Debía abrir temporada el 27 de noviembre con Aída y luego dirigir Las bodas de Fígaro
Roma, 22 de septiembre.
El director Riccardo Muti se marcha de la Ópera de Roma y, según la carta abierta dirigida al teatro y publicada hoy en los medios italianos, no lo hace en buenos términos.
En la misiva asegura que no hay una base para un trabajo exitoso y tranquilo en la ópera y que no asumirá las dos producciones que debía dirigir en la temporada 2014-15.
Muti, quien era director vitalicio en Roma, tenía que inaugurar la temporada el 27 de noviembre con Aída, de Verdi. En mayo y junio de 2015 iba a dirigir Las bodas de Fígaro, de Wolfgang Amadeus Mozart.
El músico, de 73 años, que también lleva la Chicago Sym-phony Orchestra, señaló que ha decidido tomar este paso tras largas y tortuosas reflexiones. Ahora, adelantó, se centrará en la orquesta Cherubini, creada por él.
El ministro de Cultura, Dario Franceschini, lamentó la decisión.
El anuncio de Muti debería ser una llamada de atención para todo aquel que haya entorpecido su trabajo en la ópera romana, dijo. El teatro, que cuenta con un presupuesto notoriamente escaso, se ha visto paralizado en numerosas ocasiones por huelgas en los meses recientes.
Dal 20 giugno al 7 settembre, 54 appuntamenti con 6 titoli d’Opera e 3 serate di Gala vi aspettano all’Arena di Verona per l’edizione 2014 del Festival lirico
Per celebrare il primo secolo di Festival lirico all’Arena di Verona ed inaugurare i prossimi 100 anni all’insegna della grande opera, il Festival del Centenario 2013 vedrà il celebre Plácido Domingo in qualità di Direttore Artistico Onorario, oltre che direttore d’orchestra ed interprete sul palcoscenico più grande del mondo.
L’annuncio del governatore Rossi a Roma dopo la riunione con il ministro Bray, il commissario Bianchi e il sindaco Renzi: «È l’unica alternativa alla chiusura»
FIRENZE – Cinque mesi di trattative non sono bastate a salvare il Maggio dalla soluzione più traumatica. La Fondazione lirico sinfonica dovrà dare un taglio netto col passato. Liquidazione. «La liquidazione della Fondazione è l’unica alternativa alla chiusura del Maggio musicale fiorentino». Così il presidente della Toscana Enrico Rossi ha spiegato la scelta presa a Roma al vertice presso il ministero dei Beni culturali. Al collegio romano per affrontare la questione Maggio si sono presentati lui, il sindaco Matteo Renzi, l’assessore Pietro Roselli per la Provincia di Firenze e il commissario straordinario della Fondazione Francesco Bianchi per incontrare il ministro Bray.
Quasi due ore per accettare la realtà: il Maggio, commissariabile già dal 2010, con quella zavorra di oltre 35 milioni di euro e con quell’organico sovradimensionato non ha futuro. Liquidazione coatta amministrativa quindi. Ma con l’obiettivo di ripartire.
A quello dovrebbero servire i 16 milioni che Rossi ha chiesto di sostegno alla Cassa depositi e prestiti. E con un piano che consenta «di riassorbire gli esuberi in più anni». Sono 119 tra posti a tempo indeterminato e precari (ma con grosse possibilità di essere reintegrati dal giudice del lavoro fino ad oggi) i licenziamenti previsti dal piano del commissario. I sindacati hanno oggi presentato la loro controproposta, con risparmi per 2.8 milioni di euro e nessun esubero. Ma il commissario all’uscita dall’incontro non ha voluto commentare. Con la liquidazione che il ministro Massimo Bray deve ora rendere operativa Bianchi può partire scegliendo di liquidare completamente il Maggio aspettando la nascita di una nuova fondazione o tagliare i settori annunciati (amministrativi, laboratori, MaggioDanza) procedendo in esercizio provvisorio.
Fervono i preparativi per la prima di quella che nell’ambiente della lirica viene definita l'”Aida dei prossimi cent’anni”, e si preannuncia come uno degli avvenimenti culturali di maggiore importanza del 2013. Il nuovo allestimento è curato da La fura dels Baus, il celebre gruppo catalano, la compagnia di teatro “urbano” che dal 1979 stupisce con la continua ricerca creativa di nuovi spazi e modelli espressivi. Per loro è un doppio debutto, la prima volta sul palcoscenico dell’anfiteatro veronese e la prima rappresentazione dell’opera verdiana. Per Verona è invece una grande festa. La nuova Aida e la messa in scena di una rievocazione dell’allestimento presentato nell’Arena nel 1913 ad agosto, si svolgono all’interno delle celebrazioni del centenario del festival operistico ed al bicentenario della nascita di Giuseppe Verdi. Vi presentiamo una serie di scatti realizzati in questi giorni ra preparazione, backstage e prove ufficiali.
espresso.repubblica.it)A cura di Mauro Pelella, foto di Marco Cipriani
Egli si presenta come il tuttofare della città, oltre che come barbiere (infatti factotum viene dal latino, che letteralmente significa “colui che fa qualunque cosa”), vantando la propria popolarità. Figaro afferma ciò perché a quel tempo i barbieri non si limitavano a tagliare barbe e capelli, ma esercitavano più mestieri, tra i quali alcune forme di medicina.
