Non è tempo per noi, quarantenni una generazione in panchina’. E’ il titolo del nuovo libro di Andrea Scanzi edito da Rizzoli e presentato ieri alla libreria Arion di Roma da Marco Travaglio
Non è tempo per noi, quarantenni una generazione in panchina’. E’ il titolo del nuovo libro di Andrea Scanzi edito da Rizzoli e presentato ieri alla libreria Arion di Roma da Marco Travaglio
Festa de “Il Fatto Quotidiano”, 07/06/13.
Intervento di Travaglio: “L’inciucio”.
Per affrontare i problemi del Paese il Governo Letta deve durare ma sulla sua vita pendono come un macigno le vicende giudiziarie del Cavaliere: quanto durerà l’età dell’innocenza?
Ospiti: Daniela Santanchè, deputato del Pdl, e Marco Travaglio.
I tagli alla stato sociale, i diritti che si fanno deserto e il Partito democratico che fa i conti con le difficoltà di sostenere una maggioranza di larghe intese. Mentre il welfare scompare, ce la farà il centrosinistra a trovare la sintesi tra il sostegno a un Governo con il Pdl e la salvaguardia dei diritti dei cittadini, dallo studio alla sanità.
Ospiti: Nichi Vendola, leader di Sel, Francesca Puglisi, senatrice del Pd, Angelo Panebianco, politologo ed editorialista del Corriere della Sera, l’economista Michele Boldrin, candidato alla leadership di “Fermare il declino” e Serena Dandini.
A discutere del nuovo governo presieduto da Enrico Letta e di come esso pare abbia pacificato il Paese, facendo mettere alle spalle i 20 anni di conflitto intorno alla figura di Silvio Berlusconi, saranno gli ospiti in studio Sergio Cofferati, eurodeputato del Pd, Paolo Becchi, filosofo del diritto, vicino al Movimento 5 Stelle di Beppe Grillo, e Alessandro Sallusti, direttore de Il Giornale.
In studio presenti anche Marco Travaglio, Gianni Dragoni e Giulia Innocenzi.
A chiudere la puntata le immancabili vignette satiriche di Vauro.
Bersaniani, dalemiani, alfaniani, saggi, tecnici, montiani, ciellini, radicali. Ecco una mappa ragionata delle anime rappresentate dal nuovo esecutivo. Ma anche la lista dei grandi assenti come i grandi big di entrambi i partiti, i berlusconiani, i veltroniani, i prodiani, i montezemoliani e via dicendo.
Il Partito democratico porta a casa otto ministeri, oltre alla presidenza del consiglio che resta nelle mani di chi, in attesa dell’Assemblea nazionale del partito del prossimo 4 maggio, è anche il reggente del partito. I Dem si assicurano due caselle di peso. Lo Sviluppo Economico, affidato al sindaco di Padova Flavio Zanonato e l’istruzione a Maria Chiara Carrozza. Soddisfatte con precisione millimetrica anche tutte le aree interne al partito. I renziani sono rappresentati da Graziano Delrio, presidente dell’Anci, e sostenitore della prima ora del sindaco di Firenze. Vicino a Massimo D’Alema e il neoministro dei Beni Culturali Massimo Bray, ex direttore della rivista “Italiani Europei” e dell’istituto enciclopedia Treccani, che fa capo alla Fondazione presieduta da Giuliano Amato.
Portabandiera della Area Dem e degli ex popolari l’ex segretario Dario Franceschini, mentre vicinissimi a Pier Luigi Bersani sono Josefa Idem, entrata alla Camera nel listino bloccato del segretario dimissionario e lo stesso Flavio Zanonato. Spazio anche ai giovani turchi, con l’ex responsabile del partito alla Giustizia Andrea Orlando, anche lui ex dalemiano, mentre vicina al premier è Maria Chiara Carrozza, rettore della scuola Superiore Sant’Anna. Incarico dall’alto valore simbolico e fuori dal gioco delle correnti, quello affidato a Cecile Kyenge, responsabile immigrazione del partito in Emilia Romagna, nominata ministro per l’integrazione.
