Il termine strage del Cermis è utilizzato per identificare la morte di 20 persone ad opera di un aereo statunitense nei cieli italiani.
Il 3 febbraio 1998 alle ore 15:13 un Grumman EA-6B Prowler, aereo militare statunitense del Corpo dei Marines al comando del capitano Richard Ashby, decollato dalla base aerea di Aviano alle 14:36 durante un volo di addestramento, per una sfida di abilità nel pilotare, tranciò le funi del tronco inferiore della funivia del Cermis, in Val di Fiemme. La cabina, al cui interno si trovavano venti persone, precipitò da un’altezza di circa 150 metri schiantandosi al suolo dopo un volo di 7 secondi. Il velivolo, danneggiato all’ala e alla coda, fu comunque in grado di far ritorno alla base.
Nella strage morirono i 19 passeggeri e il manovratore, tutti cittadini di Stati europei: tre italiani, sette tedeschi, cinque belgi, due polacchi, due austriaci e un olandese.
Il termine strage del Cermis è utilizzato in Italia per identificare la morte di 20 persone ad opera di un aereo statunitense nei cieli italiani.
Il 3 febbraio1998 alle ore 15:13 un Grumman EA-6B Prowler,[1]aereo militare statunitense del Corpo dei Marines al comando del capitano Richard Ashby, decollato dalla base aerea di Aviano alle 14:36 per un volo di addestramento, tranciò le funi del tronco inferiore della funivia del Cermis, in Val di Fiemme. La cabina, al cui interno si trovavano venti persone, precipitò da un’altezza di circa 80 metri schiantandosi al suolo dopo un volo di 7 secondi. Il velivolo, danneggiato all’ala e alla coda, fu comunque in grado di far ritorno alla base.
Nonostante la presenza di testimoni, la dinamica dei fatti non apparve subito chiara. Solo la prontezza dei magistrati trentini, che sequestrarono immediatamente l’aereo incriminato nella base di Aviano, ha permesso di chiarire le responsabilità. In effetti l’aereo era già pronto per essere smontato e riparato. La dinamica poté essere provata solo dopo che all’interno del taglio sull’impennaggio di coda furono trovati resti della fune tagliata. Le autorità militari americane provarono ad insinuare che, visti i precedenti, la funivia fosse caduta da sola: infatti, vent’anni prima nella stessa zona era accaduta una simile tragedia nella quale erano morte 42 persone.
Il nome dato alla strage in Italia, «il massacro del Cermis», mostrò chiaramente la reazione dei media.
I pubblici ministeri italiani richiesero di processare i quattro marine in Italia, ma il giudice per le indagini preliminari di Trento ritenne che, in forza della Convenzione di Londra del 19 giugno1951 sullo statuto dei militari NATO, la giurisdizione sul caso dovesse riconoscersi alla giustizia militare statunitense.
Inizialmente tutti e quattro i membri dell’equipaggio furono indagati, ma solo il pilota cap. Richard Ashby e il suo navigatore cap. Joseph Schweitzer comparirono effettivamente davanti al tribunale militare americano per rispondere dell’accusa di omicidio colposo.
Il processo contro Ashby fu celebrato a Camp Lejeune nella Carolina del Nord. La Corte militare accertò che le mappe di bordo non segnalavano i cavi della funivia e che l’EA-6B stava volando più velocemente e ad un’altitudine molto minore di quanto permesso dalle norme militari. Le prescrizioni in vigore al tempo dell’incidente imponevano infatti un’altezza di volo di almeno 2000 piedi (609,6 m). Il pilota dichiarò che egli riteneva che l’altezza di volo minima fosse di 1000 piedi (304,8 m). Il cavo fu tranciato ad un’altezza di 360 piedi (110 m). Il pilota sostenne che l’altimetro dell’aereo era mal funzionante, e affermò di non essere stato a conoscenza delle restrizioni di velocità. Nel marzo del 1999 la giuria assolse Ashby, provocando l’indignazione dell’opinione pubblica italiana ed europea. Anche le accuse di omicidio colposo nei confronti di Schweitzer non ebbero seguito.
