firenze
di Alessandra Mammì
Viaggio tra Firenze, Venezia e Istanbul nei luoghi del fortunato romanzo. Dove sarà girato il film di Ron Howard. Per scoprire, in mezzo a frotte di turisti, il cuore esoterico del moderno Grand Tour
E’ il raccapriccio, sentimento fisico che dal Medioevo nutre tanto le Apocalissi cattoliche quanto lo splatter dell’horror movie. Poi, quando si sposa da una parte all’erudizione classica e dall’altra alla suspense del buon giallone da 600 pagine, diventa bestseller e subito dopo blockbuster. Ecco il segreto di Dan Brown. Che qui nella sua infernale discesa in Europa (Firenze, Venezia più tappa a Istanbul), segue le orme dei viaggiatori del Grand Tour. Quello scendere a Sud nei segreti del Bello e del Sublime che i giovani sensibili dell’aristocrazia e buona borghesia europea ritenevano necessario a curar mente e spirito.
Come Goethe, come Füssli, come Poussin, si attraverserà l’Italia a narrarne l’apollineo e il dionisiaco cercando immagini (come quelle che mostriamo) affinché «la sensazione inizi dove cambia la percezione», come disse molto più tardi André Gide. Ma Dan Brown non è Gide né tantomeno Goethe (e Ron Howard non sarà il nostro Poussin). Brown non è neanche un viaggiatore, non è un uomo del Settecento, non è europeo. Piuttosto è il tipico bravo ragazzo della provincia americana (nato nel 1964 in una città del New Hampshire da un babbo insegnante di matematica e mamma cattolica organista della Chiesa), cresciuto con il mito di una cultura artistica studiata sui libri, vissuta da turista e soprattutto vista al cinema. Da qui arriva Langdon: professore di storia dell’arte, belloccio, atletico e “arredato” con giacche di tweed scozzese e mocassini Church’s. Metà Bernard Berenson metà Indiana Jones. L’uomo che mentre scappa dal fucile ad alta precisione di una killer professionista coi capelli a spine e da una squadra acrobatica di teste di cuoio, si ferma un attimo a riflettere per ricordare a noi e alla sua compagna di sventura la storia e le storie, i simboli e le allegorie.
Sebbene “l’Inferno” di Dan Brown abbia inizio con l’amnesia di Langdon, la sua memoria eidetica (noi diremmo più genericamente visiva, ma così è definita nel testo) lo consiglia, lo avverte e lo salva come il grillo di Pinocchio. Sa riconoscere quello che è concesso solo agli iconologi e non agli occhi dei comuni mortali.
Se trova l’iscrizione con la parola Aigilas, subito avverte che bisogna guardarla ad uno specchio e leggere Saligia. E se Saligia a noi non dice nulla, lui traduce in un baleno: «E’ un espediente mnemonico latino inventato dal Vaticano nel Medioevo per rammentare ai cristiani i sette vizi capitali. Dunque Saligia è acronimo per Superbia, Avaritia, Luxuria, Invidia, Gula, Ira e Acedia». Parla così Langdon pur nel convulso succedersi degli eventi, anche quando sviene e ripete a loop la parola Vasari (ma l’amica americana, degna di Totò, pensa che dica “Very sorry”). Non si distrae mai il Nostro dal compito di rileggere da par suo le Malebolge dipinte da Botticelli in quella sua “Mappa dell’Inferno” fedele illustrazione della Divina Commedia, con peccatori che sgambettano nell’aria semisepolti a testa in giù; lussuriosi travolti da un’eterna tempesta; adulatori che si cibano dei loro stessi escrementi.
Lungo le quasi 600 pagine del libro (e si suppone gli oltre 120 minuti del film) lo studioso atletico saprà così risolvere passo passo il rebus che il cattivo di turno (un geniale e malefico scienziato svizzero dagli occhi verdi) gli ha posto sotto gli occhi, minacciando di distruggere l’intera umanità grazie a un virus di nuova generazione, capace di scatenare un’epidemia dalla potenza distruttiva equivalente alla Peste Nera del Trecento. Cosa che coinvolge direttamente sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità sia un misterioso Rettore incaricato di fornire servizi speciali a ricchi eccentrici e malefici come il Joker o Goldfinger, nonché studiosi di alchimia, storia dell’arte, simbologia, epigrafia.
