti che gli schiavi si affrettavano a portare anche agli ospiti durante i banchetti. Tra le novità più rare in arrivo per chi visita Pompei, c’è anche una grande stanza adibita a bagno come lo intendiamo oggi: siamo nella Casa dei Dioscuri, dove fervono i lavori per ripristinare la copertura. Si tratta di una domus enorme, che nell’ultima fase della vita della città ne aveva inglobate altre due vicine. Poco però è rimasto dei dipinti parietali: l’affresco con i due mitici fratelli che le dà il nome si trova al Museo Nazionale di Napoli.
Dalla scoperta, la casa dei Dioscuri è stata protagonista di due vicende che ne hanno una esaltato, l’altra rovinato il ricordo. Nel 1829 il re Ludwig I di Baviera rimase così colpito da questo edificio che, una volta tornato in patria, volle farne costruire uno simile ad Aschaffenburg, il famoso “Pompejanum”. Nel 1943, invece, la domus fu bombardata dagli Alleati, che procurarono rovine in diverse zone della città, colpendo in pieno tra e altre anche la Casa di Romolo e Remo.
Gli altri cantieri in corso a Pompei riguardano abitazioni molto rovinate non dalle bombe, ma da nemici altrettanto implacabili: piogge acide, alluvioni, vento, piante infestanti, terremoti devastanti come quello del 1980. Entro un anno potremo entrare negli ambienti ripristinati di diverse domus: quelle di Sirico, delle Pareti Rosse, del Criptoportico, del Marinaio. Già quest’estate invece saranno agibili le Terme suburbane e potrà mostrarsi in parte la famosa dimora dei Vettii, che è chiusa da diversi anni.
Tra le case che saranno riaperte al pubblico, quella del Criptoportico è unica: lungo tre lati del giardino interno corre un portico sotterraneo che era decorato con scene ispirate all’Iliade. Molto belli sono i pavimenti conservati negli ambienti termali che il proprietario, all’epoca dell’eruzione, aveva chiuso con un muro: aveva infatti ridimensionato l’abitazione, che in precedenza comprendeva anche quella confinante. Parte della casa, oggetto nella zona posteriore di un restauro nel 1967, è stata coperta con travi di legno, che ad alcuni organi di stampa sono sembrati “da pizzeria”, ma in realtà riprendono quello che accadeva nell’antichità. Al suo interno, gli archeologi stanno ricomponendo le decorazioni parietali: un lavoro certosino che, in alcuni casi, sembra un vero e proprio puzzle.
Ma a che punto è il programma previsto dai finanziamenti della Ue? Il Grande Progetto Pompei, diretto dal generale dei Carabinieri Giovanni Nistri, porta avanti i cantieri aperti lo scorso anno, concentrati sul restauro architettonico di singole abitazioni. Il piano però è molto più vasto e riguarda – con una serie di interventi mirati e complessivi – tutti gli Scavi (vedi riquadro in queste pagine). Grazie a questi fondi, entro maggio si procederà a ripristinare gli apparati decorativi della Casa della Venere in Conchiglia, della Fontana Piccola e di Paquio Proculo.
I prossimi mesi saranno fondamentali per i restauri: sono stati aggiudicati definitivamente i progetti che riguardano la messa in sicurezza delle murature e dei relativi mosaici e affreschi in tre delle Regioni in cui è divisa la planimetria di Pompei (VI, VII e VIII): in tutto sono circa 250.000 mq, oltre la metà dell’area archeologica. Altri lavori in via di ultimazione sono finalizzati invece a evitare nuovi rischi di dissesto idro-geologico attraverso la sistemazione di un pianoro per irregimentare le acque. A ruota, seguiranno le gare per il consolidamento di altre tre Regioni (IV, V e IX), e per la revisione della recinzione e dell’illuminazione perimetrali dell’intero sito.
