Festa de “Il Fatto Quotidiano”, 07/06/13.
Intervento di Travaglio: “L’inciucio”.
Festa de “Il Fatto Quotidiano”, 07/06/13.
Intervento di Travaglio: “L’inciucio”.
Nell’ambito dell’inchiesta sull presunte tangenti per una commessa da 500 milioni di euro sulla fornitura di 12 elicotteri Agusta all’India, la procura di Busto Arsizio ha chiesto il processo, senza passare dall’udienza preliminare, per l’gli ex vertici del gruppo statale
MILANO – Il procuratore facente funzione di Busto Arsizio, Eugenio Fusco, ha depositato la richiesta di giudizio immediato per l’ex ad di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, nell’ambito dell’inchiesta sulle presunte tangenti pagate a pubblici ufficiali indiani per la fornitura di 12 elicotteri Agusta. La richiesta di giudizio immediato riguarda anche l’ad di Agusta, Bruno Spagnolini, ai domiciliari dallo scorso 12 febbraio, mentre Orsi si trova in carcere da quel giorno: per entrambi le accuse per cui è stato chiesto l’immediato sono di corruzione e false fatturazioni. Per Orsi, che nelle settimane scorse si era dimesso dalla carica di presidente e amministratore delegato di Finmeccanica, i termini di custodia cautelare scadono il prossimo 4 maggio, termine entro il quale il gip dovrà decidere se disporre il giudizio immediato.
La scoperta grazie a uno studio della difesa americana pubblicato in esclusiva dal Sunday Telegraph. L’Italia sta per spendere 170 milioni di euro per acquistare 50 esemplari del modello incriminati. Di Pietro: “E’ gravissimo che si spendano soldi pubblici per acquistare bombe volanti”
Avveniristici, costosi ma praticamente inutilizzabili in caso di temporale. Nuovi guai per il caccia F35, l’ambizioso progetto delle forze armate americane che ha convinto l’Italia ad investire quasi 200 milioni di euro per acquistarne 50 esemplari. Venerdì scorso, infatti, il Pentagono ha sospeso i voli della versione per i Marine, la ‘B’, del caccia-bombardiere ‘stealth’ F-35 Jsf della Lockheed Martin.
Secondo la versione ufficiale, la causa dello stop è stato un ‘problema’ registrato durante un volo di addestramento della Usa Air Force nella base di Eglin in Florida: ‘qualcosa’ ha causato lo spegnimento del sistema propulsivo (in reattori) e ha costretto il pilota ad interrompere il decollo all’improvviso. Il blocco riguarda tutti i 25 F35 ‘B’ (a decollo corto e atterraggio verticale, Stovl) finora costruiti, mentre restano operative le versione ‘A’ per l’aeronautica (a decollo e atterraggio convenzionale), di cui l’Italia ne dovrebbe comprare 60, e ‘C’ per la Us Navy. Nel complesso, gli Usa e i loro alleati intendono costruirne 2.443 esemplari ad un costo globale e provvisorio di 323 miliardi di dollari. Al progetto partecipano anche Gran Bretagna, Italia ( che assemblerà le ali nell’impianto Alenia-Aermacchi di Cameri vicino Novara), Olanda, Australia, Canada, Norvegia, Danimarca, Turchia, Israele e Giappone.
La nota diffusa dal Pentagono, però, non specificava quale fosse stato in realtà il problema. A risolvere il caso ci ha pensato all’indomani il Sunday Telegraph: l’F-35 Jsf di Lockheed Martin potrebbe esplodere se venisse colpito da un fulmine perché il serbatoio di carburante salterebbe in aria. Secondo l’edizione domenicale del Telegraph, i tecnici hanno scoperto che la spasmodica ricerca di alleggerire il jet ha portato a ridurre eccessivamente lo spessore del serbatoio del carburante, rendendolo vulnerabile non solo al fuoco nemico rispetto ai jet più antiquati, ma anche ad un fulmine. Lo scoperta è contenuta in un rapporto dell’ ‘Operational Test and Evaluation Office‘ del Pentagono, che vieta ai 63 F-35 finora realizzati di volare a meno di 45 km da un temporale. Il tutto fino a quando non sarà modificato il serbatoio.
