Sei aprile 2009, ore 3.32 della notte. Ventitre secondi appena e l’Aquila non sarà mai più quella di prima. Tanto dura la scossa distruttiva, sulla cui reale magnitudo ancora si dibatte. Sugli effetti pure: 309 persone morte e una città lacerata nel profondo. Che cinque anni dopo non ha ancora il suo cuore pulsante: un centro storico bellissimo e martoriato.
Gli uffici della Commissione Ue avevano scovato irregolarità in una serie di opere pubbliche nell’ambito della ricostruzione dell’Aquila e degli altri centri colpiti dal terremoto del 2009. Opere dal valore di ben 306 milioni di euro. Che l’Italia, nonostante la segnalazione dell’Ue, “avrebbe pagato regolarmente”, secondo quanto denuncia Roberto Galtieri, consulente dell’eurodeputato danese Soren Sondergaard.
E’ questo il dato più scottante che emergerebbe dalla relazione della Commissione europea. Una relazione ancora secretata, ma che dovrebbe essere finalmente resa pubblica nelle prossime ore. A rendere noto l’ammontare delle spese su cui Bruxelles aveva scoperto irregolarità e presunte frodi è stato questo pomeriggio il vice direttore della Direzione generale Regio dell’esecutivo Ue, Normund Poppens, nel corso di un’audizione al Parlamento europeo.
Stando a quanto dichiarato da Poppens, nei mesi successivi ai primi interventi di emergenza in Abruzzo, l’Italia aveva presentato all’Ue i capitoli di spesa da coprire con fondi di Bruxelles, quelli provenienti dal Fondo europeo di solidarietà. Tra questi, per l’appunto, quelli relativi a una serie di opere costate 306 milioni. Ma la Commissione si rende conto che qualcosa non quadra e scopre diverse irregolarità nella realizzazione delle opere. A quel punto, sarebbe dovuto intervenire l’Olaf, l’ufficio anti frodi dell’Ue. Ma non appena il governo italiano viene informato della possibile indagine di Bruxelles, cambia le carte in tavola e decide di destinare i fondi europei verso altre spese “pulite”. Evitando in questo modo l’intervento dei controllori dell’Olaf e un probabile stop ai pagamenti (o un eventuale recupero delle somme già erogate).
Che cosa ne è stato, allora, dei progetti dove l’Ue ha scovato presunte irregolarità? O meglio, come sono stati pagati questi progetti? Secondo alcune fonti di Bruxelles, sembra che i progetti siano stati pagati regolarmente e a farsene carico sarebbe stato il governo italiano. A Palazzo Chigi sedeva ancora Silvio Berlusconi, mentre la Protezione civile era saldamente in mano a Guido Bertolaso. In sostanza, nonostante la denuncia di Bruxelles, l’Italia è andata dritta per la sua strada. La campagna (soprattutto mediatica) per la ricostruzione dell’Abruzzo non poteva essere fermata.
Il risultato è che, oggi, ci sono diverse inchieste della magistratura che stanno mettendo a nudo le diverse falle della gestione della ricostruzione. Sono quelle, per esempio, che sono state riportate nel dossier redatto dall’europarlamentare danese Soren Sondergaard. Un dossier che è stato reso noto la scorsa settimana in una conferenza stampa all’Aquila e che contesta soprattutto tre aspetti: la maggiorazione delle spese (ogni nuova casa è costata il 158 per cento in più del valore di mercato, come accertato dalla Corte dei Conti europea), infiltrazioni della criminalità organizzata negli appalti (in particolare nei subappalti), sistemi elettrici e isolatori sismici difettosi. L’elenco delle presunte irregolarità messe nere su bianco sul dossier di Sondergaard è lungo. Ma non manca chi lo contesta.
L’eurodeputato del Pdl, Crescenzio Rivellini, ha presentato oggi a Bruxelles una contro-relazione che smentirebbe punto per punto le tesi del collega danese: “Il dossier è stato redatto in maniera confusa e rischia di provocare un danno d’immagine pericoloso per la stessa ricostruzione – dice – In questi mesi, infatti, stiamo chiedendo che le spese per la ricostruzione dell’Aquila non siano conteggiate nel patto di stabilità da parte dell’Ue. Guarda caso, questo dossier rischia di far saltare questa trattativa, fondamentale per il futuro delle opere in città”.
Anche la Commissione europea ha ribadito le sue critiche al dossier. Per esempio, sull’aumento dei costi per la costruzione delle case rispetto ai normali prezzi di mercato, l’esecutivo oggi ha ripetuto la tesi già espressa nei giorni scorsi: “Si tratta di un effetto della situazione d’emergenza in cui si è operato. Se gli operai lavorano 24 ore su 24 è normale che ci sia un aumento dei costi, ma lo si doveva fare”.