Si tratta di lavori che dovranno essere completati entro il 2015, come prevedono le direttive europee. Ce la faremo? Il soprintendente Massimo Osanna, professore lucano di Archeologia classica, entrato in carica da due mesi, è moderatamente ottimista: «L’attività del personale della Soprintendenza procede a ritmo serrato, ce la stiamo mettendo tutta». Entro l’estate sarà pure bandita la gara per risolvere l’annoso problema degli Uffici, che saranno trasferiti in una sede più idonea, e per ottimizzare i percorsi di visita. Niente più affollamenti negli stessi punti e maggiori opportunità per ristorarsi: il soprintendente annuncia anche l’allestimento di un ristorante-bar con terrazzo finalmente degno della bellezza di Pompei. Ma tante case, a restauro finito, restano chiuse, tra le proteste dei visitatori. È vero che gli ambienti più pregiati, quelli ricoperti di dipinti, sono in genere molto piccoli, e spesso senza finestre: non potrebbero reggere l’afflusso di migliaia di visitatori al giorno. La soluzione trovata finora, e destinata a continuare, è quella di chiudere e aprire e case alla visita a rotazione: questo consente di garantire la durata dei restauri e allo stesso tempo, con il variare dell’offerta, dovrebbe stimolare il pubblico a ulteriori visite.
Intanto, con due milioni di euro, si sta restaurando il celebre mosaico “Cave canem” della domus del Poeta tragico, e si stanno mettendo a posto i luoghi interessati dai crolli più recenti. In attesa che diventi operativo il progetto che Finmeccanica metterà a disposizione per la salvaguardia del sito: tecnologie d’avanguardia, modellate sulle esigenze della soprintendenza, che per tre anni farà così un monitoraggio continuo delle strutture più a rischio.
A breve dovremmo quindi vedere ovunque lavori in corso. Ma per Pompei non è una novità: anche nella sua prima vita la città brulicava di operai che cercavano di sistemare i danni provocati dai frequenti terremoti, anche prima di quello disastroso del 62 dopo Cristo. Intanto, nonostante critiche e polemiche, visitatori continuano ad arrivare qui da tutto il mondo, soprattutto dal Giappone, per una “full immersion” nella romanità. E non c’è capo di stato, sovrano, artista, letterato, che si sia sottratto al fascino di Pompei. Da Pio IX, l’ultimo “papa re”, che nel 1849 pranzò nelle Terme del Foro, a Le Corbusier, che disegnò dal vero diverse domus; da Giuseppe Garibaldi, che volle essere immortalato in una foto, alla recente visita della Cancelliera tedesca Angela Merkel, che però a differenza di altri ospiti illustri, si è pagata il biglietto da sola e si è aggirata a lungo fra templi e “thermopolia” come ha meglio creduto.
Spettacolare affresco dal salone della casa di frontone. Marte accarezza un seno di Venere sotto gli occhi del piccolo Eros con l’arco, mentre due gruppi di ancelle assistono alla scena
Salone della casa di frontone. Bacco e Arianna sul carro trionfale. Il tema, diffuso nella pittura romana e a Pompei, tocca qui un raro livello artistico che dimostra l’importanza e la ricchezza del padrone di casa
Salone della casa di frontone. Decorazione con uno spaccato del paesaggio campano dell’epoca. il quadretto raffigura la costa vista dal mare e mostra le tante grandi ville costruite a due passi dall’acqua
La Casa di Trittolemo. sul pavimento del salone spicca questa decorazione geometrica: realizzata con rari pezzi di calcare colorato, è l’unico esempio in una casa privata di motivi ornamentali presenti in due templi di Pompei
Una parete della zona termale (frigidarium) della Casa del Criptoportico. Le pitture architettoniche sottolineano l’ingresso. a destra: una donna nuda ritratta nelle terme
Il Larario, altare delle divinità domestiche tipico delle case romane, nel cortile della Casa delle pareti Rosse. È stato ritrovato intatto, con le statuine sacre che ora sono al Museo nazionale di Napoli
Il peristilio (giardino porticato) della grande Domus dei Dioscuri. L’ampia vasca al centro, dove doveva trovarsi una fontana, mostra ancora i segni dei bombardamenti che colpirono gli scavi nel 1943
A finales del siglo XVI, Roma acoge al joven Caravaggio, “adoptado” por la aristocracia papal para dar credibilidad al propio mensaje en los timepos de la Contrarreforma.