Siamo davvero fortunati ad avere il professor Langdon come guida privata di un viaggio alternativo nelle glorie d’Italia. Solo lui ci può condurre per mano da Firenze a Venezia, dove il giallo si infittisce alla ricerca del “doge ‘ngannator che di più non vedea l’ossa cavò” (Dante). Solo lui può mescolare pittoresco e demoniaco, inferno e paradiso, simbologie d’oriente e d’occidente mentre si fa strada tra le malebolge di turisti, sgomitando e sudando con gli occhi puntati sul campanile di San Marco che come un faro, spiega, indica la strada nel dedalo di calli, ponti, campi e campielli dove è impossibile non perdersi. E non si perde, infatti, ma arriva fino alla luce mistica della meraviglia dorata di Santa Sofia di Istanbul, unione d’iconografia cristiana e islamica, basilica e moschea, volto di Dio e nome di Allah. Come spiega con dovizia di particolari il colto colloquio fra Langdon e il turco studioso Mirsat. Sempre rubando tempo agli inseguitori e sempre circondati da ottuse e inconsapevoli masse di turisti che qui son l’immagine stessa della sovrappopolazione di un pianeta destinato a perire sotto i piedi di troppi uomini.
Per questo il cattivo scienziato Bertrand Zobrist vuole diffondere il virus e distruggere un terzo dell’umanità. Per questo dopo 522 pagine di inseguimenti tra il Bello e le birkenstock, gli ombrellini, le audioguide, i pullman a Firenze e le navi a Venezia stracariche dei milioni di pellegrini dell’arte, tra le bolge infernali di Riva degli Schiavoni e i corpi sfatti dei dannati dei tour operator, con vago senso di colpa si comincia a pensare che Zobrist tanto cattivo non è, con la sua stramba idea di sfoltire il mondo. E per fortuna nostra, il colpo di scena finale ce lo conferma. Happy end: possiamo uscire a riveder le stelle.
Tra i parchi privati vince il Giardino Sigurtà a Valeggio sul Mincio (Vr)
Ospita la sede dell’Accademia della Crusca, è patrimonio Unesco dell’umanità: classico esempio di giardino all’italiana
«I giardini sono lo specchio in cui si riflette il modo di esercitare il potere delle dinastie. La concezione del mondo e della vita in una determinata epoca. Un frammento di storia alla pari di un castello e di un museo». Sono le parole della giurata Alberta Campitelli, dirigente Beni culturali della Sovrintendenza del Comune di Roma, dopo la proclamazione del parco più bello d’Italia. Una gara tra gli spazi verdi italiani, giunta alla sua undicesima edizione, che quest’anno ha eletto come vincitore il giardino della fiorentina Villa Medicea di Castello.
GIARDINO SIGURTÀ – Tra le novità del concorso anche una nuova categoria da premiare, quella dei parchi privati. Vinta nel 2013 dal Parco Giardino Sigurtà a Valeggio sul Mincio in provincia di Verona. «Per la prima volta», spiega Campitelli, «abbiamo deciso di far gareggiare anche i giardini curati dai privati, scegliendo il vincitore della nuova categoria, con gli stessi criteri con cui abbiamo eletto i parchi più belli negli ultimi dieci anni». Ossia, valore storico, accessibilità e manutenzione. Tre aspetti per la cura dei giardini che, visto i chiari di luna della crisi, diventano sempre più difficile da rispettare. «In Italia, con il giro di vite sui fondi nei parchi, stiamo facendo veri e propri miracoli. Possibili grazie anche agli sforzi e alla generosità delle persone che se ne occupano».
IL CONCORSO – A contendersi lo scettro per il parco più bello nel 2013, dieci finalisti selezionati tra le oltre 300 candidature. «Ogni anno», prosegue Campitelli, «riceviamo moltissime segnalazioni. Si tratta, del resto, di un premio molto ambito perché offre ai parchi vincenti una grande visibilità». Una visibilità che esce anche dai confini nazionali. Dato che, alla pari di Miss Italia, il nostro giardino dovrà vedersela presto con gli altri vincitori europei per la sfida autunnale dei parchi più belli d’Europa.