L’Ue ha impegnato in tutto 493 milioni. Di questi 350 per il progetto CASE. Su queste somme, la Commissione Ue ha assicurato che al momento non ci sono notizie di irregolarità o, peggio, di infiltrazioni mafiose. In due casi, comunque, l’Olaf starebbe indagando. Come a dire, anche se le spese “sporche” sono state a carico dell’Italia, non è detto che nei prossimi mesi l’Ue non scopra frodi anche su quei capitoli di spesa che finora ha considerato “puliti”. In questo caso, scatterebbe la richiesta all’Italia di restituire le somme. Per i 306 milioni “macchiati” da presunte frodi, invece, l’Ue non può far nulla. Solo la magistratura italiana può intervenire, come del resto sta già facendo.
Cialente: con 20mila sfollati sulle spalle, ho restituito la fascia da sindaco al presidente Napolitano e ammainato il tricolore
A quattro anni dal terremoto che ha colpito L’Aquila, il sindaco Massimo Cialente lancia il suo appello perché venga finanziata la ricostruzione. «Le risorse si possono reperire con il meccanismo del mutuo venticinquennale con la Cassa depositi e prestiti: 60 milioni l’anno per ciascun miliardo. Si può fare».
Massimo Cialente, sindaco dell’Aquila (Lapresse)
Caro Direttore, le scrivo spinto dal terrore che L’Aquila sia destinata a morire, tra l’indifferenza politica e la malcelata insopportazione nei nostri confronti che si respira, ultimamente, in tutte le istituzioni dello Stato. A quattro anni dal terremoto che ha cancellato i luoghi della nostra identità proiettandoci nel ricordo del passato nella speranza di sopravvivere al presente, ci ritroviamo senza fondi per la ricostruzione. Non è finanziato il futuro dell’Aquila. Il cantiere più grande d’Europa continua a reggersi sulle sue impalcature mettendo gli operai in cassa integrazione e lasciando le famiglie, a migliaia, parcheggiate nelle case di Berlusconi o negli alberghi. Commissariati prima, abbandonati ora. Ci servono sette miliardi ancora per la Città dell’Aquila e quattro per i 56 Comuni del cratere sismico. Non tutti insieme ma diluiti nei prossimi anni, quelli sanciti nel cronoprogramma della ricostruzione, coraggioso documento approvato dal consiglio comunale che dice agli aquilani quando potranno rientrare nelle loro case, da qui al 2018.
20MILA SFOLLATI – Sono risorse che possono essere reperite con il meccanismo del mutuo venticinquennale con la Cassa depositi e prestiti: 60 milioni l’anno per ciascun miliardo. Si può fare. Così com’è stato fatto dal governo Monti per i nostri fratelli dell’Emilia, ai quali sono stati erogati 10 miliardi. E mentre io oggi, con 20mila sfollati ancora sulle spalle, ho restituito la fascia da sindaco al presidente della Repubblica e ammainato il tricolore nella vana speranza che qualcuno si degni di considerare il peso della nostra tragedia, Vasco Errani può affermare, con sacrosanto orgoglio, che nelle sue contrade potrà essere ricostruito tutto, sino all’ultimo euro. Con i finanziamenti finora ricevuti, abbiamo riparato 15mila unità immobiliari delle periferie, 5 mila delle quali, molte crollate o dovute abbattere, hanno ancora i cantieri in corso. Abbiamo speso 2 miliardi e 200 mila euro. La nostra, dati alla mano, è la ricostruzione che sta costando meno al metro quadro.
RICOSTRUZIONE – Con gli ultimi finanziamenti previsti, 980 milioni di competenza per il 2013/2015, ricostruiremo altre 4mila unità immobiliari, le più complesse, cominciando ad aggredire una minuscola porzione del centro storico, con i suoi 400 ettari, tra i più estesi d’Italia. E poi? Cosa ne sarà del capoluogo d’Abruzzo, seconda città d’Italia per numero di edifici vincolati dal ministero dei Beni culturali, testimonianza autentica di una città di fondazione medievale, dove la cultura si sposa con la natura e la qualità della vita è sempre stata impagabile? Capirà il Paese che la ricostruzione dell’Aquila rientra tra le priorità nazionali? Che se la ricostruzione dell’Aquila riuscisse a partire con quella dell’Emilia, avremmo un effetto positivo sul Pil dando ossigeno ad aziende e imprese? Abbiamo avuto tanta pazienza. Oggi siamo allo sbando. Senza casa, senza lavoro, senza prospettive per il futuro. Sospesi.