Popolo della Liberta. C’é molto Alfano e poco Berlusconi nella pattuglia ministeriale targata Pdl. Fuori dai giochi I fedelissimi del Cav. Anche Renato Brunetta, più volte evocato nei giorni scorsi come conditio sine qua non posta da Berlusconi, alla fine rimane a bocca asciutta. Il segretario del partito si assicura non soltanto un posto da vicepremier, ma anche un ministero di peso come gli Interni. Alfano porta a casa poi due ministeri per una coppia di suoi fedelissimi: le infrastrutture per Maurizio Lupi e la Salute per Beatrice Lorenzin. Tolto Gaetano Quagliariello, colomba pidiellina sponsorizzata dal Colle, l’unico nome riconducibile direttamente a Silvio Berlusconi è quello di Nunzia De Girolamo, neo ministro per le Politiche Agricole, ma si tratta di una berlusconiana di peso leggero.
Scelta Civica e gli ex ministri. Non ha di che lamentarsi l’area politica che gravita intorno al premier uscente Mario Monti. Anche se l’ex presidente del Consiglio, come aveva giá annunciato nei giorni scorsi, non é nella compagine del nuovo esecutivo, sono ben tre gli esponenti del governo uscente riconfermati nella nuova squadra. Anna Maria Cancellieri migra dagli Interni alla Giustizia, mentre Enzo Moavero resta al suo posto di ministro per gli Affari Europei. Promozione di peso per l’ex ministro della Pubblica Amministrazione Filippo Patroni Griffi, nominato sottosegretario alla presidenza. Montiano doc e nome ampiamente pronosticato alla vigilia, Mauro Mauro si assicura una casella importante, quella di ministro della Difesa. Dato da non sottovalutare, anche per comprendere I nuovi rapporti di forza all’interno di Scelta Civica, l’assenza di esponenti riconducibili a Italia Futura. Piccola soddisfazione anche per l’Udc di Casini che “piazza” Gianpiero D’Alia alla Pubblica amministrazione.
Il partito dei saggi. Squadra trasversale e piuttosto nutrita é invece quella dei nomi caldeggiati dal Giorgio Napolitano. Il cosiddetto “Partito dei saggi”, gli uomini scelti dal Quirinale per mettere a punto un pacchetto di riforme da consegnare al nuovo esecutivo, si prenota posti in prima fila. Dal presidente dell’Istat Enrico Giovannini, nuovo ministro del Lavoro, fino ai montiani Mauro e Moavero alla difesa e agli Affari Europei e a Gaetano Quagliariello, scelto per le Riforme. Quattro su dieci, niente male.
Economia e tecnici. I due ministeri di peso economici (Tesoro e Lavoro) sono finiti a personalità esterne alla politica. Il dicastero più importante, quello che dovrá amministrare i conti pubblici in piena crisi è andato a Fabrizio Saccomanni, direttore generale di Bankitalia. Banca che è stato molto vicino a guidare: due anni fa è stato beffato sul filo di lana da Ignazio Visco, attuale governatore di palazzo Koch. Saccomanni aveva il gradimento dell’allora governo Berlusconi ma su di lui cadde il veto di Tremonti e Bossi. Bocconiano, ha sempre avuto parole di elogio del governo Monti e delle sue politiche economiche, a partire da una strenua difesa dell’introduzione dell’Imu. Accanto a Saccomani, c’è il presidente dell’ISTAT, Enrico Giovannini, in quota saggi di Napolitano, che prende il ministero del Welfare. Ha sicuramente pagato a sua favore l’attenzione che l’istituto da lui guidato ha avuto in questi anni sui temi della disoccupazione, soprattutto quella giovanile.
