Da oggi una sedia, un cassetto o un tritacarne possono trasformarsi in una compostiera domestica. Uno strumento dove fare autonomamente la raccolta differenziata. In città, a spiegare come adoperarsi col “fai da te” per il riciclo ci sono un gruppo di giovani che hanno istallato un gazebo nella centralissima via dello shopping vomerese
di Katiuscia Laneri
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Il pianeta azzurro | |
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Titolo originale | Il pianeta azzurro |
Paese | Italia |
Anno | 1982 |
Durata | 88 min |
Colore | colore |
Audio | sonoro |
Genere | documentario |
Regia | Franco Piavoli |
Soggetto | Franco Piavoli |
Sceneggiatura | Franco Piavoli |
Montaggio | Franco Piavoli |
Interpreti e personaggi | |
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Premi | |
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È stato presentato in concorso alla cinquantesima edizione del Festival di Venezia.
Trama
Il film segue il ciclo delle stagioni nel paesaggio di campagna, dal risveglio della vita dopo le gelate invernali alle fioriture della primavera, il calore estivo nel lavoro dei campi e il crepuscolo dell’autunno. L’uomo si confronta con la natura nel susseguirsi delle stagioni e nei momenti essenziali della sua esistenza: l’infanzia, l’amore, il cibo, il lavoro, il dolore.
Il film
Il film è costruito attraverso tempi lunghi che vogliono creare un’intima adesione degli spettatori con i ritmi della natura: alcune sequenze durano diversi minuti senza l’ausilio di effetti e accelerazioni.
L’opera è stata realizzata in due anni in totale libertà realizzativa: Silvano Agosti ha fornito a Piavoli una cinepresa Arriflex con cui il regista e la sua assistente Neria Poli hanno potuto girare 30.000 metri di pellicola[1].
Il film è completamente privo di commento musicale, salvo una messa di Josquin Desprez nel finale.
Il Negroni che guardavi dall’alto e mescolavi, a fine giugno maturità e aperitivo al Monti. A casa poi scrivevi i tuoi racconti, sacrificavi i tuoi diciannov’anni curva su di un MacBook Pro. La pelle. La finta pelle. “Andrò a New York a lavorare da American Apparel. Io ti assicuro che lo faccio,
o se non altro vado al parco e leggo David Foster Wallace.”
Spietato e inesorabile è lo sguardo maschile, persino o soprattutto in un liceo del centro. Tu fumavi ed ostentavi una malinconia che male si intonava coi tuoi leggings fluorescenti. Le Lomo. Le Polaroid. L’immagine di sé che mette ansia. Le finte ansie. “Giuro, non c’è posto nel mio cuore per un post in più su Facebook con Daniel Johnston alle quattro del mattino.”
Caterina, tu mi odi e io lo so di non farci bella figura. Sono il primo a riconoscere che se solamente fossi stata più attraente dentro i tuoi vestiti a righe, non avrei fatto finta di niente.
La pelle. La finta pelle. “Andrò a New York a lavorare o a studiare. Dirò ai miei genitori che sto male qui a Roma. Vedrai.”
Oggi nella stazione di Napoli le commemorazioni per la strage che il 23 dicembre 1984 provocò la morte di 16 persone e il ferimento di quasi 300. La vicenda processuale si è aperta lo scorso aprile quando a Totò Riina è stata recapitata un’ordinanza di custodia cautelare in carcere per strage. Secondo i pm, sarebbe stata la risposta di Cosa nostra ai mandati di cattura di Falcone e Borsellino del settembre 1984
Io so.
Io so i nomi dei responsabili di quello che viene chiamato “golpe” (e che in realtà è una serie di “golpe” istituitasi a sistema di protezione del potere).
Io so i nomi dei responsabili della strage di Milano del 12 dicembre 1969.
Io so i nomi dei responsabili delle stragi di Brescia e di Bologna dei primi mesi del 1974.
Io so i nomi del “vertice” che ha manovrato, dunque, sia i vecchi fascisti ideatori di “golpe”, sia i neo-fascisti autori materiali delle prime stragi, sia infine, gli “ignoti” autori materiali delle stragi più recenti.