APPELLO – Tramite il suo giornale, sereno e oggettivo cronista in questi anni della nostra tragedia, rivolgo il mio appello a tutti gli italiani, agli intellettuali, ai mille storici dell’arte che tre settimane fa si sono dati appuntamento tra le nostre macerie, alla classe dirigente del Paese, al Parlamento e al governo: non abbandonate L’Aquila e il suo territorio. Non meritiamo di essere lasciati soli, per la dignità che abbiamo mostrato, il coraggio, gli sforzi che abbiamo compiuto e stiamo compiendo, schiacciati in una vicenda politica più grande di noi che, sul nostro dolore, ha consumato i suoi riti, le sue fortune, le sue polemiche e i suoi scontri. Se necessario, chiederei anche al Paese di accettare l’idea di una piccola tassa di scopo. Ricostruire L’Aquila, oltre che dovere per l’Italia, dovrebbe essere motivo di orgoglio nazionale di fronte al mondo intero. L’Aquila non può e non deve morire.
Un viaggio fra le strade dell’Aquila, parlando con le autorità cittadine e gli abitanti che non vogliono rinunciare alla prorpia città ma che si sentono abbandonati dallo Stato.
Il 6 aprile 2009, un terremoto ha ferito la città dell’Aquila, ucciso 309 persone e devastato economicamente e socialmente un intero territorio e la sua comunità. Oggi, a quattro anni da quella terribile notte, l’illegalità diffusa e la corruzione rischiano di uccidere la città, il cui processo di ricostruzione non è ancora stato propriamente avviato. Dall’altro lato il soffocamento sistematico di ogni tentativo di partecipazione attiva della popolazione e di ogni moto di indignazione e protesta, rischiano di spegnere definitivamente ogni residuo senso di giustizia e la speranza in una rinascita.
Questo video nasce da un lavoro di ricerca e riflessione sul tema della legalità e della giustizia nel contesto aquilano del post-terremoto, svolto da studenti e studentesse del Liceo Cotugno dell’Aquila, coordinati dalla professoressa Annalucia Bonanni.
Una ricognizione delle inchieste in atto e dei processi celebrati all’Aquila, restituisce un quadro sconfortante: il terremoto è diventato occasione di speculazione affaristica e mediatica e in tal senso i mali di questa città sono lo specchio dei mali del Paese.
Le ragazze e i ragazzi impegnati nel progetto hanno scoperto quanto diffusa sia stata, e sia tuttora, l’illegalità nella città dell’Aquila. A fronte di una corruzione che coinvolge tutte le amministrazioni pubbliche e i più alti livelli di rappresentanza dello Stato, spiccano i processi nei confronti di alcuni cittadini che hanno dato vita a una stagione di manifestazioni e proteste per reclamare quei diritti e quella partecipazione alla cosa pubblica che sono stati puntualmente negati e soffocati.
La conclusione, allora, è che non c’è Ricostruzione possibile dove non c’è legalità. E soprattutto, è necessario che la legalità, come dice il titolo, abbia il volto della Giustizia.
“IL VOLTO DELLA GIUSTIZIA”
Da un’idea di Annalucia Bonanni
Regia: Stefano Ianni
Soggetto e testo: Annalucia Bonanni
Fotografia: Francesco Colantoni
Suono in presa diretta: Giulio Ughi
Musiche: Professor Cliq
Si ringraziano per i materiali di repertorio: Luca Cococcetta, Francesco Paolucci, Alberto Puliafito
Il video è stato presentato il 6 aprile 2013 al convegno “Ricostruiamo la legalità partendo da L’Aquila”, organizzato dall’A.N.M. e da LIBERA per il quarto anniversario del terremoto.
Si precisa che il prefetto sotto inchiesta fuori l’Aquila di cui si parla nel video è il prefetto in carica all’Aquila dal 26 maggio 2010 al 4 novembre 2012.
Il ministro Barca parla di otto o dieci anni, il sindaco Cialente di cinque. L’incognita maggiore è sempre quella dei finanziamenti. Date e risorse definiti da due documenti, la delibera Cipe del 21 dicembre 2012 e il cronoprogramma approvato dal Consiglio comunale il 28 marzo. Ma bisognerà rispettarli
di PIERA MATTEUCCI
Una via del centro storico dell’Aquila
Otto o dieci anni, secondo il ministro per la Coesione territoriale, Fabrizio Barca. Ma ne bastano anche cinque, per il sindaco Massimo Cialente. Quattro anni dopo il sisma che ha devastato la città dell’Aquila e ha danneggiato molti comuni vicini, il balletto delle date e delle cifre continua, ma la ricostruzione del centro storico ancora deve partire. È vero che di cantieri, soprattutto in periferia e nei piccoli centri, ne sono stati avviati e chiusi tanti. È anche vero che le abitazioni che avevano subito danni lievi sono state sistemate e che molti cittadini sono rientrati nelle loro case, ma è altrettanto vero che il cuore del capoluogo d’Abruzzo ha smesso di pulsare alle 3.32 del 6 aprile 2009 e ancora non si ha alcuna certezza di quando ricomincerà a battere.