Costituisce un pezzo di bravura per i baritoni, la cui tecnica è messa alla prova dai numerosi scioglilingua, tipici dell’opera buffa, ed è inoltre uno dei pezzi più celebri del repertorio operistico classico.
Testo desunto dallo spartito
Largo al factotum della città.- Largo
Presto a bottega che l’alba è già. – Presto
Ah, che bel vivere, che bel piacere, che bel piacere
per un barbiere di qualità, di qualità!
Ah, bravo Figaro!
Bravo, bravissimo! Bravo!
Fortunatissimo per verità! Bravo!
Fortunatissimo per verità, fortunatissimo per verità!
Pronto a far tutto,
la notte e il giorno
sempre d’intorno in giro sta.
Miglior cuccagna per un barbiere,
vita più nobile, no, non si da.
Rasori e pettini
lancette e forbici,
al mio comando
tutto qui sta.
Rasori e pettini
lancette e forbici,
al mio comando
tutto qui sta.
V’è la risorsa,
poi, del mestiere
colla donnetta… col cavaliere…
colla donnetta… col cavaliere…
che bel vivere.. che bel piacere! che bel piacere!
per un barbiere di qualità! di qualità!
Tutti mi chiedono, tutti mi vogliono,
donne, ragazzi, vecchi, fanciulle:
Qua la parrucca… Presto la barba…
Qua la sanguigna…
Presto il biglietto…
tutti mi chiedono, tutti mi vogliono! Qua la parrucca, presto la barba,
Presto il biglietto, ehi!
Figaro! Figaro! Figaro!, ecc.
Ahimè, Ahimè, che furia!
Ahimè, che folla!
Uno alla volta, per carità! per carità! per carità!
uno alla volta, uno alla volta, uno alla volta, per carità! Ehi, Figaro! Son qua.
Figaro qua, Figaro là, x2
Figaro su, Figaro giù,
Pronto prontissimo son come il fulmine:
sono il factotum della città.
della città! della città! della città!
Ah, bravo Figaro! Bravo, bravissimo;
a te fortuna non mancherà.
Vigilia tormentata e innevata per il capolavoro di Wagner. L’influenza tiene lontano dal palcoscenico sia Anja Harteros sia Ann Petersen, che avrebbe dovuto sostituirla. La nuova protagonista, Annette Dasch, è arrivata in città in piena notte per il ruolo di Elsa e ha incantato il pubblico milanese. Proteste dei centri sociali all’arrivo del premier Monti. L’Inno di Mameli eseguito alla fine della rappresentazione.
Elsa von Brabant canta nel suo dolce tedesco “sola, in giorni d’angoscia, ho supplicato Iddio…” mentre fuori, sotto la neve, non si arrendono i contestatori. Nel teatro il pubblico della prima è ammaliato dalla bacchetta di Daniel Barenboim, cullato dalle note di un Wagner romantico, come confermano i 15 minuti di applausi tributati alla fine e intervallati dall’esecuzione dell’Inno di Mameli con l’orchestra e l’intero coro. All’esterno, come ogni anno il 7 dicembre, si sono radunati quelli che non vogliono o non hanno alcun motivo per festeggiare: centri sociali, disoccupati, gli operai a rischio posto di lavoro. Una inaugurazione tra crisi e misurata eleganza, alla Scala, per l’apertura apertura della stagione 2012-2013. In scena il Lohengrin di Richard Wagner. Sul podio Daniel Barenboim. Cinque ore di opera in tedesco che hanno scoraggiato i presenzialisti. Il teatro si è riempito soprattutto di veri appassionati di musica, anche se l’allestimento scenico non ha convinto tutti.
