Vita, arte, amori e ideologia: la Modotti dall’ostracismo all’accettazione. Resta un impegno: trasformare la casa natale udinese in centro di cultura
di Paolo Medeossi
Mistero Tina. Se la vita di ogni donna è un enigma, lo è tanto più quella di Tina Modotti, una vita-capolavoro che ha lasciato tracce evanescenti, ma potenti: le sue lettere (ed è sempre aperta la caccia agli inediti, come quelli trovati di recente in un archivio di Lubiana), le sue foto (un paio di centinaia, praticamente tutte scattate durante i sei anni luminosi trascorsi in Messico), le foto in cui venne ritratta da Edward Weston, suo maestro e amante in un’esistenza sentimentale intensa perché gli uomini si innamoravano della bellissima udinese, i murales nei quali fece da modella a Diego Rivera, i ricordi di chi l’aveva conosciuta.
Sono questi – come scrisse Valentina Agostinis, che curò una splendida mostra con le foto della Modotti a Villa Varda di Brugnera nel 1992 – gli spiragli attraverso i quali Tina ci fa guardare nella sua vita, un diario di immagini e di pensieri che raccontano non solo una vibrante avventura umana, ma soprattutto quell’equilibrio continuamente interrotto fra vita e creazione artistica, fra movimento e forme, che è proprio della donna.
Tina nacque a Udine il 17 agosto 1896, ma è poi rinata una seconda volta grazie a Riccardo Toffoletti e al Comitato a lei dedicato dagli anni Settanta, quando si ebbero notizie di questa donna partita dal Friuli per l’America a 17 anni e mai più tornata. Prima sconosciuta, poi diventata una sorta di tabù da maneggiare con cautela. Erano tempi nei quali il comunismo faceva paura essendo questa una terra di confine segnata dalla guerra e da fatti come l’eccidio di Porzûs.
Così, quando nel 1971 arrivò da Trieste Vittorio Vidali, leggendario comandante Carlos nella guerra di Spagna, ultimo uomo di Tina, per raccontare quegli anni e la sua donna, la città si chiuse a riccio, negando pure il lato artistico della Modotti e non riconoscendo la sua figura per motivi moralistici e politici. Questo accadeva a 30 anni dalla morte, avvenuta in un taxi di Città del Messico il 5 gennaio 1942 mentre tornava a casa in una notte che emblematicamente chiuse la parabola di una donna sola, perché questo fu il suo destino.
Una donna libera, emancipata, rivoluzionaria in senso politico e umano, anticonformista, che sulla sua pelle dovette più volte misurare le sferzate del linciaggio. Accadde quando fu ucciso al suo fianco un uomo bellissimo, il suo uomo, Julio Antonio Mella, fondatore del partito comunista cubano. I giornali messicani, per distruggere la reputazione di Tina così da nascondere le verità scomode sull’omicidio, pubblicarono i nudi fotografici della Modotti e le lettere d’amore. Lei reagì con il silenzio, senza urlare, senza strepitare sulla bara dell’amato, e la gente abituata a veder teatralizzato il dolore pensò: questa donna non ha un cuore. Ma questa donna senza cuore, dopo la morte di Mella, lasciò il luminoso Messico per dedicarsi come una missionaria alla causa politica, da attivista comunista, fino alla fine.
Tina non venne risparmiata nemmeno dopo la morte nel 1942, quando la stampa gettò altro fango riempiendo intere pagine di immondizia da romanzo d’appendice, come disse Pablo Neruda, che mise fine al tormento con la celebre poesia (Tina Modotti ha muerto) poi incisa sulla tomba.
Tina (come è accaduto per Pasolini) ormai è stata accettata, il comunismo non fa più paura, il perbenismo si è tranquillizzato e la sua vita può essere raccontata con disinvoltura, anche nel più magico castello del Friuli, all’insegna – come si legge nel progetto di Maravee Eros – «di un eros sottile, declinato in passione e dedizione carnale, intellettuale e sensoriale».
La vicenda ha riacceso comunque i fari su Tina. C’è da chiedersi se ciò sia avvenuto nel modo più adeguato. Solo un piccolo interrogativo, nulla di più, in una regione in cui, in campo artistico e culturale, si è sempre disabituati alla critica e al dubbio. In conclusione, su Tina siamo al punto di partenza, quello su cui Riccardo Toffoletti si impegnò inutilmente per anni. Lui ne parlava come di fallimenti culturali per Udine, e cioè: la mancata acquisizione da parte del Comune della casa natale in via Pracchiuso per destinarla a iniziative di cultura e la creazione di un Fondo Tina Modotti. Se vogliamo rispettarne la vita, dopo che l’abbiamo faticosamente accettata, si deve arrivare a questo, più che suggestionarci davanti alle sue immagini.
«Tina – scrisse Toffoletti – aveva un carattere piuttosto introverso e mai ha agito in pubblico o nel privato per ottenere visibilità (come oggi si dice). Nelle fasi serene emanava comunque vitalità, mentre la malinconia esce da tante sue immagini. Non esistono suoi ritratti in cui rida apertamente e sono pochissimi quelli in cui sorride. Aveva una presenza spesso distante e defilata, una sorta di carisma silenzioso incorporato nella bellezza. Cercava così l’arte e la libertà».