La questione è rimbalzata, con tanto di polemica, anche in Italia, dove la questione F35 è entrata di diritto nella campagna elettorale. Il primo ad attaccare l’operato del governo è Antonio Di Pietro: ”E’ gravissimo che si sperperino soldi pubblici per acquistare i cacciabombardieri F-35 e i sommergibili mentre le famiglie italiane non arrivano a fine mese, gli operai restano senza lavoro e troppe imprese chiudono”. L’ex pm, poi, ha posto alcune questione: “Il professor Monti, che parla tanto d’Europa, lo ha letto il Sunday Telegraph? Lo sa questo governo dimissionario e guerrafondaio che gli F-35, oltre ad essere costosissimi, sono anche delle vere e proprie bombe volanti? Non siamo noi a denunciarlo, ma un rapporto del Pentagono” ha detto il leader dell’Idv, secondo cui il suo partito “è stata l’unica forza in Parlamento ad opporsi a questo vergognoso spreco e ora Rivoluzione Civile vuole portare avanti questa battaglia affinché i soldi dei cittadini siano investiti per rilanciare l’occupazione e l’economia del Paese”.
Il meccanismo di riciclaggio internazionale. I legami con Riina e Dell’Utri. Le trame africane di Finmeccanica. I nodi che Vituzzo potrebbe sciogliere. Dopo l’estradizione dalla Thailandia.
di Gabriella Colarusso
Dopo 25 anni di latitanza dorata, vissuti in Sudafrica da gran signore, Vito Palazzolo torna in Italia.
Il 20 dicembre la corte penale di Bangkok ha autorizzato l’estradizione del «cassiere della mafia», l’uomo che, nella sentenza di condanna definitiva per associazione mafiosa emessa a suo carico nel 2009 viene descritto come «cerniera tra il mondo imprenditoriale internazionale e l’associazione criminale». E per almeno 20 anni impegnato in attività che consentissero a «Cosa Nostra la gestione e il reimpiego di capitali assunti illecitamente».
I RAPPORTI CON I CORLEONESI. Vicinissimo a Bernardo Provenzano, secondo le rivelazioni del pentito Nino Giuffrè, il «finanziere dei Corleonesi» era stato arrestato lo scorso 31 marzo a Bangkok, mentre di ritorno da Hong Kong cercava di imbarcarsi su un volo per il Sudafrica, il Paese che per più di 20 anni gli ha dato ospitalità sottraendolo alle richieste di estradizione della giustizia italiana, e dove Palazzolo si era rifugiato nel 1986 con il nome di Robert Von Palace Kolbatschenko.
In Sudafrica, e in altri Stati del continente come la Namibia e l’Angola, Palazzolo ha costruito un impero finanziario commerciando diamanti e pietre preziose attraverso la sua Van Palace Diamond Cutters, allevando struzzi, gestendo locali extralusso e godendo di una totale impunità grazie a una serie di amicizie altolocate, come quelle con il National Party e l’African National Congress, i due più grandi partiti sudafricani.
L’AMICIZIA CON IL CONTE AGUSTA. Un ruolo fondamentale nella vita imprenditoriale di Palazzolo l’ha sempre avuto il legame con il conte Riccardo (Rocky) Agusta, figlio dell’ex magnate degli elicotteri Corrado, e figliastro della contessa Francesca Vacca Agusta, scomparsa da Portofino l’8 gennaio 2001.
LE TENUTE E LE AZIENDE AGRICOLE. Al conte, Palazzolo ha venduto anche le sue proprietà sudafricane per evitare confische. Attraverso la Agusta Holding co., che ha sede a Hong Kong, il conte possiede infatti la Terre de Luc e le aziende agricole Trauve che sorgono a pochi metri dalla lussuosa dimora sudafricana di Palazzolo.
Gli affari di Vituzzo, invece, sono gestiti attraverso il fondo Von Palace Kolbatschenko Trust, che è legato alla Palazzolo’s Cape International Holding registrata nelle British Virgin Islands.