LA MUSICA E IL CORO. La parte del leone l’ha fatta la musica di questa opera romantica, la più ‘italiana’ fra quelle del compositore tedesco. Grandi applausi a Barenboim e all’orchestra scaligera, come si è detto, ma anche tanti consensi al formidabile coro della Scala diretto da Bruno Casoni, protagonista al pari dei personaggi in scena, che ha entusiasmato l’intera sala dal termine dello spettacolo quando ha intonato l’Inno di Mameli, che è stato cantato da tutti gli spettatori in piedi. Il regista Claus Guth e l’autore delle scene Christian Schmidt hanno proposto un Lohengrin fuori dagli schemi della tradizione, ambientando una vicenda della prima metà del decimo secolo in luoghi, architetture e costumi dei tempi di Wagner, a metà dell’ Ottocento. A proposito dell’inno, il protocollo prevede che l’esecuzione sia obbligatoria solo se c’è il presidente della Repubblica o un presidente straniero. Nel primo intervallo Monti e il sindaco Pisapia ne hanno parlato con Barenboim. E poi Barenboim ha spiegato la decisione con due ragioni: l’elemento etereo del preludio di Lohengrin e la volontà del coro di cantare.
IL CAMBIO DI CAST. Il ruolo di Elsa, che in origine doveva essere interpretato dal soprano Anja Harteros, la quale “a causa del perdurare di una forma influenzale” è “costretta a rinviare il suo debutto”, è stato cantato da Annette Dasch, soprano che dal 2010 interpreta questo ruolo al Festival wagneriano di Bayreuth e alla quale il pubblico scaligero ha tributato una lunghissima ovazione. Qualche mormorio il pubblico lo ha riservato alla regia di Claus Guth, invece, e alla scenografia. Peraltro anche Ann Petersen, che aveva cantato per la serata dedicata agli ‘under 30’, “ha contratto analoga indisposizione”. L’annuncio era arrivato dallo stesso Teatro alla Scala, che “ringrazia sentitamente la signora Dasch, che è giunta nella notte a Milano e con la sua generosa disponibilità ha dato un segno di attaccamento al teatro e di amicizia alla Scala”. Le due coppie contrapposte sulla scena hanno stregato il pubblico dall’inizio alla fine: l’una spirituale e pura con la Dasch e Jonas Kaufmann (Lohengrin); l’altra demoniaca e perversa con Evelyn Herlitzius (Ortrud) e Tomas Tomasson (Telramund). Applausi anche a Renè Pape e a Zeljko Lucic.
BARENBOIM: “SONO FELICE”. “Questo Lohengrin mi ha dato tutto – ha detto il maestro argentino Barenboim – Sono veramente molto, molto felice”. A suo giudizio non capita spesso che uno spettacolo sia così completo: “Qui c’è una regia stupenda, che ha tanti punti drammaturgici. Lo spettacolo rimane sempre esteticamente bellissimo. E questa è una cosa abbastanza rara, perché oggi abbiamo o spettacoli interessanti, e a volte brutti, o abbiamo spettacoli belli all’occhio ma niente altro”. Delle polemiche tra Wagner e Verdi invece non vuole sentir parlare e ripete le parole del presidente Giorgio Napolitano, il grande assente della serata, che le ha definite “futili e patetiche”. “Più si parla di questo – ha aggiunto – e più si da importanza a gente che non si dovrebbe prendere sul serio. Verdi è nato nell’ottore del ’13 e quindi non si dovrebbe cominciare l’anno verdiano prima di quella data”. Quanto all’interpretazione di Annette Dasch, il maestro non si mostra sorpreso dall’ottima performance. La conosce bene. “E’ un’attrice favolosa, anche una buonissima musicista. La sua voce si è sviluppata perfettamente per questi ruoli. Secondo me sarà una grandissima cantante wagneriana. Ho provato con lei cinque minuti al pianoforte questa mattina ed è stato un piacere”.
LA MESSA IN SCENA. Guth e Schmidt hanno realizzato una scena fissa per tutto lo spettacolo: “Una sorta di gabbia pesante così Guth stesso la descrive – che pare una fabbrica o una caserma, in cui si iscrivono i riferimenti alla natura e alla fantasia”. Un tavolo e un lampadario ne fanno un ambiente chiuso, alti muri tutt’intorno con ballatoi e un albero centrale ne fanno un cortile dove il re arringa il popolo di Brabant. In un angolo della scena un pianoforte simboleggia forse un luogo dove a turno i personaggi si rifugiano. Il cigno bianco non trasporta la barca con Lohengrin, che compare invece a terra, rannicchiato in posizione fetale, quasi fosse partorito dalla mente di un’Elsa che, accusata d’infamia da Telramund, chiede l’aiuto di un eroico cavaliere che la salvi. Lohengrin appare debole, fragile, impacciato, tremante in una dimensione magica, un po’ morbosa, perché è un eroe divino ancora non compiutamente umano. Ma tutti vedono ugualmente in lui, vincitore nel ‘giudizio di Dio’ contro Telramond, un salvatore, un uomo del destino che salverà la terra di Brabant.