Io so i nomi che hanno gestito le due differenti, anzi, opposte, fasi della tensione: una prima fase anticomunista (Milano 1969) e una seconda fase antifascista (Brescia e Bologna 1974).
Io so i nomi del gruppo di potenti, che, con l’aiuto della Cia (e in second’ordine dei colonnelli greci della mafia), hanno prima creato (del resto miseramente fallendo) una crociata anticomunista, a tamponare il ’68, e in seguito, sempre con l’aiuto e per ispirazione della Cia, si sono ricostituiti una verginità antifascista, a tamponare il disastro del “referendum”.
Io so i nomi di coloro che, tra una Messa e l’altra, hanno dato le disposizioni e assicurato la protezione politica a vecchi generali (per tenere in piedi, di riserva, l’organizzazione di un potenziale colpo di Stato), a giovani neo-fascisti, anzi neo-nazisti (per creare in concreto la tensione anticomunista) e infine criminali comuni, fino a questo momento, e forse per sempre, senza nome (per creare la successiva tensione antifascista). Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro a dei personaggi comici come quel generale della Forestale che operava, alquanto operettisticamente, a Città Ducale (mentre i boschi italiani bruciavano), o a dei personaggio grigi e puramente organizzativi come il generale Miceli.
Io so i nomi delle persone serie e importanti che stanno dietro ai tragici ragazzi che hanno scelto le suicide atrocità fasciste e ai malfattori comuni, siciliani o no, che si sono messi a disposizione, come killer e sicari.
Io so tutti questi nomi e so tutti i fatti (attentati alle istituzioni e stragi) di cui si sono resi colpevoli.
Io so. Ma non ho le prove. Non ho nemmeno indizi.
Io so perché sono un intellettuale, uno scrittore, che cerca di seguire tutto ciò che succede, di conoscere tutto ciò che se ne scrive, di immaginare tutto ciò che non si sa o che si tace; che coordina fatti anche lontani, che mette insieme i pezzi disorganizzati e frammentari di un intero coerente quadro politico, che ristabilisce la logica là dove sembrano regnare l’arbitrarietà, la follia e il mistero.
Tutto ciò fa parte del mio mestiere e dell’istinto del mio mestiere. Credo che sia difficile che il mio “progetto di romanzo”, sia sbagliato, che non abbia cioè attinenza con la realtà, e che i suoi riferimenti a fatti e persone reali siano inesatti. Credo inoltre che molti altri intellettuali e romanzieri sappiano ciò che so io in quanto intellettuale e romanziere. Perché la ricostruzione della verità a proposito di ciò che è successo in Italia dopo il ’68 non è poi così difficile.
Tale verità – lo si sente con assoluta precisione – sta dietro una grande quantità di interventi anche giornalistici e politici: cioè non di immaginazione o di finzione come è per sua natura il mio. Ultimo esempio: è chiaro che la verità urgeva, con tutti i suoi nomi, dietro all’editoriale del “Corriere della Sera”, del 1° novembre 1974.
Probabilmente i giornalisti e i politici hanno anche delle prove o, almeno, degli indizi.
Ora il problema è questo: i giornalisti e i politici, pur avendo forse delle prove e certamente degli indizi, non fanno i nomi.
A chi dunque compete fare questi nomi? Evidentemente a chi non solo ha il necessario coraggio, ma, insieme, non è compromesso nella pratica col potere, e, inoltre, non ha, per definizione, niente da perdere: cioè un intellettuale.
Un intellettuale dunque potrebbe benissimo fare pubblicamente quei nomi: ma egli non ha né prove né indizi.
Il potere e il mondo che, pur non essendo del potere, tiene rapporti pratici col potere, ha escluso gli intellettuali liberi – proprio per il modo in cui è fatto – dalla possibilità di avere prove ed indizi.
Mi si potrebbe obiettare che io, per esempio, come intellettuale, e inventore di storie, potrei entrare in quel mondo esplicitamente politico (del potere o intorno al potere), compromettermi con esso, e quindi partecipare del diritto ad avere, con una certa alta probabilità, prove ed indizi.