L’emergenza prima, il commissariamento poi, e tutte le incertezze burocratiche e normative hanno di fatto bloccato l’inizio dei lavori e la popolazione, dapprima spaventata, poi arrabbiata, ora è ogni giorno più delusa e depressa, convinta che non ci siano speranze per il futuro. “Abbiamo perduto 309 fratelli e sorelle. E continuiamo a piangere per loro, insieme alle loro persone più care. Stiamo perdendo soprattutto i giovani. Perché constatano con immensa amarezza e con tanta rabbia che questa loro città, una città che hanno tanto amato, non offre loro più nessuna speranza per il futuro”, ha detto l’arcivescovo metropolita Giuseppe Molinari, alla vigilia della Pasqua.
Scadenze da rispettare. Ipotizzare dieci anni per la ricostruzione della città non è assurdo, secondo il ministro Barca che ha scelto il 21 marzo, primo giorno di primavera, come data simbolo per dare il via ufficiale ai lavori nel centro storico: “La stima di 8-10 anni per il completamento della ricostruzione è assolutamente fattibile perché ora abbiamo una programmazione e criteri di priorità”, ha dichiarato, facendo il bilancio di quanto fatto dal 27 gennaio 2012 (giorno in cui il presidente del Consiglio, Mario Monti, gli conferì l’incarico di accelerare la ricostruzione dell’Aquila) a oggi. Due sono i documenti che, se rispettati, dettano tempi e risorse: la delibera Cipe del 21 dicembre 2012 e il cronoprogramma approvato dal Consiglio comunale il 28 marzo. “L’Aquila va ricostruita in cinque anni – ha replicato il sindaco – e questo è il compito minimo che il Paese stesso dovrà assumersi”.
Quello che è stato fatto… Il quadro degli interventi conclusi dal 6 aprile 2009 ad ora è stato illustrato da Cialente: 60/90 i giorni serviti per far rientrare nelle proprie abitazione 20mila persone le cui case erano risultate agibili dopo il sisma, una rapida soluzione anche per le case B e C, gestite dal Comune e il crollo di oltre il 50% del contributo di autonoma sistemazione. Diversa, invece, la sorte per gli immobili classificati E (inagibilità totale), sui quali pesa “un pesante ritardo accumulato dalla gestione del Commissario e della Struttura tecnica di missione. Rientreranno comunque per metà dell’anno prossimo le E della periferia – ha assicurato – Il vero problema resta il centro storico: delle case E, che sono migliaia, ci sono pervenuti solo 1.931 progetti, con una richiesta di 1,5 miliardi di euro”. L’incognita più grande è rappresentata sempre dai fondi, che al momento non sono disponibili e che, in base al calcolo fatto dal Comune, comunque non bastano. “Allo stato attuale – ha spiegato il sindaco – perché tutto il comune venga ricostruito definitivamente, servono ancora 7 miliardi di euro, 6,1 solo per la città dell’Aquila… il Comune avrà bisogno di un miliardo l’anno”.
La delibera Cipe. Sono 2,3 i miliardi stanziati dal governo per la ricostruzione e ripartiti dal 2013 al 2015 all’interno della delibera 21 dicembre 2012. Ma le cifre, analizzate dai membri dell’Assemblea cittadina, non sembrano in grado di fare fronte alle necessità della ricostruzione. Secondo i cittadini, infatti, dovendo essere compresi nella somma stanziata gli interventi per l’edilizia pubblica e privata delle periferie e del centro storico e per le periferie e i centri dei comuni del cratere, gli interventi per lo sviluppo delle attività produttive, le spese per l’assistenza alla popolazione, l’assistenza tecnica e la manutenzione dei nuovi aggregati, pare evidente che la somma sbandierata da Barca non è sufficiente. “Per il 2013 – ha spiegato l’assessore alla Ricostruzione, Pietro Di Stefano – la delibera prevede per il centro storico e la periferia dell’Aquila 660 milioni, di cui 300 per il centro storico. I 150 milioni della gestione stralcio sono stati già utilizzati per gli edifici scolastici, le macerie, gli alberghi etc. I fondi che avevamo si sono esauriti per finanziare i progetti della periferia. Senza soldi è impossibile pensare di avviare i cantieri”. “La soluzione – ha chiarito l’assessore – è quella di ripristinare la Cassa Depositi e prestiti e di dare vita a una programmazione seria”.