“GLI ELEMENTI PSICOANALITICI”. Le ali del cigno appaiono a tratti nel braccio di un bambino, poi di un giovane, infine di un adulto morente trasportato a braccia. E Guth avverte: “L’opera di Wagner contiene elementi psicoanalitici molto forti, soprattutto nel rapporto tra i due protagonisti, Lohengrin ed Elsa, che vivono di proiezioni e non di sentimenti reali”. Nel secondo atto le pareti del cortile si incupiscono nella notte in cui Ortrud confida a Telramund le trame del complotto ai danni di Elsa e Lohengrin. Nel terzo, il gioco di luci rende i muri trasparenti e azzurrini, simili alle acque di un lago, mentre al centro, una boscaglia e un pontile fanno da cornice all’amore fra i due giovani, prima che Elsa, ponga all’eroe la domanda fatale.
GLI INVITATI ECCELLENTI. Per la prima è arrivato anche il premier Mario Monti con la moglie Elsa (in abito blu di Raffaella Curiel), insieme con vari ministri e il sindaco Giuliano Pisapia (che ha indossato lo stesso smoking dello scorso anno). Il maltempo (ha cominciato a nevicare verso le 15) ha costretto tanti ad arrivare in ritardo. Ma non ha fatto demordere le proteste all’esterno. Qualche momento di tensione quando un corteo di antagonisti ha cercato di raggiungere piazza della Scala da via Montenapoleone. Un cordone di polizia li ha bloccati e tenuti a distanza: i manifestanti hanno continuato la loro protesta urlando slogan contro il governo e le banche.
IL LOOK DELLE SIGNORE. Ma la consapevolezza del difficile momento economico era anche nell’aria del foyer. Poche le ostentazioni di pellicce e gioielli. Se il colore prevalente degli abiti è stato il nero (il più provocante: quello lungo di pizzo e velluto nero indossato da Valeria Marini), le più giovani si sono presentate con semplici vestitini al ginocchio. Qualcuna, in tema con l’opera, ha esibito piume bianche. L’attrice Tea Falco è arrivata con un copricapo-diadema a forma di cigno, il simbolo dell’opera. Marta Marzotto ha scelto un abito a cappa beige, altre hanno puntato sul verde o sul rosso. Eleganti nei loro kimono un gruppo di donne giapponesi in delegazione.
LO SMOKING DI LAPO E LA MASCHERA DI FACCI. Anche gli uomini hanno scelto alternative al solito smoking: il più originale, Lapo Elkann con un abito doppiopetto color carta da zucchero in velluto. “Questo è uno smoking”, ha ripetuto per tutta la sera a chi gli chiedeva perché avesse rinunciato al capo maschile elegante per antonomasia. E dopo le polemiche dei giorni scorsi su Verdi e Wagner, il pubblico, soprattutto quello femminile, è rimasto conquistato dall’affascinante Lohengrin-Jonas Kaufmann, anche senza scintillante armatura d’argento. L’inviato di Libero Filippo Facci si è presentato con indosso la maschera di Alessandro Sallusti, in segno di solidarietà nei confronti del direttore del Giornale ai domiciliari dopo la condanna per diffamazione. Facci è stato brevemente fermato dalla Digos all’ingresso, che poi lo ha lasciato entrare.
LA PROTESTA DEI LAVORATORI. I lavoratori della Scala, al termine dell’opera, hanno lanciato un centinaio di volantini di protesta dal loggione proprio mentre gli spettatori hanno iniziato ad applaudire. “Eccoci… – esordisce il testo del volantino – A molti di voi poco interessa sapere che al Teatro alla Scala si consumano veri e propri misfatti, ne elenchiamo alcuni”, tra cui la condizione precaria di molti lavoratori e la presunta presenza di amianto alla Scala. Il volantino era firmato Cub Informazione-Settore spettacolo.
Nella buona e nella cattiva sorte, i messicani si consolano con la loro musica. C’è una musica messicana per ogni occasione: la ranchera, la marimba, o il metal. E poi c’è l’opera.
Il paese sta riscoprendo l’amore per questo genere musicale. “Il calore, l’emozione trasmessa dalla voce latina che si sente nella musica popolare come il mariachi, si ritrova anche nell’opera”, sostiene Charles Oppenheim, editore di una rivista pubblicata dalla ProOpera, un gruppo privato senza scopo di lucro che ha l’obiettivo di promuovere questa tradizione musicale.
E nella città di San Miguel de Allende, nel Messico centrale, una coppia di cantanti statunitensi in pensione ospita un corso per aspiranti cantanti lirici messicani. Un articolo del Washington Post.