Due firme dell’Espresso a confronto su uno dei temi più caldi di questi giorni: il vaticanista Sandro Magister e Stefano Livadiotti, autore del recente libro inchiesta ‘I senza Dio’
Guardie svizzere
Dal blog Settimo Cielo di Sandro Magister
Infuria l’attacco contro la Chiesa cattolica che non paga l’Ici. Ed è vero: per molti suoi immobili la Chiesa non la paga né la deve pagare. Non per un privilegio esclusivo, ma per una legge, la 504 del 30 dicembre 1992 (primo ministro Giuliano Amato), che, se oggi fosse fatta cadere, penalizzerebbe assieme alla Chiesa una schiera nutritissima di altre confessioni religiose, di organizzazioni di volontariato, di fondazioni, di Onlus, di Ong, di Pro loco, di patronati, di enti pubblIci territoriali, di aziende sanitarie, di istituti previdenziali, di associazioni sportive dilettantistiche, insomma di enti non commerciali.
La legge esenta tutti questi enti, compresi quelli che compongono la galassia della Chiesa cattolica, dal pagare l’Ici sugli immobili di loro proprietà “destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di cui all’articolo 16, lettera a) della legge 20 maggio 1985 n. 222”, ovvero le attività di religione o di culto.
Questo vuol dire, ad esempio:
– che una parrocchia di Milano non paga l’Ici per le aule di catechismo e l’oratorio, ma la paga per l’albergo che ha sulle Dolomiti, abbia o no questo al suo interno una cappella.
– che la Caritas di Roma non paga l’Ici per le sue mense per i poveri, né per l’ambulatorio alla Stazione Termini, né per l’ostello nel quale ospita i senza tetto. E ci vuole un bel coraggio a dire che così fa concorrenza sleale a ristoranti, hotel e ospedali.
– che la Chiesa valdese giustamente non paga l’Ici per il suo tempio di Piazza Cavour a Roma, né per le sale di riunione, né per l’adiacente facoltà di teologia. La paga, però, per la libreria che è a fianco del tempio.
– che la comunità ebraica di Roma non paga l’Ici per la Sinagoga, per il Museo, per le scuole. Ma la paga per gli edifIci di sua proprietà adibiti ad abitazioni o negozi.
– che l’Anffas, associazione che assiste 30 mila disabili, non paga l’Ici per ciascuno dei suoi oltre mille centri. Ma la paga per gli immobili di sua proprietà dati in affitto.
– che non va pagata l’Ici per l’ex convento che fa da quartier generale della comunità di Sant’Egidio, né per le sue case per anziani. Va pagata invece per il ristorante che la comunità gestisce a Trastevere.
Insomma, questo vuol dire che su case date in affitto, negozi, librerie, ristoranti, hotel, eccetera, di proprietà di un qualsiasi ente non commerciale, l’Ici già la si paga da un pezzo. Per legge. E da quest’obbligo la Chiesa cattolica non ha alcuna esenzione.
Tant’è vero che a Roma, dove Propaganda Fide e l’Amministrazione del Patrimonio della Sede Apostolica possiedono un buon numero di palazzi, questi due enti vaticani “sono tra i primi se non i primi contribuenti Ici della capitale”, testimonia Giuseppe Dalla Torre, presidente del tribunale dello Stato della Città del Vaticano e membro del consiglio direttivo dell’autorità di informazione finanziaria della Santa Sede.
Questo stabilisce la legge. Eppure i giornali e i giornalisti che danno prova di esserne a conoscenza si contano sulle dita di una mano sola.
E gli altri? Saranno anche grandi testate e grandi firme, ma se in una materia così elementare non si mostrano capaci di una minima verifica dei fatti, non fanno onore alla professione.
Come obnubilati dalla febbre della polemica, tutti costoro nemmeno sembrano capire che pretendere che la Chiesa cattolica paghi l’Ici anche per gli immobili su cui è esentata – cioè le chiese, i musei, le biblioteche, le scuole, gli oratori, le mense, i centri d’accoglienza, e simili – vuol dire punire l’immenso contributo dato alla vita dell’intera nazione non solo dalla Chiesa stessa ma anche da ebrei e da valdesi, da Caritas e da Emergency, da Telethon e da Amnesty International, insomma da tutti quegli enti non profit per i quali vige l’identica normativa.
Se l’esigenza numero uno dell’Italia è la crescita, tale multiforme, generosa, formidabile offerta di apporti non va penalizzata, ma sostenuta.
Le esenzioni dall’Ici previste dalla legge non sono denari in perdita. Sono risorse che ritornano moltiplicate allo Stato e alla società.