I due militari furono nuovamente giudicati dalla corte marziale USA per intralcio alla giustizia per aver distrutto un nastro video registrato durante il volo nel giorno della tragedia. Per tale capo d’accusa furono riconosciuti colpevoli nel maggio del 1999. Entrambi furono degradati e rimossi dal servizio. Il pilota fu inoltre condannato a sei mesi di detenzione, ma fu rilasciato dopo quattro mesi e mezzo per buona condotta.
Nel febbraio2008 i due piloti hanno impugnato la sentenza e richiesto la revoca della radiazione con disonore, allo scopo di riavere i benefici finanziari spettanti ai militari; hanno anche affermato che, all’epoca del processo, accusa e difesa strinsero un patto segreto per far cadere l’accusa di omicidio colposo plurimo, ma di aver voluto mantenere l’accusa di intralcio alla giustizia «per soddisfare le pressioni che venivano dall’Italia».[3] È comunque stato riconosciuto che l’aereo viaggiava a bassa quota e che la velocità era eccessiva considerati gli ostacoli presenti in zona[4].
Risarcimenti ai familiari
Nel febbraio 1999 il Senato degli Stati Uniti ha stanziato circa 40 milioni di dollari per i risarcimenti ai familiari delle vittime e per la ricostruzione dell’impianto di risalita, ma nel maggio dello stesso anno lo stanziamento, respinto da una commissione del Congresso, non è stato confermato dal governo nella persona del ministro della difesa William Cohen.
Nell’immediatezza del fatto, la Provincia Autonoma di Trento ha stanziato cinquantamila euro per ogni vittima come concorso alle spese immediate, ed è intervenuta per finanziare la ricostruzione dell’impianto di risalita. Tali somme sono state rimborsate alla Provincia dallo Stato italiano nel settembre del 2004.
La legge del Parlamento italiano su risarcimenti
Nel dicembre del 1999 il Parlamento Italiano ha approvato una legge[5], che prevedeva un indennizzo per i familiari dei deceduti, pari a 4 miliardi di lire per ogni vittima. In conseguenza di tali provvedimenti delle autorità italiane, e in ottemperanza ai trattati NATO, il governo degli Stati Uniti ha dovuto risarcire allo Stato italiano il 75% delle somme complessivamente erogate.
Una tragedia simile avvenne in Francia nell’agosto 1961, quando sei persone morirono dopo che un aereo militare francese, che volava a bassa quota, tranciò i cavi di una funivia tra la Punta Helbronner e l’Aiguille du Midi, sul versante francese del Monte Bianco.
Sonja Weinhofer (22, nata a Monaco, domiciliata a Vienna), austriaca;
Jürgen Wunderlich (44, Burgstädt), tedesco;
Edeltraud Zanon-Werth (56, nata ad Innsbruck, residente a Bressanone), italiana.
Ricostruzione teatrale
Il 15 gennaio 2002, al Teatro Studio di Bolzano, è stato rappresentato in prima nazionale lo spettacolo Ciò che non si può dire – Il Racconto del Cermis, orazione civile ideata dallo scrittore Pino Loperfido per la regia di Paolo Bonaldi. Sul palco, l’attore trentino Andrea Castelli.
Nel 1998 l’aviazione degli Stati Uniti (come gi à molte volte in passato) uccideva oltre venti persone, fra uomini, donne e bambini, senza che poi i colpevoli ne subissero le conseguenze.
Questo non fu un “incidente” e i colpevoli furono rintracciati “solo” perchè vi furono così tanti testimoni e prove drammaticamente inequivocabili dell’accaduto che l’USAirForce non potè occultarle…
Servizio del Tg3 con intervista allo scrittore Pino Loperfido. 3 febbraio 2009.
1) Al posto dei piloti la condanna è ricaduta su tutti noi, uomini e donne con un minimo di coscienza civile e senso della memoria. Siamo infatti “condannati” a ricordare una volta all’anno questa tragedia…
2) Quello che politica non fa o non vuole fare per il ricordo è tenuta a farlo l’arte. La critica sociale e la denuncia civile sono doveri dell’artista e dello scrittore, nel mio caso. Personalmente non credo agli eroi della scrittura (Saviano ha messo a repentaglio la sua vita per scoprire l’acqua calda, per denunciare cose che tutti sanno già).