I VINCITORI 2013 – A rappresentarci in Europa sarà la Villa Medicea di Castello a Firenze. Sede, peraltro, dell’Accademia della Crusca. Una scelta indovinata, visto che, proprio quest’anno, l’Unesco ha inserito nel patrimonio dell’umanità tutte le ville e i giardini mediceii. «Il parco della Villa», spiega la giurata, «è l’esempio meglio conservato di giardino all’italiana. Un luogo dove si possono ancora osservare i segni della fioritura di una grande dinastia. Un potere fortissimo, alla pari di quelli papali e imperiali, che ancora si può percepire tra le terrazze digradanti, i giochi d’acqua delle fontane o nella Grotta degli animali realizzata dal Tribolo». Senza contare la vasta collezione di agrumeti in cui si coltiva anche la Citrus medica digitata, un cedro noto come Mano di Budda visto la sua forma particolare che evoca le dita.
CINQUE FIORITURE – Non meno particolare, il parco premiato nella categoria privati. Realizzato nei primi anni Settanta dal conte Giuseppe Sigurtà, è un giardino visitabile tutto l’anno, in cui la ricca presenza di piante e fiori permette di osservare cinque diverse fioriture durante il corso delle stagioni. Tra cui, quella del milione di esemplari di tulipani e quella del viale delle rose. Ma anche di girare in un labirinto di due chilometri e mezzo, fatto da 1.500 esemplari di tasso o nei 6 mila metri quadri di tappeti erbosi. «Si tratta», prosegue Campitelli, «di un giardino moderno, ma comunque ricco di fascino e bellezza. Ammirato in questi anni da celebrità come Uto Ughi, Margaret Thatcher e Carlo d’Inghilterra».
LA RETE DEI PARCHI PIÙ BELLI D’ITALIA – Entrambi gli spazi si andranno a unire dalla rete dei parchi e giardini italiani, creato in questi anni sulla scia del concorso internazionale. Tra cui i vincitori delle edizioni passate, la Villa Lante di Viterbo, il Giardino di Valsanzibio di Padova e la romana Villa d’Este a Tivoli. «Quello che vogliamo», conclude Campitelli, «è creare una rete di turismo dei parchi e dei giardini come quella che esiste per i castelli e i musei. Valorizzando non solo l’aspetto ambientale, ma anche il loro valore storico».
L’annuncio del governatore Rossi a Roma dopo la riunione con il ministro Bray, il commissario Bianchi e il sindaco Renzi: «È l’unica alternativa alla chiusura»
FIRENZE – Cinque mesi di trattative non sono bastate a salvare il Maggio dalla soluzione più traumatica. La Fondazione lirico sinfonica dovrà dare un taglio netto col passato. Liquidazione. «La liquidazione della Fondazione è l’unica alternativa alla chiusura del Maggio musicale fiorentino». Così il presidente della Toscana Enrico Rossi ha spiegato la scelta presa a Roma al vertice presso il ministero dei Beni culturali. Al collegio romano per affrontare la questione Maggio si sono presentati lui, il sindaco Matteo Renzi, l’assessore Pietro Roselli per la Provincia di Firenze e il commissario straordinario della Fondazione Francesco Bianchi per incontrare il ministro Bray.
Quasi due ore per accettare la realtà: il Maggio, commissariabile già dal 2010, con quella zavorra di oltre 35 milioni di euro e con quell’organico sovradimensionato non ha futuro. Liquidazione coatta amministrativa quindi. Ma con l’obiettivo di ripartire.
A quello dovrebbero servire i 16 milioni che Rossi ha chiesto di sostegno alla Cassa depositi e prestiti. E con un piano che consenta «di riassorbire gli esuberi in più anni». Sono 119 tra posti a tempo indeterminato e precari (ma con grosse possibilità di essere reintegrati dal giudice del lavoro fino ad oggi) i licenziamenti previsti dal piano del commissario. I sindacati hanno oggi presentato la loro controproposta, con risparmi per 2.8 milioni di euro e nessun esubero. Ma il commissario all’uscita dall’incontro non ha voluto commentare. Con la liquidazione che il ministro Massimo Bray deve ora rendere operativa Bianchi può partire scegliendo di liquidare completamente il Maggio aspettando la nascita di una nuova fondazione o tagliare i settori annunciati (amministrativi, laboratori, MaggioDanza) procedendo in esercizio provvisorio.