Ma a tale obiezione io risponderei che ciò non è possibile, perché è proprio la ripugnanza ad entrare in un simile mondo politico che si identifica col mio potenziale coraggio intellettuale a dire la verità: cioè a fare i nomi.
Il coraggio intellettuale della verità e la pratica politica sono due cose inconciliabili in Italia.
All’intellettuale – profondamente e visceralmente disprezzato da tutta la borghesia italiana – si deferisce un mandato falsamente alto e nobile, in realtà servile: quello di dibattere i problemi morali e ideologici.
Se egli vien messo a questo mandato viene considerato traditore del suo ruolo: si grida subito (come se non si aspettasse altro che questo) al “tradimento dei chierici” è un alibi e una gratificazione per i politici e per i servi del potere.
Ma non esiste solo il potere: esiste anche un’opposizione al potere. In Italia questa opposizione è così vasta e forte da essere un potere essa stessa: mi riferisco naturalmente al Partito comunista italiano.
È certo che in questo momento la presenza di un grande partito all’opposizione come è il Partito comunista italiano è la salvezza dell’Italia e delle sue povere istituzioni democratiche.
Il Partito comunista italiano è un Paese pulito in un Paese sporco, un Paese onesto in un Paese disonesto, un Paese intelligente in un Paese idiota, un Paese colto in un Paese ignorante, un Paese umanistico in un Paese consumistico. In questi ultimi anni tra il Partito comunista italiano, inteso in senso autenticamente unitario – in un compatto “insieme” di dirigenti, base e votanti – e il resto dell’Italia, si è aperto un baratto: per cui il Partito comunista italiano è divenuto appunto un “Paese separato”, un’isola. Ed è proprio per questo che esso può oggi avere rapporti stretti come non mai col potere effettivo, corrotto, inetto, degradato: ma si tratta di rapporti diplomatici, quasi da nazione a nazione. In realtà le due morali sono incommensurabili, intese nella loro concretezza, nella loro totalità. È possibile, proprio su queste basi, prospettare quel “compromesso”, realistico, che forse salverebbe l’Italia dal completo sfacelo: “compromesso” che sarebbe però in realtà una “alleanza” tra due Stati confinanti, o tra due Stati incastrati uno nell’altro.
Ma proprio tutto ciò che di positivo ho detto sul Partito comunista italiano ne costituisce anche il momento relativamente negativo.
La divisione del Paese in due Paesi, uno affondato fino al collo nella degradazione e nella degenerazione, l’altro intatto e non compromesso, non può essere una ragione di pace e di costruttività.
Inoltre, concepita così come io l’ho qui delineata, credo oggettivamente, cioè come un Paese nel Paese, l’opposizione si identifica con un altro potere: che tuttavia è sempre potere.
Di conseguenza gli uomini politici di tale opposizione non possono non comportarsi anch’essi come uomini di potere.
Nel caso specifico, che in questo momento così drammaticamente ci riguarda, anch’essi hanno deferito all’intellettuale un mandato stabilito da loro. E, se l’intellettuale viene meno a questo mandato – puramente morale e ideologico – ecco che è, con somma soddisfazione di tutti, un traditore.
Ora, perché neanche gli uomini politici dell’opposizione, se hanno – come probabilmente hanno – prove o almeno indizi, non fanno i nomi dei responsabili reali, cioè politici, dei comici golpe e delle spaventose stragi di questi anni? È semplice: essi non li fanno nella misura in cui distinguono – a differenza di quanto farebbe un intellettuale – verità politica da pratica politica. E quindi, naturalmente, neanch’essi mettono al corrente di prove e indizi l’intellettuale non funzionario: non se lo sognano nemmeno, com’è del resto normale, data l’oggettiva situazione di fatto.
L’intellettuale deve continuare ad attenersi a quello che gli viene imposto come suo dovere, a iterare il proprio modo codificato di intervento.
Lo so bene che non è il caso – in questo particolare momento della storia italiana – di fare pubblicamente una mozione di sfiducia contro l’intera classe politica. Non è diplomatico, non è opportuno. Ma queste categorie della politica, non della verità politica: quella che – quando può e come può – l’impotente intellettuale è tenuto a servire.