Fra i “tecnici” di questo governo va annoverato Carlo Trigilia, sociologo, professore all’università di Firenze, neo ministro alla Coesione territoriale, posto che fu di Fabrizio Barca. Si può definire un meridionalista del terzo millennio, visto che sostiene che lo sviluppo italiano non può che passare per la crescita del Mezzogiorno. Tecnico anche se in maniera sui generis può considerarsi il nuovo ministro degli Esteri Emma Bonino. La radicale da sempre vicina alle posizioni democratiche è stata scelta per la sua indubbia competenza internazionale: è stata prima commissario europeo e poi ministro per le politiche comunitarie.
La compagine Cl. Per la prima volta esponenti di Comunione e Liberazione entrano in un governo con posti ministeriali di peso. Il montiano Mauro e il pidiellino Lupi rappresentano le due diverse anime del movimento fondato da Giussani. La prima è quella che prima delle elezioni ha ricusato il lungo sodalizio con Forza Italia prima e il Pdl poi. Emblema e capofila è stato proprio Mauro che da capogruppo berlusconiano a Bruxelles ha assecondato l’allontanamento, almeno politico, dal Ppe del Cavaliere e l’endorsement pieno all’ormai ex premier Monti. Un percorso che ha portato alla sua candidatura fra le file di Scelta civica. La seconda anima è quella tuttora vicina all’uomo di Arcore, che non ha mai rinnegato la scelta di sostenerlo, e che si incarna in Lupi, novello ministro delle Infrastrutture. Nel doppio colpo ciellino avrà sicuramente pesato il presidente Napolitano che negli ultimi anni si è molto avvicinato al Meeting di Rimini, citato anche nel discorso di giuramento davanti alle camere riunite.
di Luca Sappino
Altro che “esecutivo di scopo” o “a termine”: la squadra di Enrico Letta è frutto di un accordo politico forte tra Pdl, Pd e centristi, con la super benedizione di Napolitano. Evitati gli Schifani e i D’Alema, il neopremier si vanta per “i molti giovani e le molte donne”. E alla fine lo voteranno anche i ‘malpancisti’ democratici, tutti o quasi
Non ci sono ex ministri dei governi Prodi e Berlusconi, escluso lo stesso Letta e il segretario del Pdl Alfano, che avrà la vicepresidenza e gli Interni. Fabrizio Saccomanni di Bankitalia all’Economia, Cancellieri alla Giustizia, Lupi alle Infrastrutture, Moavero agli affari europei e Delrio (il presidente dell’Anci, Pd) a quelli regionali. Il sociologo Carlo Trigilia alla Coesione territoriale. Dario Franceschini curerà i Rapporti con il Parlamento, mentre Gianpiero D’Alia la Semplificazione. Flavio Zanonato (Pd, sindaco di Padova) avrà lo Sviluppo economico, Nunzia De Girolamo le politiche agricole, Beatrice Lorenzin la Salute e Andrea Orlando l’Ambiente. Cecile Kyenge sarà il ministro dell’Integrazione, Massimo Bray quello della Cultura e Iosefa Idem lo Sport e le Pari opportunità.
Poi, tre sono i saggi, Quagliariello (agli Affari costituzionali), Giovannini (Lavoro) e Mauro (alla Difesa) – a cui nessuno osa rimproverare più nulla, mai la matrice Berlusconiana – che confermano che i lapsus di Letta («Ho ricevuto l’incarico dal Presidente del consiglio», ha detto ben due volte, la prima al Quirinale e la seconda durante la consultazione con i 5 stelle), tanto lapsus non erano e che la linea è quella di Napolitano. Ma non solo. L’ultimo via libera, infatti, Letta l’ha avuto da Berlusconi, dopo tre ore di incontro (con anche Letta senior), incassando la spinta decisiva: «Il governo nascerà oggi», ha detto il leader del Pdl alle 14, alle 15 Enrico Letta varcava già la soglia del Quirinale e alle 17, limate le ultime cose con Napolitano, apriva la conferenza stampa del varo.
Ma con quanti voti nascerà il governo? Con molti voti. Il Pdl sarà compatto (e una riunione a palazzo Grazioli, nel pomeriggio, serve a convincere gli ultimi), i montiani pure, fieri del loro bottino. Compresa Adriana Gàlgano, vicecapogruppo alla Camera della pattuglia montiana, che però si rammarica per l’assenza di donne nella quota di competenza: «Avrei visto bene Ilaria Capua (deputata di professione virologa, ndr), Linda Lanzillotta e Ilaria Borletti Buitoni».