La tabella di marcia. E proprio per dimostrare la volontà di fare, il Comune ha assecondato la richiesta del governo di mettere a punto un cronoprogramma, una sorta di tabella di marcia con la quale si fissano tempi, modalità e risorse per la ricostruzione privata. “Si tratta di un atto di coraggio – ha sottolineato ancora Di Stefano – un ulteriore passo in avanti per far vedere al governo che il nostro lavoro prosegue. Ora tocca all’esecutivo sbloccare i fondi e erogarne altri. L’obiettivo è quello di arrivare a un completo stanziamento delle risorse destinate alla ricostruzione entro il 2018, per consentire alla città, candidata a capitale europea della Cultura 2019, di essere pronta. Allora saranno passati dieci anni dal sisma, una data significativa, dato che all’indomani del terremoto si diceva che per rimetterci in piedi ci sarebbero voluti dieci anni”.
Dall’asse centrale l’inizio della rinascita. Il prossimo passo da fare è, secondo Cialente, quello di riportare i cittadini nel centro storico. “È questo il momento di partire con l’asse centrale (l’area compresa tra piazza Battaglione Alpini, la Fontana Luminosa, e la Villa Comunale), cuore pulsante della città per il quale servono un miliardo e 312 milioni di euro, di cui 412 milioni quest’anno. Dobbiamo poter contare su finanziamenti certi perché alla fine del 2015 l’asse centrale torni alla vita”. Sarà questo il primo gradino per avviare, nel 2014, la ricostruzione di tutto il centro storico…
Depositata la sentenza che nell’ottobre scorso ha visto condannati tutti i componenti della Commissione Grandi Rischi a una pena di 6 anni: le dichiarazioni degli esperti sono risultate “generiche e inefficaci”. Ma non è stato, ha scritto il magistrato, “un processo alla scienza”
Affermazioni “assolutamente approssimative, generiche e inefficaci in relazione ai doveri di previsione e prevenzione”: lo afferma il giudice del tribunale dell’Aquila Marco Billi nelle motivazioni della sentenza che nell’ottobre scorso ha condannato i componenti della Commissione Grandi Rischi in relazione al sisma del 6 aprile 2009. Erano stati condannati a 6 anni tutti gli imputati, cioè i componenti della commissione: Franco Barberi, presidente vicario della Commissione Grandi Rischi, Bernardo De Bernardinis, già vice capo del settore tecnico del dipartimento di Protezione Civile, Enzo Boschi, presidente dell’Ingv, Giulio Selvaggi, direttore del Centro nazionale terremoti, Gian Michele Calvi, direttore di Eucentre e responsabile del progetto Case, Claudio Eva, ordinario di fisica all’Università di Genova e Mauro Dolce direttore dell’ufficio rischio sismico di Protezione civile.
Nel documento di 940 pagine, depositato due giorni prima del termine previsto, si definisce la riunione che produsse una mancata analisi del rischio e risultanze rassicuratorie, che hanno indotto gli aquilani a restare in casa mentre, con una condotta più prudente, si sarebbero potute salvare alcune vite. La “migliore indicazione” sulle rassicurazioni della commissione, si legge nelle motivazioni della sentenza, “si ricava dalla lettura della frase finale della bozza del verbale della riunione, laddove l’assessore alla Protezione civile regionale Daniela Stati, in modo emblematico, dice: “Grazie per queste vostre affermazioni che mi permettono di andare a rassicurare la popolazione attraverso i media che incontreremo in conferenza stampa”.
Billi sottolinea che “la rassicurazione non costituisce un segmento della condotta che il pm contesta agli imputati, ma costituisce in realtà l’effetto prodotto dalla condotta contestata”. Le affermazioni emerse nel corso della riunione della Commissione sui temi “della prevedibilità dei terremoti, dei precursori sismici, dell’evoluzione dello sciame in corso, della normalità del fenomeno, dello scarico di energia indotto dallo sciame sismico quale situazione favorevole, che costituiscono il corpo principale del capo di imputazione” hanno una “indubbia valenza rassicurante”.