3) Forse siamo vittime di un sopruso imperialista e nemmeno ce ne rendiamo conto. Il Potere ci ha ammansiti, persuasi che quello che è accaduto è stato comunque frutto di una fatalità e per meglio persuaderci ha ricoperto d’oro chi avrebbe potuto avere qualcosa da dire in opposizione a ciò: i parenti delle vittime.
Quello che è accaduto è un fatto gravissimo. Non tanto l’incidente, ripeto, quanto l’assoluzione. Urla vendetta al cielo, eppure assistiamo ad una specie di rimozione pubblica della memoria.
È un vizio dell’essere umano, la rimozione di ciò che dà fastidio, che può turbare pur minimamente il regolare corso delle nostre vite piccolo borghesi, dell’ordine sociale, dell’economia. Soprattutto dell’economia.
4) Cosa vorrei, in definitiva? Una maggiore sensibilità della politica, anche locale rispetto a questa vicenda. Far sì che il Cermis diventi l’occasione per insegnare ai più giovani nelle scuole, perché no che il bene e il male non stanno mai sempre dalla stessa parte. È questa visione manichea della società che dobbiamo insegnare a rifuggire perché è da questa visione che sono partite tutte le più grandi tragedie dell’umanità.
Il 3 febbraio di 14 anni fa un aereo militare Usa spezzò il cavo di una funivia uccidendo 20 persone. Ora uno dei marine che erano ai comandi ammette che quel volo era una sorta di gita per divertirsi. E che subito prima dell’incidente stava facendo riprese panoramiche con la sua videocamera. In un nastro distrutto il giorno dopo
(20 gennaio 2012)
Joseph SchweitzerRidevano e filmavano le montagne, il «paesaggio splendido» del lago di Garda. Mentre il loro aereo violava le regole, volando troppo basso e troppo veloce, loro giravano un video ricordo delle Alpi: un souvenir per il pilota, all’ultima missione prima di tornare negli Stati Uniti. E poco dopo sono andati a tranciare la funivia del Cermis, uccidendo venti persone.
E’ questa l’agghiacciante ricostruzione del dramma di Cavalese, realizzata da un’inchiesta di National Geographic grazie alla testimonianza inedita dei protagonisti: gli investigatori americani che tentarono invano di far condannare i responsabili. E il navigatore dell’aereo assassino, che per la prima volta parla e descrive quel video turistico distrutto per impedire che si arrivasse alla verità: «Ho bruciato la cassetta. Non volevo che alla Cnn andasse in onda il mio sorriso e poi il sangue delle vittime».
Giustizia non c’è stata, sepolta dalla ragione di Stato. Di quei venti uomini, donne e ragazzi morti mentre andavano a sciare per una folle esercitazione bellica non è importato a nessuno. Le autorità americane non hanno fatto nulla per punire i responsabili del volo che il 3 febbraio 1998 ha tranciato la funivia di Cavalese facendo precipitare nel vuoto una cabina piena di sciatori. La loro unica preoccupazione era tenere alto l’onore dei Marines, a cui apparteneva l’equipaggio, e sopire le attenzioni italiane per evitare di perdere la base di Aviano. Ma che l’assoluzione del pilota sia una vergogna adesso lo dicono apertamente anche gli investigatori militari statunitensi che aprirono l’istuttoria, poi estromessi dal corpo militare più famoso del mondo: «Non c’è stata giustizia».
Il documentario di National Geographic, che andrà in onda il 31 gennaio alle 21.25 sul canale 403 di Sky, fa luce su tutti i punti oscuri della tragedia. E da forza a un sospetto: il jet volava così in basso per girare un video ricordo. Non c’era nessuna giustificazione operativa o tecnica che giustificasse la scelta di violare i limiti di quota e di velocità. A ricostruire la spedizione è un detective del Naval investigative criminal service: il reparto federale che indaga sui crimini della Marina statunitense reso celebre dalla serie televisiva Ncis. Fu Mark Fallon a scoprire quello che l’equipaggio aveva taciuto. Dopo l’atterraggio d’emergenza gli ufficiali consegnarono una piccola telecamera portatile con dentro un nastro vuoto. Perché portarla a bordo se non è stata usata? Tra i sedili, l’investigatore ha trovato un frammento di cellophane, parte della bustina che avvolge le videocassette vergini.