La extraordinaria eficacia visiva de su arte sacra encuentra inspiración en los rostros y los gestos de las personas que este maravillosos y controvertido artista encontraba en los callejones y en los tugurios de Roma.
Centinaia di dirigenti e migliaia di funzionari. Che non sanno sbloccare soldi o fermare il cemento. La macchina dei Beni Culturali non funziona. E ora Renzi vuole tagliare tutto. Per risparmiare 71 milioni di euro l’anno
A soli quattro giorni dal voto di fiducia, il governo ha così approvato il ridimensionamento di cinque direzioni regionali su 17, ha preannunciato la soppressione di altri 32 posti di vertice e preparato la lettera d’addio per 2285 dipendenti, fra vigilanti, funzionari e segretarie. Così prevede di risparmiare 71 milioni di euro all’anno. Con un altro taglio alla tutela del nostro tesoro. Che, però, questa volta punta dritto al cuore della macchina burocratica chiamata a tutelarlo, indispensabile quanto elefantiaca e spesso inefficiente.
Renzi attacca i Gran Commis delle Belle Arti: 190 dirigenti, oltre quattromila tecnici, ventimila dipendenti, senza contare la – a sua volta ipertrofica – Sicilia. Un esercito destinato a un compito immane, viste le dimensioni e la portata del nostro patrimonio, fatto di opere d’arte come di scavi archeologici, di castelli e reggie, di manoscritti e volumi preziosi, fino agli archivi dove è conservata la nostra memoria. Ma nei fatti l’armata della tutela sembra oggi impantanata nelle sue stesse regole, travolta da fiumi di carta mentre Pompei crolla, Caserta traballa e Sibari affoga. E persino l’armonia leopardiana dell’ermo colle potrebbe venire ferita da un resort a cinque stelle.
La struttura sarà anche pingue, ma è paralizzata. Dalla mancanza di fondi, sì, ma anche di capacità. Troppo spesso i funzionari non sono in grado di svolgere come si deve le richieste di base: dallo scrivere un ricorso al Tar, ad esempio, per impedire di cementificare uno scorcio magnifico, al mettere insieme la pratiche giuste per trovare i soldi e far iniziare un restauro. Nei meravigliosi palazzi dove i guardiani delle belle arti vivono seppelliti dalle carte, si trovano così più segretari che architetti, più custodi che archeologi. E poi c’è il gigante centrale, il moloch romano che impiega più di 4000 persone attorno a una cinquantina tra soprintendenze, direzioni generali e altre poltrone di riguardo. Un fiume di persone e di stipendi che prosciugano di fatto i denari del Mibac. Tutto questo, com’è ovvio, inceppa la macchina. Ecco come.
I numeri del declino. Il portafoglio vuoto è una certezza per i tecnici della storia: i finanziamenti per la manutenzione ordinaria di opere e monumenti sono passati dagli oltre 201 milioni del 2002 ai 70,5 del 2012. I soldi per le emergenze da 65 (2008) a 37. Il miliardo e mezzo di euro che arriva in totale al ministero delle meraviglie (erano più di due sei anni fa), finisce così in gran parte a pagare gli stessi dipendenti, scrive la Corte dei Conti. E neanche basta: nel 2011 il Mibac ha accumulato 20,9 milioni di euro di debiti solo per saldare affitti, bollette e benzina.
È un esercito povero, insomma, quello dei difensori del patrimonio. Ma anche mal armato. Se sulla collina dell’Infinito di Leopardi oggi non si costruirà un country-club, ad esempio, non sarà merito della soprintendenza. Ma del fatto che la proprietaria del casale ha promesso di costruire “solo” un parcheggio interrato. Mentre Tar e Consiglio di Stato avevano bocciato per ben due volte i supervisori statali, sostenendo che le loro motivazioni contro il progetto della nobildonna erano «sfuggenti». Bisogna saperli fare i ricorsi: «La nostra attività di tutela non deve solo finire sui giornali», commenta Ugo Soragni, direttore dei Beni Culturali del Veneto: «Deve resistere nel tempo. Deve riuscire a superare l’esame dei giudici amministrativi».