Insomma non è stato un processo “alla scienza”. ”Non è volto – scrive il giudice – alla verifica della fondatezza, della correttezza e della validità sul piano scientifico delle conoscenze in tema di terremoti. Non è sottoposta a giudizio ‘la scienza’ per non essere riuscita a prevedere il terremoto del 6 aprile 2009″. “Il compito degli imputati, quali membri della commissione medesima, non era certamente quello di prevedere (profetizzare) il terremoto e indicarne il mese, il giorno, l’ora e la magnitudo, ma era invece, più realisticamente, quello di procedere, in conformità al dettato normativo, alla ‘previsione e prevenzione del rischio’”, prosegue il giudice su un tema, quello del “processo alla scienza” è stato il più discusso durante tutta la vicenda e ha generato polemiche tra le istituzioni e sui media in Italia e nel mondo. “E’, dunque, pacifico – prosegue Billi – che i terremoti non si possano prevedere, in senso deterministico, perché le conoscenze scientifiche (ancora) non lo consentono; ed è altrettanto pacifico che i terremoti, quale fenomeno naturale, non possono essere evitati: il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile. Per gli stessi motivi nessuno è in grado di lanciare allarmi, scientificamente fondati, circa una imminente forte scossa”.
“Proprio sulla corretta analisi del rischio andava, di pari passo, calibrata una corretta informazione”, continua il giudice Billi. “L’affermazione secondo cui il terremoto è un fenomeno naturale non prevedibile e non evitabile – spiega nelle motivazioni – costituisce, infatti, solo la premessa dei compiti normativamente imposti agli imputati poiché, per quanto previsto dalla legge e per quanto richiesto dalla loro qualità e dalle funzioni della commissione da essi composta, il giudizio di prevedibilità/evitabilità, su cui si basa la responsabilità per colpa contestata nel capo di imputazione, non andava calibrato sul terremoto quale evento naturale, bensì sul rischio quale giudizio di valore”.
Le promesse non mantenute in Italia devono essere un monito per la ricostruzione dopo l’uragano
Danni all’Aquila
«L’Aquila è lontana da Staten Island o Rockaways, le aree dello Stato di New York più colpite dall’uragano Sandy, ma le difficoltà del capoluogo abruzzese dopo il devastante terremoto dell’aprile 2009 possono essere un monito per New York nella ricostruzione delle zone danneggiate dal passaggio della recente calamità naturale». A sostenerlo è Michael Kimmelman, giornalista e massimo esperto d’arte del New York Times, che ha visitato varie volte l’Aquila dopo il sisma. Kimmelman ricorda la costruzione delle «new towns» lanciate dal presidente del Consiglio Silvio Berlusconi e i «tristi, isolati, minuscoli e costosi appartamenti di cui lo stesso Berlusconi si vantò di avere ordinato per gli abitanti della città», rimasti senza un tetto dopo il sisma e collocati «nella periferia della città, tagliati fuori dai trasporti di massa e dalla vita civile». Ma il centro storico dell’Aquila è rimasto deserto, un cumulo di rovine oggetto di «turismo pornografico».
LA RICOSTRUZIONE – La morale, secondo il giornalista, è che sarebbe meglio ricostruire in modo diverso: le case antisismiche in legno costerebbero meno e l’Aquila ricomincerebbe a vivere, anche senza gli edifici in pietra della sua tradizione. E questa è la lezione che anche New York dovrebbe apprendere: «Per diversi motivi L’Aquila è diversa da New York», scrive il quotidiano americano, «ma i suoi ultimi anni suggeriscono che un disastro non distrugge solo case e vite. È un test per l’immaginazione e la capacità di cambiare di una città e di una nazione».
PROMESSE NON MANTENUTE – «Dal giorno del terremoto – prosegue il critico d’arte – le autorità italiane hanno continuato a promettere di restaurare la città al suo antico aspetto, ma meno di una dozzina di edifici sono stati riparati delle centinaia che sono stati danneggiati nel centro della città che è una sorta di città fantasma».
IL SEGNO POSITIVO – «Un segno positivo è arrivato a ottobre – continua Kimmelman – quando il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano è arrivato nella città abruzzese per l’apertura del nuovo auditorium progettato da Renzo Piano», promosso come «una delle poche iniziative urbane intraprese» nella città dopo il sisma. In quell’occasione, «Napolitano criticò le “nuove città” dicendo che avevano sottratto attenzione e risorse» alle sfide più importanti da intraprendere per rimettere in vita il centro cittadino. Bisogna, secondo il giornalista, abbandonare il «pensiero magico» e la speranza di ricostruire tutto com’era. «L’Aquila ha bellissimi edifici, fra cui chiese barocche e palazzi di uffici razionalisti del primo ventesimo secolo. Potrebbero essere riaperti. Ma quel che rende speciale la città sono gli spazi pubblici, le strade e le piazze».