Solo sei mesi dopo la strage, i due tecnici di bordo – dietro la garanzia dell’immunità – hanno raccontato che al momento dell’atterraggio di emergenza i due ufficiali non hanno abbandonato subito l’aereo, nonostante perdesse fiotti di carburante. E allora comandante e navigatore hanno confessato di essere rimasti sul jet per sostituire il nastro girato durante il volo con una cassetta vergine. Il giorno dopo il documento è stato bruciato. Cosa conteneva? «Avevo ripreso le Alpi e il lago di Garda, filmando il comandante Richard Ashby. Poi l’ho rivolta verso di me e ho sorriso», ricorda l’ormai ex capitano Joseph Schweitzer: «L’ho fatto perché non volevo che alla Cnn si vedesse il mio sorriso e poi il sangue».
I responsabili hanno dichiarato che le riprese non hanno influenzato la condotta della missione letale: la quota troppo bassa dipendeva da un malfunzionamento dell’altimetro, l’apparecchio che indica l’altezza dal suolo. Ma il detective del Ncis Fallon, oggi anche lui in pensione, non gli crede: ha verificato che il sistema era a posto. E ha ripercorso il tragitto del velivolo, interrogando le persone che lo videro passare: nonostante spesso avessero notato i jet, mai avevano assistito a un volo così vicino al suolo. Ma a Fallon e il suo staff federale venne tolta la direzione dell’indagine, affidata a una commissione dei Marines incaricata di condurre un’istruttoria sotto segreto. Nella storia statunitense non era mai accaduto prima.
All’epoca, il disastro diventò subito un affare di Stato. In Italia il governo di centrosinistra guidato da Romano Prodi aveva preso un posizione formalmente dura. Ma gli accordi Nato impongono che i militari responsabili di crimini durante il servizio vengano processati nel loro paese. E il presidente Bill Clinton promise giustizia. Invece gli investigatori di professione come il team del Ncis furono prima affiancati e poi estromessi da una commissione dei Marines, «senza nessuna esperienza di inchieste». La paura che la reazione italiana portasse a chiudere la base di Aviano, fondamentale per controllare la Jugoslavia, fece saltare la segretazione. Ma una volta allontanate le attenzioni italiane, l’unica preoccupazione è stata tutelare gli aviatori americani, che stavano per affrontare il conflitto del Kosovo: l’unico della storia vinto con il solo uso delle forze aeree.
Un altro degli investigatori, anche lui un ufficiale statunitense oggi in pensione, analizza il comportamento dell’equipaggio: «Vengono addestrati a riconoscere la distanza a vista, è la prima regola per un pilota dei Marines. Non poteva compiere un errore del genere». L’inchiesta poi ha rivelato altri retroscena surreali: la funivia di Cavalese non era segnata sulle mappe usata dai militari statunitensi, che da almeno tre anni in quei cieli quasi tutti i giorni simulavano i raid da compiere sulla Bosnia. Quasi incredibile la spiegazione: «I responsabili della cartografia avevano ricevuto le informazioni sulla funivia ma l’aggiornamento era stato inavvertitamente rimosso».
Il risultato finale – a detta degli stessi investigatori statunitensi intervistati da History Channel – resta scandaloso: nel marzo 1999 il pilota Richard Ashby dell’aereo è stato assolto per la condotta del volo, nonostante sia stato provato che gli strumenti erano in funzione e si trovasse sotto la quota minima autorizzata. Due mesi dopo Ashby e Schweitzer sono stati degradati e rimossi del servizio per “l’intralcio alla giustizia” creato con la distruzione del video-ricordo.
Al solo Ashby è stata inflitta una condanna a sei mesi di carcere: dopo quattro è stato rilasciato per buona condotta. Ma la questione del video distrutto resta la chiave della verità. I due ufficiali cambiarono la cassetta prima di sapere di avere causato una strage. Furono informati del massacro solo dopo essere arrivati negli hangar. Cosa volevano nascondere? Spiega il detective Fallon: «A noi insegnano che se viene distrutta una prova, ciò dimostra la colpevolezza». L’ex capitano Schweitzer ricorda: «Quando ci hanno detto che avevamo ucciso così tante persone ho pianto come un bambino. Mi sono chiesto perché noi siamo vivi e loro sono morti». La stessa domanda rimasta ancora oggi senza risposta.