Marzio Fatucchi
Ad accusare l’imputato, per cui i pm di Firenze Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi avevano chiesto appunto il fine pena mai, anche il pentito Gaspare Spatuzza. La difesa aveva chiesto l’assoluzione. Per il’accusa invece l’uomo recuperò l’esplosvio nei mari della Sicilia da ordigni bellici inesplosi
Ergastolo. Il giudice per l’udienza preliminare di Firenze Mario Profeta ha condannato al fine pena mai il pescatore siciliano Cosimo D’Amato accusato di aver fornito il tritolo per le stragi mafiose del 1993 di Roma, Firenze e Milano. Il processo si è svolto con rito abbreviato che prevede uno sconto di un terzo pena, quindi il giudice ha inflitto la pena massima che con il rito ordinario avrebbe previsto anche l’isolamento.
Ad accusare D’Amato, per cui i pm di Firenze Alessandro Crini e Giuseppe Nicolosi avevano invocato appunto l’ergastolo, anche il pentito Gaspare Spatuzza. Il Comune di Firenze e la Regione Toscana, insieme al governo e a numerosi familiari delle vittime si sono costituiti parte civile: non hanno presentato tale richiesta invece la Provincia di Firenze, così come Comuni e Province di Milano e Roma e le Regioni Lazio e Lombardia.
D’Amato venne arrestato nel novembre 2012 con le accuse di strage, devastazione e detenzione di esplosivo. Per l’accusa recuperò l’esplosivo nei mari della Sicilia, prelevandolo da ordigni bellici inesplosi. Il tritolo sarebbe stato usato anche negli attentati del ’92. Secondo la difesa il pescatore “non sapeva a cosa servisse” e per questo l’avvocato Corrado Sinatra per questo aveva chiesto l’assoluzione per il suo assistito che è indagato anche per la strage di Capaci: “L’unica circostanza in cui Spatuzza dice con certezza che c’era Cosimino – ha detto l’avvocato Sinatra – e che gli indicò la barca dove ci sarebbe stato l’esplosivo, era nel 1992. Quella vicenda non rientra in quelle trattate in questo processo. Anche in quella occasione, comunque, non c’è prova che D’Amato sapesse a cosa sarebbe servito l’esplosivo. Le stragi non erano ancora avvenute. Per gli anni successivi non è dimostrato che sia stato D’Amato ad indicare al cugino Cosimo Lo Nigro dove andare a recuperare l’esplosivo”.
Oggi a Firenze si è aperto anche il processo in appello per il boss Francesco Tagliavia, condannato in primo grado all’ergastolo con l’accusa di aver messo a disposizione il ‘gruppo di fuoco’ delle stragi.
Florence Fight Club è un film documentario di Luigi Maria Perotti. Il film, della durata di 82 minuti parla del calcio storico fiorentino, antichissimo sport tuttora praticato a Firenze, famoso per la sua brutalià e per essere privo di regole.
Il film documentario è frutto di una co-produzione tra Italia e Germania. Nell’estate 2010 il film è andato in onda su FX mentre il 14 aprile 2011 è stato trasmesso dal canale tedesco WDR: lo stesso giorno il quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung ha dedicato un articolo di quattro colonne al film. Il film è stato distribuito, oltre che in Italia e in Germania, in Polonia, Russia e Israele.
Trama
Il film, si sviluppa attorno alla vicenda umana di quattro abitanti di Firenze, il più possibile distanti gli uni dagli altri per età, personalità ed estrazione culturale, che decidono di entrare a far parte delle squadre dei “calcianti” per sfidare se stessi e le proprie paure, oltre che per il desiderio di coltivare un’antica tradizione. La sfida li porterà in un’arena fuori dal tempo, che ogni anno accende gli animi dei fiorentini trasformando Piazza Santa Croce. Le vicende narrate si riferiscono all’edizione del 2008 dello storico torneo e si muovono sullo sfondo delle vicissitudini che il calcio storico fiorentino attraversa negli ultimi anni.
Premi e riconoscimenti
Nel 2010 ha vinto il Premio Libero Bizzarri. È stato presentato al Krakow Film Festival e al Los Angeles All Sports Film festival nel 2010, mentre nel 2011 è stato tra i sei documentari italiani selezionati per il Doc Aviv – Festival Internazionale del Documentario di Tel Aviv, riscuotendo buoni successi di pubblico e di critica. Il trailer ha ricevuto il Premio Pitch Trailer nell’edizione 2010 del Trailers FilmFest.
Curiosità
- Il film inizia con una citazione (“How much can you know about yourself if you’ve never been in a fight?”), pronunicata da Tyler Durden nel film Fight Club, cui rimanda il titolo del documentario.