I difensori dei monumenti dovrebbero poi saper gestire bandi e gare d’appalto. Ma anche questa è una capacità che manca spesso negli arti periferici del golem: tanto che secondo la Corte dei Conti alla fine del 2012 dormivano in cassaforte 500 milioni di euro. Soldi fermi perché gli uffici provinciali non erano stati capaci di spenderli.«Finché continueremo a subire riforme – e ne abbiamo avute cinque in dieci anni – senza strumenti per far cambiare i nostri dipendenti, ogni promessa di rinnovamento sarà fasulla», sostiene Soragni. Ma per la formazione del personale vengono spesi sì e no 30mila euro all’anno. E nel 2013 la maggior parte di questi finanziamenti è servita a portare negli uffici in cui la contabilità era tenuta ancora a mano il nuovo brillante software della Ragioneria di Stato.
Roma caput mundi. Il neo ministro Dario Franceschini ha deciso così di iniziare la cura dimagrante dimezzando lo stipendio e le funzioni di cinque direttori regionali: quelli di Basilicata, Friuli Venezia Giulia, Marche, Umbria e Molise. Territori considerati sufficientemente piccoli per non aver bisogno di un capo ma solo di un coordinatore. E così il direttore si trova ridimensionato.
Il suo predecessore Massimo Bray forse non avrebbe cominciato da lì. Stando alla proposta di riforma dell’ex ministro, elaborata da 19 esperti e presentata nel dicembre scorso, la priorità sarebbe dovuta essere la tosatura delle poltrone romane. Che sono tante: sei archivi, altrettanti istituti centrali, nove soprintendenze, dieci Direzioni generali. Solo spostandone una negli uffici del ministero, tra affitti e utenze sono stati risparmiati 363mila euro, nota la Corte dei Conti. E alla Direzione delle antichità nazionali va il record nazionale di assenze: a gennaio i suoi 69 dipendenti hanno superato il 43 per cento di casalinghità.
Nel programma di risparmio del governo Renzi ci saranno poi i benefici delle mobilità del personale, secondo i piani già pubblicati due settimane fa da “l’Espresso”: quest’anno dovrebbero andarsene 351 persone, a cui corrisponderanno in teoria140 nuove assunzioni. Nel 2016 si arriverà a 752 addii per far posto a 601 ingressi. Con un rischio, che in burocratese si legge: «Si prevede, a decorrere dal primo gennaio 2018, un riequilibrio del personale a livello territoriale (Nord, Centro, Sud)». Ovvero, la possibilità di spostare gente dove c’è più bisogno.
Archivi fantasma. Ogni mattina una signora di 61 anni, laureata in scienze politiche, dipendente pubblica dal 1973, esce da casa sua a Sassari, prende il bus (pagando lei il biglietto: i soldi per i rimborsi sono finiti), attraversa la Sardegna e arriva a Nuoro, dove insieme a un solo custode tiene aperto l’Archivio di Stato della città. Anche di questo si occupano le soprintendenze: di mantenere la memoria di ogni atto, intervento e dettaglio di ogni ufficio statale di ogni pezzo di territorio. «Essendo un servizio pubblico, siamo costretti a tenerlo aperto tutti i giorni», spiega Maria Assunta Lorrai, direttore regionale dei Beni Culturali sardi: «È ovvio che io preferirei risparmiare, far andare fin lì la nostra archivista solo due giorni a settimana. Ma non posso farlo».
Se l’archivista di Nuoro è sola, in altre sedi ci si fa compagnia. Rieti, per esempio, provincia con qualche migliaio di residenti in meno di quella nuorese, ha 30 archivisti. Impossibile trovare una proporzione fra abitanti e dipendenti dei casellari ministeriali: Forlì, 392 mila anime, ha 13 archivisti di Stato. Teramo: 306 mila cittadini, 39 custodi. Cosenza, 714mila residenti e 85 addetti all’archivio. Torino, due milioni e 250mila abitanti, ma solo 54 guardiani della memoria.