LA LEZIONE PER NEW YORK – «La lezione che anche New York dovrebbe apprendere dunque eccola: bisogna pensare all’urbanismo e non fissarsi sulle costruzioni». Anche nello Stato americano «i funzionari pubblici hanno seguito l’esempio italiano», promettendo a persone distrutte dall’uragano la ricostruzione di interi quartieri, senza ammettere che una politica di ricollocazione è «impossibile». In molti – cittadini e politici – sembrano aperti a grandi idee, conclude il quotidiano, sostenendo che «una calamità può anche essere un’opportunità per politici ambiziosi e non di meno per un presidente al suo secondo termine (Barack Obama), dunque libero da pensieri con ottiche decennali».
Il verdetto, compresa l’interdizione perpetua dai pubblici uffici, colpisce i sette membri della Commissione all’epoca in carica, che avrebbe fornito false informazioni circa l’improbabilità della forte scossa che la notte del 6 aprile 2009 causò la morte di 309 persone. L’accusa aveva chiesto quattro anni di reclusione
L’AQUILA – Condannati a sei anni per aver dato ai residenti avvertimenti insufficienti sul rischio sismico. Questa la sentenza per i sette componenti della commissione Grandi rischi, in carica nel 2009, che avevano rassicurato gli aquilani circa l’improbabilità di una forte scossa sismica, che invece si verificò alle 3,32 del 6 aprile 2009. L’accusa aveva chiesto quattro anni, ma Franco Barberi, Enzo Boschi, Mauro Dolce, Bernardo De Bernardinis, Giulio Selvaggi, Claudio Eva e Gianmichele Calvi, sono stati giudicati colpevoli di omicidio colposo plurimo e lesioni colpose. Nonostante la concessione delle attenuanti generiche, sono stati condannati anche all’interdizione perpetua dai pubblici uffici. “È la morte del servizio prestato dai professori e dai professionisti allo Stato” è stato il commento senza mezzi termini da parte del fisico Luciano Maiani, attuale presidente della commissione Grandi rischi, che ha aggiunto: “Non è possibile fornire allo Stato una consulenza in termini sereni, professionali e disinteressati sotto questa folle pressione giudiziaria e mediatica. Questo non accade in nessun altro Paese al mondo”.
Profondo errore. C’è “un profondo errore” nella sentenza che oggi ha condannato a sei anni i membri della commissione Grandi rischi, ha sottolineato Maiani. Le persone condannate oggi “sono professionisti che hanno parlato in buona fede e non spinte da interessi personali. Sono persone – aggiunge – che hanno sempre detto che i terremoti non sono prevedibili”. A fronte della loro condanna, prosegue, “non c’è nessuna indagine su chi ha costruito in maniera non adeguata ad una zona antisismica. Questo è un profondo sbaglio”.
Politica divisa su sentenza. Il mondo politico non esprime un giudizio unanime sulla sentenza: per il presidente del Senato, Renato Schifani, si tratta di “una sentenza un po’ strana e imbarazzante. Pone un problema serio e grave in relazione al quale chi sarà chiamato in futuro a ricoprire questi ruoli si farà da parte”, ha dichiarato a Porta a Porta. “Le sentenze vanno sempre rispettate e la giustizia deve fare il suo corso. Ma è importante anche dare solidarietà a queste terre ed è per questo che tornerò ancora a visitarle”, ha detto il segretario del Pd, Pier Luigi Bersani. Non è d’accordo con il verdetto l’ex ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi: ”Ulteriore sentenza angosciante destinata a inibire assunzioni di responsabilità da parte di tecnici e scienziati e a determinare ingiustificati allarmismi e impraticabili proposte di ricorrente evacuazione”. Anche per il leader dell’Udc, Pier Ferdinando Casini, la sentenza è ”una follia allo stato puro”. ”Credo che qualsiasi professionista – ha aggiunto Casini – di fronte a una sentenza di questo genere si tirerà indietro. Così è sancito l’obbligo professionale a non sbagliare”.
Quattro ore di Camera di consiglio. Il giudice unico Marco Billi si è ritirato in Camera di consiglio alle 12,30 dopo l’ultimo intervento dell’avvocato difensore Antonio Pallotta, legale di Giulio Selvaggi. Gli imputati hanno aspettato quattro ore prima di avere il verdetto. Precisamente si contestava loro di aver dato “informazioni inesatte, incomplete e contraddittorie” sulla pericolosità delle scosse registrate nei sei mesi precedenti al 6 aprile 2009. La difesa ha puntato sulla impossibilità di prevedere i terremoti, posizione sostenuta da ricercatori internazionali. “Una sentenza sbalorditiva e incomprensibile, in diritto e nella valutazione dei fatti”, ha commentato l’avvocato Marcello Petrelli, difensore del professor Franco Barberi, “non potrà che essere oggetto di profonda valutazione in appello”.
Risarcimento di 7,8 mln. Ammonta a 7,8 milioni di euro il risarcimento disposto dal giudice. A questa cifra vanno sommate le spese giudiziarie delle parti civili che ammontano a oltre 100 mila euro.