- L’edizione 2008 del torneo di calcio storico fiorentino, durante la quale si sono svolte le riprese, è stata teatro di una situazione inusuale: a causa della rinuncia della squadra dei verdi, i rossi avevano avuto la possibilità di non giocare. Furono poi loro a vincere il torneo, battendo gli azzurri in finale.
Don Carlos, ópera de Verdi, marcó la inauguración del festival que cumple 80 años
Acumula una deuda que asciende a 14 millones de euros
No se trata de una crisis coyuntural, sino estructural, indica un estudio del Instituto Eurispes
El prestigiado encuentro se salvará, sostiene Massimo Bray, nuevo ministro italiano
Claudio Abbado ofreció concierto altruista
Florencia.
El octogésimo aniversario del Festival del Maggio Musicale Fiorentino dedicado a la ópera, música clásica y ballet –es junto al de Salzburgo el festival más antiguo y prestigioso de Europa– ha abierto como siempre su temporada el pasado 2 de mayo (de ahí su nombre) y terminará el 25 de junio, no obstante que vive uno de los momentos más críticos de su historia, al filo de la bancarrota.
El cumpleaños del Maggio no es una ceremonia feliz, su vida está en peligro ya que desde su conversión en fundación en 1998, las cuentas año con año han terminado en números rojos, con excepción 2005 cuando se sanaron. Actualmente la deuda acumulada asciende a 14 millones de euros.
Algunos opinan que el Maggio es un barril sin fondo
, pues desde 1998 ha obtenido un total de 400 millones de euros, además de pertenecer a la categoría más beneficiada de la ayuda estatal al sector del espectáculo, el Fus, que destina a las 14 fundaciones líricas del país 47 por ciento de la subvención, un porcentaje enorme si se piensa que los lugares de espectáculo en Italia son 34 mil, de los cuales 51 son teatros.
El Maggio tiene que lidiar con una maquinaria
pesada de 345 empleados entre atrilistas, coro, bailarines, administrativos y operarios, cuyo costo anual es de 21 millones de euros. Una cifra que absorbe 70 por ciento de su ganancia, cuando la taquilla cubre únicamente 10 por ciento, recaudando 3 millones de euros.
Sin los 20 millones de euros recortados este año al Fus (183 millones irán a las fundaciones líricas), el Maggio recibirá 13 millones, el resto lo cubre el Ayuntamiento, la Región Toscana e instituciones privadas.
Escasa participación del público
La situación de emergencia del Maggio se ha detonado por dos factores: en lo interno, por una administración dispendiosa adjudicada a la última superintendente Francesca Colombo, quien debió renunciar el pasado enero y dejó 2012 con un déficit de 3 millones de euros. En lo externo, por el despiadado recorte presupuestal del Estado al Fus, dejándolo en huesos, provocando desde hace más de dos años reacciones del mundo del espectáculo: huelgas, manifestaciones y, sobre todo, el cierre y la agonía de varios teatros.
Un detallado estudio del Instituto Eurispes contenido en el Informe Italia 2013 titulado Las máscaras están desnudas, el teatro abandonado, concluye con cifras en mano que el problema de la decadencia del teatro no puede adjudicarse a la crisis económica per se sino a un abandono estatal de su patrimonio cultural: “No se trata de una crisis coyuntural sino estructural, patente desde hace años.
“El problema está –según el estudio– en los constantes recortes de fondos destinados al espectáculo, debido sobre todo a la falta de interés de los políticos y a la paradójica incapacidad italiana por cultivar todo aquello que se refiere a la cultura. Los recursos para la producción de espectáculos han ido decreciendo año con año de manera inexorable”.
La escasa participación del público tampoco ayuda, pues únicamente un italiano sobre cinco frecuenta el teatro al menos una vez al año.
Ante la condición del Maggio, el pasado febrero, el ex ministro Lorenzo Ornaghi designó a Francesco Bianchi comisario extaordinario con la finalidad de hacer lo posible por equilibrar las cuentas y obtener 4.5 millones de euros de ahorro mediante la adopción de medidas drásticas que surtirán efectos gestionales y estructurales permanentes
, según declaró Bianchi en una carta dirigida al público, al cual pidió su comprensión por el ajuste del programa, pero también hizo un llamado a la solidaridad civil, a renovar abonos, a comprar boletos, a asistir porque sólo unidos lograremos dar un nuevo impulso a este teatro, evitando un declive inexorable, que por el contrario, se materializaría en un tiempo breve
.