Qui ci vuole un archeologo. Soprintendente ai beni archeologici della Calabria è Simonetta Bonomi, la donna che ha riportato i Bronzi a Reggio (29 mila visitatori in due mesi) e che lotta per far scampare le rovine di Sibari dal naufragio. Non c’è ancora riuscita: per svuotare la palude in cui sprofonda la colonia greca è in funzione lo stesso macchinario da 40 anni. E ora c’è da combattere il mare che vuole portarsi via dei pezzi del tempio dorico di Kaulon. E sì che con 363 vigilanti, funzionari e segretarie solo per l’archeologia, la supervisione del territorio potrebbe essere capillare, costante, una manutenzione passo-passo che eviti disastri. Non è così. «Gli archeologi sono in tutto dodici», spiega Bonomi: «gli architetti tre, e di questi solo due hanno l’abilitazione professionale. Infine abbiamo 10 geometri», pochi, dice, per controllare undici sedi e tutte le rovine.
Il fatto, però, è che a riempire le giornate di architetti e geometri non sono tanto le meraviglie del territorio quanto i vincoli da far rispettare: ogni anno escono dai loro computer 223.327 provvedimenti, da quello per la grondaia del negoziante di Venezia alla maxi-speculazione edilizia sulle coste pugliesi. Piccoli e grandi lavori su cui i guardiani della bellezza dovrebbero dire la loro entro 45 giorni. E non ci riescono. Nonostante l’alacre scartoffiare, infatti, il cemento avanza, si mangia le colline amate da Catullo a Sirmione o gli orizzonti celebrati da Leopardi nelle Marche. Perché ai sindaci importerà anche del tramonto, ma a patto che non intralci lo sviluppo e il business. Ed ecco perché malsopportano spesso i supervisori di Stato. Pure se sono accondiscendenti: «Sulle 500 richieste che riceviamo ogni mese», commenta Andrea Alberti, soprintendente ai beni architettonici delle province di Brescia, Mantova e Cremona: «I nostri “no” sono solo il tre o il quattro per cento. Preferiamo proporre modifiche che bloccare i lavori». Magari i pasdaran della tutela protesteranno, ma l’edilizia va avanti.
Reggia autonoma. La linea morbida si impone nel paese. Ed è arrivata anche a Caserta. La Versailles italiana, travolta dai furti e dalle polemiche, è stata tolta dalle mani di Paola Raffaella David (ora spostata a Pisa) e data in gestione all’istrionico Fabrizio Vona, soprintendente speciale di Napoli. Vona – diventato celebre per l’orticello che si è costruito sulla terrazza della Certosa di San Martino – gestisce un ufficio autonomo, ovvero che può spendere solo quello che incassa, almeno secondo le regole. Da qui il suo obiettivo: fatturare il più possibile per garantire almeno qualche restauro.
Così ha già fatto per il Museo di Capodimonte, al centro di una testarda politica di promozione. E di affitti. Già: di affitti: «Per noi è l’unico modo per sopravvivere», spiega Vona, che negli ultimi anni ha dato il salone dei borboni ai manager della Bce, al Calendario Pirelli, al Rotary incassando 20mila euro a serata; che ha organizzato dj Set nei cortili e invitato i giocatori del Napoli a farsi fotografare davanti alle opere per fare pubblicità alle collezioni. «Siamo i cugini poveri d’Europa, dobbiamo arrangiarci», dice: «Il Prado ha 85 funzionari solo per i prestiti. Noi, due esperti per sette musei. Ormai mi sono abituato a mendicare: quando mandiamo un capolavoro all’estero in cambio non chiediamo una tela. Ma soldi per i restauri».