Lo stupore degli imputati. Si dice “avvilito e disperato” Enzo Boschi, ex presidente dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), nella prima reazione a caldo dopo la sentenza. “Sono frastornato, devastato, ero convintissimo che sarei stato assolto perché non ho mai rassicurato nessuno. Sfido chiunque a trovare scritta, detta a voce, su tv o da qualsiasi parte una mia rassicurazione concernente il terremoto dell’Aquila”, ha sottolineato Boschi. “E questo perché – aggiunge – nessuno è in grado di prevedere terremoti quindi io non rassicuro nessuno. La qualità degli edifici in Italia è tale che anche una piccola scossa può causare un disastro”. “Mi ritengo innocente di fronte a Dio e agli uomini”, ha detto il professor Bernardo De Bernardinis, ex vicecapo della Protezione civile e attuale presidente dell’Ispra. “La mia vita da domani cambierà, ma se saranno dimostrate le mie responsabilità in tutti i gradi di giudizio – ha aggiunto – le accetterò fino in fondo”.
Giuliani: “Sentenza non ripaga per accaduto”. ”Non mi aspettavo sei anni, pensavo che la condanna sarebbe stata inferiore. Non provo nessun godimento, nessuna sentenza ci ripaga di quanto accaduto” ha detto Giampaolo Giuliani, il tecnico di ricerca che studia il radon come precursore sismico e che nei giorni precedenti alla tragedia aveva lanciato l’allarme.
Il ricordo di Fioravanti. Nella sua replica il pm, prima che il giudice Marco Billi si chiudesse in Camera di consiglio, ha ricordato Guido Fioravanti, figlio di Claudio, avvocato e giudice tributario, oltre che una delle 309 vittime del sisma del 6 aprile. Morto nella sua casa in via Campo di Fossa, dietro alla Villa Comunale, crollata insieme a molte altre. “Noi crediamo alle persone offese – ha detto il titolare dell’accusa in aula -. Questo processo nasce perché è venuto da me Guido Fioravanti e mi ha detto: ‘mio padre è morto perché ha creduto allo Stato’. Questo è stato il punto di partenza”. Per Guido Fioravanti quello di oggi “non è stato un processo alla scienza”, ma a “ciò che ha detto la scienza e che ha mutato in noi aquilani l’approccio al terremoto”. Quella notte, Guido si era sentito con la madre verso le 23, subito dopo la prima scossa. “Mi ricordo la paura che usciva dalle sue parole. In altri tempi sarebbero scappati ma quella notte, assieme a mio padre, si sono ripetuti quello che avevano sentito dalla commissione Grandi rischi. E sono rimasti lì”.
Le reazioni del mondo scientifico. È preoccupato per le conseguenze che la condanna può avere il direttore dell’Istituto di geoingegneria del Cnr, Paolo Messina: “Una condanna durissima, e ciò che preoccupa sono le conseguenze che tale pronunciamento potrà avere: non vorrei passasse il messaggio che i terremoti si possono prevedere, perché ciò è impossibile. In linea di principio, allora, bisognerebbe evacuare l’intera popolazione ad ogni scossa?”. La sentenza con la quale sono stati condannati i componenti della Commissione Grandi Rischi, “costituisce un precedente, in grado di condizionare in modo determinante il rapporto tra esperti scientifici e decisori,non solo nel nostro Paese”, è scritto in una nota dello stesso istituto nazionale di geofisica e vulcanologia che esprime “tutto il suo rammarico e la sua preoccupazione” per la sentenza di primo grado.
Pezzopane: “Giudici hanno avuto coraggio”. Cialente: “Ora giustizia anche per dopo”. ”Ci voleva coraggio e i giudici ne hanno avuto. Finalmente un po’ di giustizia per L’Aquila”. È soddisfatta Stefania Pezzopane che il 6 aprile del 2009 ricopriva la carica di Presidente della Provincia dell’Aquila, dopo aver appreso l’esito della sentenza. Il sindaco dell’Aquila, Massimo Cialente, ha spiegato che ”volevamo questa sentenza per capire, ma il dramma non si cancella. Il comune si era costituito parte civile per chiedere giustizia: ma ora la giustizia la vogliamo anche per tutto quello che è successo dopo il 6 aprile”.
Gente in piazza: “Sei anni? Sono pochi”. ”Sono pochi, hanno fatto bene, benissimo”. In piazza Duomo a L’Aquila i cittadini aquilani riuniti sotto al tendone per ascoltare il sindaco Cialente su tasse e tributi hanno così commentato a caldo le notizie sulla sentenza.