E il Pd? Le sezioni continuano ad essere occupate, ma i toni degli #occupyPd (questo lo slogan più usato su twitter) già ieri – quando il governo era già cosa certa – si sono smorzati: «Nessuna scissione, ci riprenderemo il partito», dicono dalla sezione della Bolognina.
Laura Puppato aveva già aperto sentito l’odore di un sottosegretariato al Lavoro. «Lo farei – aveva detto ospite di Un giorno da pecora su Radio2 – ma dipende da quali ‘colleghi’ del Pdl ci saranno». Oggi nega di essere in pole per un incarico, ma accorda invece la sua fiducia: «Abbiamo fatto nascere un bel governo», dice. Quelli scelti da Letta, sono dunque bei nomi, «soprattutto Bonino e Zanonato». D’altronde a Puppato andava bene anche Violante («Luciano Violante – aveva detto sempre su Radio2 – mi piacerebbe alla Giustizia»), figurarsi Cancellieri.
Corradino Mineo, l’ex direttore di Rainews24, senatore Pd eletto in Sicilia, si dice disponibile: «lo schema non l’apprezzo – precisa sempre, riferendosi alle larghe intese – ma i nomi impresentabili non ci sono ed è anche merito di chi si è opposto». Il suo voto arriverà, dunque, «a patto che si apra un dibattito interno al gruppo, perché dovremmo pur spiegare ai nostri elettori perché facciamo un governo col Pdl».
Il prodiano Sandro Gozi, aveva già posto la sua condizione («Basta che sia un governo che rappresenti l’ingresso in un nuovo ciclo politico», aveva detto mitigando le frasi che lo avevano portato allo scontro con il collega di partito Francesco Boccia) e la conferma: «Mi pare che si chiuda un ciclo ventennale». E se per annunciare la fiducia si prende tempo («Valuterò in base alle priorità che si daranno»), il giudizio lascia ben sperare: «Sono troppi i ministeri chiave in mano al Pdl, ma nel complesso Letta ha fatto un buon lavoro».
E il più dissidente dei democratici, Pippo Civati? «E’ uno specchietto per le allodole», dice a caldo. «Per me – è l’annuncio – continua ad essere difficile votare la fiducia». Difficile è però anche votare contro, si asterrà? «Vedremo – risponde – certe volte le decisioni si prendono all’ultimo minuto». Per Civati, ovviamente, il problema non sono i nomi in quota Pd («Anche se non sono proprio tutti di sinistra», dice sorridendo): Alfano vicepresidente e ministro degli interni sì.
Sfangate le ipotesi più indigeste, i nomi di D’Alema e Berlusconi, Schifani e Brunetta, Gelmini e Amato, l’impressione è dunque che abbia funzionato alla grande il metodo Vaime. «Alla Rai – è l’aneddoto dell’autore televisivo – c’era un trucco per aggirare la censura»: se volevi far passare qualcosa di politicamente scorretto, per distrarre i controlli, dovevi mettere nel copione una parolaccia e una scena di sesso. Il censore si accaniva su quelle, e il resto passava. A pieni voti.
“Vergogna, buffoni, tutti a casa, basta inciuci!” La copertina della 23° puntata racconta la rabbia e la delusione della Piazza, tra urla, lanci di monetine, cortei spontanei e paralisi e impotenza dei dirigenti PD.
In studio, Roberto Saviano
Il 25 aprile, giorno della Liberazione, sarà domani anche il primo giorno di Enrico Letta premier incaricato di formare un governo di larghe intese, nell’era della Presidenza Napolitano bis. Una scelta “presidenziale” che mette al centro il dilemma tra la piazza e il Palazzo, tra il “popolo” e la “casta” che ha segnato questi ultimi anni di crisi della politica e di rabbia della gente.