Por ganar la batalla
En este contexto se inauguró el festival con Don Carlos, de Giuseppe Verdi, en el bicentenario del músico replicada cuatro veces hasta el 12 de mayo. La programación inicial de esta grand opera fastuosa expresión directa de la excepcional potencia económica y política de la Francia decimonónica
, era incoherente con el momento, fue así que el llamado a la sobriedad de Bianchi eliminó la esperada coreografía de Luca Ronconi y se redujo la ópera al formato de concierto. Una herejía quizás, pero el Maggio y su público han afrontado sacrificios similares en peleas menores apelando el derecho a la cultura que ahora cobra más sentido que nunca.
Zubin Mehta, titular del Teatro del Maggio Musicale Fiorentino desde 1985 y uno de los directores de orquesta más relevantes del mundo, sube al podio y dialoga con el público: “A pesar de ser un recital en forma de concierto, les prometo que ganaremos esta batalla. Gracias por el apoyo. ¡No nos dejen morir! Entonces, sube su batuta e inicia cuatro horas de un concierto-ópera soberbio en cinco actos.
La calidad del repertorio queda intacta, aunque la prueba es ardua como explica Kristin Lewis, soprano estadunidense que personifica a Isabel de Valois: La forma de concierto es como una acrobacia sin red, es no tener agarraderas; significa confluir la atención del público en la música sin distracciones. Ello te orilla a ser perfecto
, dice al diario La Repubblica.
El ambiente se percibe sobrio respecto al pasado, no hay esmókines ni vestidos largos, no sería de Bon Goût considerando el momento. De entre los vips, muy apreciada fue la primera aparición oficial del nuevo ministro de Cultura, Massimo Bray –quien estudió letras en la Universidad de Florencia– asilado por los periodistas a los cuales asegura: “El Maggio se salvará”.
Fuera del teatro, el personal repartía volantes para recaudar firmas online en apoyo al teatro, así como estandartes que decían: Antes se quemaban los libros, ahora se cierran los teatros
.
El apoyo se percibe incluso fuera de Italia, pues los máximos directores de orquesta del siglo XX pasaron por su podio y ahora muestran enorme solidaridad, comenzando por Riccardo Muti (director del Maggio de 1969 a 1981), quien desde Estados Unidos señaló: “La situación del Maggio es crítica y el próximo ejecutivo no podrá desinteresarse de una manifestación que forma parte de la historia y de la cultura italiana”.
Claudio Abbado, que ha dirigido en el Maggio desde los años 60, ofreció el 4 de mayo un concierto gratuito. Daniel Barenboim, gran amigo de Mehta, canceló su concierto por una caída ocurrida el pasado octubre por la agudización del dolor, aunque prevé regresar a finales de este mayo.
La imagen del Maggio dedicada a los protagonistas de este festival Giuseppe Verdi, Richard Wagner y Benjamin Britten, de los cuales ocurren respectivamente los bicentenarios y el centenario, fue también donada por Nano Campeggi, quien realizó para Holly-wood los carteles para los filmes Casablanca, Ben-Hur, Singin’ in the Rain, An American in Paris y West Side Story, entre 3000 más.
El Maggio es de las pocas instituciones florentinas de renombre internacional, su pérdida significaría un luto no sólo para Italia. No debe morir.
Da Gaiole in Chianti fino a Montalcino: cinque tappe sul circuito della celebre manifestazione a caccia d’arte e di paesaggi, ma senza fretta. Per chi ama natura e soste gourmet sotto il segno della ribollita
dal nostro inviato ANGELO MELONE
Il passaggio successivo era quasi automatico: dividere il giro in più parti – ognuno scelga quante, con un massimo di cinque – e proporlo a chiunque ami (o voglia sperimentare) le due ruote, l’arte e la natura. Con l’assistenza di una guida o senza, affidandosi a “pacchetti” di più giorni o mettendo a disposizione i siti per organizzarsi da soli, portando le proprie bici o trovandole pronte sul posto. Tutto garantito da chi della bicicletta e della sua terra ha fatto la propria passione e dai cartelli che segnano tutto il percorso.