Vedi Cabras… Conclusione: è tutto da rottamare? No. Perché i tecnici capaci sono l’unica salvezza del patrimonio. E lo si riconosce arrivando a Treviso e scoprendo che la collezione di manifesti più importante d’Europa avrà finalmente un museo, serio. O a Cabras dove i millenari guerrieri nuragici alti più di due metri scoperti nel 1974, dopo anni di attese, ritardi e litigi saranno finalmente esposti al pubblico. O ancora a Campobasso dove il soprintendente Gino Famiglietti combatte ora contro le pale eoliche autorizzate dal suo predecessore. Tutto possibile grazie ai custodi della bellezza. Che quando hanno le armi, sanno come fare.
Un bel documentario sul grande pittore fiorentino Sandro Botticelli, che lavorò agli affreschi della Cappella Sistina ma anche al servizio dei Medici, creando capolavori come “La Prinavera”, “La madonna del Magnificat”, la Serie di Nastagio degli Onesti.
Un viaggio multidimensionale, diverso da qualunque altro documentario visto finora, nella mente di quello che, ancor più di un artista, è stato il più grande genio dell’umanità: Leonardo Da Vinci.
Nel ruolo principale l’attore britannico Peter Capaldi. La voce italiana è di Filippo Nigro.
Da Vinci aveva concepito un’incredibile varietà di strumenti avanzati secoli prima che essi fossero realmente costruiti, e raccolse tutte le sue idee in un libro, il Codex Atlanticus.
6000 pagine del Codice sono ancora esistenti e sono preziosamente custodite nella Biblioteca Ambrosiana di Milano. Ogni pagina vale vari milioni di dollari!
Per la prima volta le telecamere sono state ammesse dentro l’alcova a filmare le pagine del Codice. Il risultato è uno straordinario docu-film che approfondisce la genesi e la creazione delle invenzioni di Da Vinci, seguendole mentre prendono vita e si animano grazie alle più avanzate tecnologie 3D.
Il documentario ripercorre e approfondisce le numerose discipline che Leonardo studiava (ingegneria militare, anatomia, pittura, ecc.), e che rappresentavano le sue “ossessioni”, partendo dal Codice Atlantico sino a scoprire i segreti delle sue due opere più importanti, L’ultima cena e La Gioconda.
Un’opera unica con venti protagonisti. È l’Italia con le sue venti Regioni, piccoli e grandi scrigni capaci di custodire tesori diversi ma ugualmente preziosi. La Valle d’Aosta con la maestà delle sue vette, dal Bianco al Cervino. Il Piemonte con l’intenso profumo dei suoi rinomati vini, come il Barolo, le sue montagne olimpiche e il Barocco. La Liguria con i colori dei suoi borghi marinari. La Lombardia con l’incanto dei suoi grandi laghi, dal Maggiore al Garda. Il Trentino e l’Alto Adige con le cime dorate delle Dolomiti. Il Veneto con lo splendore delle sue ville e delle città d’arte, come Venezia. Il Friuli Venezia Giulia con il suo fascino sospeso tra la terra e il mare. L’Emilia Romagna con la sua Riviera romagnola, per tutti sinonimo di gran divertimento. E poi la celebre Toscana, terra di splendide città come Firenze e di colline fatate come il Chianti. O le Marche, con le sue lunghe spiagge, i piccoli borghi e i dolci rilievi. Il Lazio dell’eterna Roma e dei pellegrini in visita al papa. L’Umbria, cuore verde d’Italia e culla dello spirito francescano. L’Abruzzo e il suo maestoso Gran Sasso, con il ghiacciaio perenne più a Sud d’Europa. Il piccolo Molise dalle grandi tradizioni contadine. La Campania, che ha regalato al mondo celebrità culinarie come gli spaghetti e la pizza, La bellezza di Capri e Ischia, il fascino di Pompei e Paestum. La Basilicata custode preziosa dei Sassi di Matera, uno dei tanti tesori dell’Unesco in Italia. La Puglia, splendide spiagge e gioielli architettonici come i Trulli. La Calabria e le sue magnifiche coste. E poi le due grandi isole: la soleggiata Sicilia, terra di grandi monumenti delle più importanti civiltà del passato, e la orgogliosa Sardegna con il suo mare d’incanto.
Tante tessere di un unico meraviglioso mosaico: l’Italia, bella come un film.