La replica di Stefano Livadiotti
Il tentativo di Sandro Magister di difendere la posizione della Chiesa sul fronte del pagamento (meglio dire: del non pagamento) dell’Ici, non sta in piedi. Vediamo.
Magister richiama la legge 504 del 30 dicembre 1992, che esenta gli enti non commerciali, comprese dunque la Chiesa, dal pagamento dell’imposta sugli immobili destinati esclusivamente allo svolgimento di attività assistenziali, previdenziali, sanitarie, didattiche, ricettive, culturali, ricreative e sportive, nonché delle attività di religione o di culto. «Questo vuol dire», scrive il vaticanista, «che su case date in affitto, negozi, librerie, ristoranti, hotel, eccetera, di proprietà di un qualsiasi ente non commerciale, l’Ici già la si paga da un pezzo. Per legge. E da quest’obbligo la Chiesa cattolica non ha alcuna esenzione».
La seconda parte della sua affermazione è senz’altro vera: su questi beni la Chiesa non gode di alcuna esenzione. La prima parte, invece, non corrisponde a verità. Almeno, non sempre. Lo scorso settembre “l’Espresso” ha documentato, inoppugnabilmente e per primo, una serie di casi di enti-satellite della Chiesa nei confronti dei quali sono state avviate procedure di accertamento per il mancato versamento di imposte dovute su immobili destinati ad attività non di culto: dieci casi, citati a titolo di esempio dall'”Espresso”, nel comune di Roma, che in un documento uffIciale (17 marzo 2009; numero di protocollo “Rc 3825”), scriveva: «Per quanto riguarda il mancato introito annuale per il Comune di Roma, il dato indicato nel consuntivo 2006 relativo all’esenzione Ici per gli enti ecclesiastIci proviene da stime effettuate dal Dipartimento II, che sono in corso di aggiornamento. A tali stime, che indicano in circa 25,5 milioni la perdita di gettito parziale per Ici ordinaria, va aggiunto il minor introito per arretrati, stimato in circa 8 milioni al momento dell’introduzione della nuova normativa».
Al contrario di quanto asserisce Magister, dunque, l’Ici non «la si paga». In questo senso, sì, «da un pezzo». Ed è questo il punto. Gli enti della Chiesa non versano, non sempre comunque, le tasse dovute sugli immobili adibiti ad uso commerciale e dunque in concorrenza (sleale) con privati che non godono degli stessi privilegi. Il mancato gettito annuo per il fisco, costretto a rifarsi sui contribuenti onesti, è stato quantificato tra i 700 milioni (Anci, Associazione dei comuni) e i 2,2 miliardi (Ares, Agenzia di ricerca economica e sociale). Il resto sono solo parole in libertà. Come quelle scagliate contro chi pretenderebbe di far pagare alla Chiesa l’Ici sulle parrocchie: una richiesta che neanche il più demente degli estremisti anticlericali si è mai sognato di avanzare.
Sostiene Magister che le polemiche da più parti lanciate in questi giorni nei confronti dell’atteggiamento elusivo, quando non evasivo, della Chiesa, sono semplicemente il frutto della disinformazione prodotta dall’ignoranza dei giornalisti, «obnubilati dalla febbre della polemica». Eppure sono gli stessi vertIci della Chiesa ad ammettere ora che il caso esiste. Ha cominciato il segretario di Stato, Tarcisio Bertone («problema da studiare»; mercoledì 7 dicembre), seguito a ruota dal presidente della Cei, il cardinale Angelo Bagnasco («se ci sono punti della legge da rivedere o da discutere, non ci sono pregiudiziali da parte nostra»; venerdì 9 dicembre 2011).
Affermazioni che hanno indotto il notista politico del “Corriere della Sera”, il sempre puntuale Massimo Franco, a registrare un «cambio di linea da parte dei vescovi». Una vera e propria inversione a “U” ignorata anche dall’house organ dei vescovi “Avvenire” e imposta dal calendario. A breve, infatti, l’Unione europea dovrà stabilire se l’ambigua legge italiana, in base alla quale gli enti della Chiesa possono evitare di pagare l’Ici quando la presenza di un semplice altarino consente di qualificare come “non esclusivamente commerciale” la destinazione di un edifIcio, si configuri come un aiuto di Stato, vietato dalla normativa.
La stessa Ue dovrà inoltre prendere posizione sull’articolo 149 del Testo unico delle imposte sui redditi, che, con una logica imperscrutabile, conferisce a vita agli enti ecclesiastIci la qualifica (e i relativi benefIci fiscali) di enti non commerciali, indipendentemente dalla loro reale attività.