A partire da Gaiole in Chianti (eletta da Forbes come una delle località europee più vivibili e che al centro del paese ha – nemmeno a dirlo – la bottega-officina dell’Eroica con tante bici d’epoca). Per dirigersi verso Siena, le cui torri spuntano all’improvviso in mezzo ai vigneti. E da qui verso la Valdarbia. Ma prima, sosta obbligata al castello di Brolio, affascinante, in mezzo ai cipressi, che affonda la sua storia fino all’XI secolo per poi divenire il regno del barone Bettino Ricasoli e del suo vino Chianti: visita al Castello e panorama mozzafiato. Quindi si apre lo scenario delle Crete senesi, seguendo la Val di Merse, fino alla salita verso Montalcino, tra i vigneti del Brunello. Per ridiscendere, in uno dei tratti più belli delle strade bianche, fino a Lucignano d’Asso – costeggiando la Val d’Orcia. E si risale ancora, a quella “terrazza panoramica” che guarda i campi coltivati fino a Montalcino che è il borgo di Pieve a Salti, trasformato in una nota azienda agricola biologica con agriturismo anche attrezzato a tutte le esigenze per chi vuole una vacanza in bici (e che è, per chi ha fatto l’Eroica, il ristoro agognato con la sua ribollita che indica la via del ritorno). A pochi passi (e molti metri più in basso) la storica Buonconvento, un borgo magico che risale al 1200 e ancora chiuso dalle antiche mura, perfettamente conservato, con un museo della mezzadria imperdibile (anche per i bambini).
Quindi, sulle tracce della via Francigena, si torna nelle Crete, passando per Asciano fino a Castelnuovo Berardenga, porta per rientrare nel Chianti. L’avventura verso il punto di partenza è quasi conclusa, ma prima bisogna salire ancora, fatica premiata dalla bomboniera del centro storico di Radda in Chianti, con i palazzi perfettamente conservati (in quello del Comune visita obbligata alle prigioni, antiche ma che hanno sui muri ancora le testimonianze dei prigionieri politici del regime fascista). Un ultimo caffè, e non resta che scendere a Gaiole. Il giro è finito.
PER SAPERNE DI PIU’
www. eroicafan. it/it/eroica-travel-ita
http://bici. terresiena. it
I frammenti caduti su una statua e a terra, nessun visitatore colpito. Si sarebbe staccato per un errore durante alcuni lavori al piano superiore
di MICHELE BOCCI
Il corridoio dove è cascata la porzione di affresco. Sulla destra si vede la restauratrice al lavoro
Un pezzo di affresco cinquecentesco della Galleria degli Uffizi, a Firenze, è crollato a causa di alcuni lavori svolti al piano superiore. I frammenti staccati dalla pittura sono finiti in parte su una delle statue del corridoio principale della galleria fiorentina e in parte a terra, nell’area più vicina al muro. Questa mattina nel museo c’erano poche persone e nessuno è stato colpito in quanto la sala è delimitata, ai lati, dalle transenne che tengono lontani i visitatori dalle opere. L’affresco è caduto per l’un errore di un operaio che stava lavorando nel corridoio del piano superiore e ha messo il piede sulla porzione di solaio che, dall’alto, sostiene quel pezzo di affresco.
Foto: Il buco nell’affresco crollato /VIDEO
ll distacco della porzione di intonaco affrescato, spiega la soprintendenza per il polo museale fiorentino, si è verificato “nel corso di una normale operazione di manutenzione del sottotetto del Primo Corridoio della Galleria degli Uffizi. Un operatore ha posato il piede sull’incannicciato di una delle fasce longilinee che separano le terne delle grandi volte, fra la quindicesima e la sedicesima campata. Di conseguenza, una porzione d’intonaco affrescato, fortunatamente di piccole dimensioni e in posizione decentrata, è caduta danneggiando una figurina allegorica femminile”. Questa mattina è stata subito avviata l’opera di risistemazione. “I pezzi d’intonaco sono stati raccolti da una restauratrice, in vista della loro ricomposizione, ma sin dalla mattinata è iniziato l’intervento di restauro che si prevede di breve durata”.
“Cerchiamo di non fare eccessivo allarmismo – ha detto il direttore della Galleria Antonio Natali – si e’ verificato un distacco di 30 centimetri d’intonaco, affrescati, è vero, ma si tratta di un danno lieve al quale sarà rapidamente posto rimedio”. “I frammenti caduti, tra l’altro, sono già stati tutti recuperati – ha spiegato il direttore – adesso la restauratrice Laura Lucioli, come si fa con i puzzle, li ricomporrà nella loro forma originale ed il problema sarà interamente risolto”.
La tempistica dell’operazione, secondo Natali, potrebbe aggirarsi, ha ipotizzato, “intorno ai dieci giorni”.