Ebbene, proprio perché io non posso fare i nomi dei responsabili dei tentativi di colpo di Stato e delle stragi (e non al posto di questo) io non posso pronunciare la mia debole e ideale accusa contro l’intera classe politica italiana.
E io faccio in quanto io credo alla politica, credo nei principi “formali” della democrazia, credo nel Parlamento e credo nei partiti. E naturalmente attraverso la mia particolare ottica che è quella di un comunista.
Sono pronto a ritirare la mia mozione di sfiducia (anzi non aspetto altro che questo) solo quando un uomo politico – non per opportunità, cioè non perché sia venuto il momento, ma piuttosto per creare la possibilità di tale momento – deciderà di fare i nomi dei responsabili dei colpi di Stato e delle stragi, che evidentemente egli sa, come me, non può non avere prove, o almeno indizi.
Probabilmente – se il potere americano lo consentirà – magari decidendo “diplomaticamente” di concedere a un’altra democrazia ciò che la democrazia americana si è concessa a proposito di Nixon – questi nomi prima o poi saranno detti. Ma a dirli saranno uomini che hanno condiviso con essi il potere: come minori responsabili contro maggiori responsabili (e non è detto, come nel caso americano, che siano migliori). Questo sarebbe in definitiva il vero Colpo di Stato.
È targata La Tempesta la compilation di dicembre in download gratutito per i lettori diXL. Venti tracce realizzate dagli artisti che compongono una realtà che è anche etichetta indipendente. Una compilation che lancia l’appuntamento con il Festival La Tempesta, il 3 dicembre al Rivolta di Marghera, accompagnata da due video live dei Zen Circus.
LA TEMPESTA. SCARICA QUI LA COMPILATION
La Tempesta nasce nel 2000 per dare forza alla nuova musica popolare italiana. Più che un’etichetta discografica indipendente, è un collettivo d’artisti che crede sia ancora possibile cambiare il mondo con una canzone. Oltre 50 titoli in quasi 12 anni di attività, riassunti brevemente in queste 20 tracce. Le Luci della Centrale Elettrica, Massimo Volume, Il Teatro degli Orrori, Aucan, Il Cane, Sick Tamburo sono soltanto alcuni dei partecipanti a una strepitosa compilation tutta da ascoltare. Una compilation che celebra la prima edizione invernale del festival La Tempesta ospitata il 3 dicembre al Rivolta di Marghera. Tanti ospiti per un festival lungo 8 ore, trasmesso in livestreaming daSherwood.it e durante cui i Tre allegri ragazzi morti festeggiano il decenale della pubblicazione del loro album: La testa indipendente.
Previste agevolazioni per chi ha conservato il biglietto del festival estivo del 23 luglio.
La Tempesta – Tracklist
02. Sick Tamburo – E so che sai che un giorno, tratto da: A.I.U.T.O.
03. The Zen Circus – I qualunquisti, tratto da: Nati per subire
04. Il Pan del Diavolo – Il centauro, tratto da: Sono all’osso
05. Massimo Volume – La bellezza violata, tratto da: Cattive abitudini
06. Moltheni – Corallo, tratto da: Ingrediente Novus
07. Tre Allegri Ragazzi Morti – La faccia della luna tratto da: Primitivi del futuro
08. Aucan – Storm (Video edit), tratto da: Black Rainbow
09. Uochi Toki – I mangiatori di patate, tratto da: Libro Audio
10. Smart Cops – Il cattivo tenente, tratto da: Per proteggere e servire
11. Il Teatro degli Orrori – Compagna Teresa, tratto da: Dell’impero delle tenebre
12. Giorgio Canali & Rossofuoco – La solita tempesta (feat. Angela Baraldi), tratto da: Rojo
13. Altro – Passato, tratto da: Aspetto
14. Fine Before You Came – Fede, tratto da: Sfortuna
15. Il cane – La settimana ha i giorni contati, tratto da: Metodo di danza
16. Cosmetic – Non siamo di qui – In ogni momento
17. A Classic Education – Baby, It’s Fine, tratto da: Call It Blazing
18. One Dimensional Man – Too Much, tratto da: A Better Man
19. Gionata Mirai – Allusioni #3, tratto da Allusioni
20. Coro Anni Dieci – Villa Tempesta