Dopo nove mesi di trattative con Bangkok, dunque, portate avanti dalla Farnesina e dai pm di Palermo Gaetano Paci e Antonio Ingroia titolari delle indagini, i giudici thailandesi hanno acconsentito all’estradizione.
«DISPOSTO A COLLABORARE». I legali di Palazzolo non presenteranno ricorso. Anzi hanno già fatto sapere che il loro assistito potrebbe collaborare con la magistratura italiana, se questo gli consentisse di sottrarsi al carcere duro.
Strada piuttosto obbligata, quella della collaborazione, considerato che la richiesta di revisione del processo avanzata dai suoi avvocati è stata respinta in primo grado e non è affatto sicuro che ottenga il via libera della Cassazione.
Palazzolo comunque «ha sempre negato di far parte di Cosa nostra», ha precisato l’avvocato Baldassarre Lauria, «ma potrebbe spiegare ai magistrati i segreti del riciclaggio internazionale».
LA RETE DI ROBERT VON PALACE. Non solo. Robert Von Palace, il cui arrivo è atteso in Italia non prima del 20 gennaio, potrebbe chiarire anche i rapporti e le relazioni affaristiche che ha avuto con personaggi noti dell’establishment finanziario nazionale e internazionale, avendo operato per molti anni come banchiere, ed essendo titolare di una rete di società che vanno dal Lichtenstein a Montecarlo a Hong Kong.
I LEGAMI CON DELL’UTRI. Tutte attività di estremo interesse per i magistrati palermitani che, però, vorranno chiarire anche altri aspetti della vita di Palazzolo.
Innanzitutto i suoi rapporti con Totò Riina e Provenzano, ma anche le relazioni con il sentore Marcello Dell’Utri, al quale, per tramite della sorella Sara, Palazzolo, nel 2003, chiese aiuto per risolvere i suoi guai giudiziari.
Sul tavolo degli inquirenti siciliani, poi, c’è anche il capitolo dedicato agli affari di Finmeccanica in Africa. Come ha raccontato Lettera43.it, ben due manager di aziende controllate dalla holding italiana hanno testimoniato di aver incontrato Palazzolo a un meeting di imprese italiane in Angola, nel settembre 2009, cui partecipò anche una delegazione istituzionale guidata dall’allora viceministro Adolfo Urso.
LA TESTIMONIANZA DI TUCCILLO. A parlare per primo ai pm di Palermo della presenza di Palazzolo a Luanda fu Francescomaria Tuccillo, all’epoca responsabile di Finmeccanica per l’Africa subsahariana, incarico che gli fu tolto agli inizi del 2011, pochi mesi dopo le sue rivelazioni. Ma anche un altro manager della holding, che ha preferito non rivelare la sua identità, ha confermato agli inquirenti la presenza di Palazzolo in Angola.
IL RUOLO DI CHABRAT. In particolare, secondo i manager, a conoscere bene Vito Palazzolo era Patrick Chabrat, pezzo grosso di Agusta Westland, per anni braccio destro di Giuseppe Orsi prima che questi arrivasse alla direzione di Finmeccanica, e attualmente responsabile del gruppo per il Sudafrica, incarico per il quale è subentrato a Tuccillo.
LE INDAGINI DI FALCONE. Palazzolo nega di aver mai preso parte al meeting angolano, ma i dubbi degli inquirenti restano. E d’altra parte, già Giovanni Falcone, che fin dai primi Anni 80 aveva cominciato a dare la caccia a Palazzolo nell’ambito dell’indagine «Pizza Connection», si era chiesto quali fossero i rapporti tra la mafia e i nostri produttori d’armi in giro per il mondo.
Anche su questo, forse, il ritorno in Italia di Palazzolo getterà una nuova luce.
di Orazio Carabini
Tangenti, ruberie, lottizzazione selvaggia. Il colosso è nella bufera da tre anni. Ma l’esecutivo non batte un colpo. Pur essendone il principale azionista. Debolezza o ignavia?
La sede di Finmeccanica
La Finmeccanica è nella bufera da quasi due anni. Tangenti, ruberie, lottizzazione selvaggia dei posti di comando, strategie industriali abbozzate e subito azzoppate.
I magistrati indagano: dalle intercettazioni raccolte sembra un verminaio, anche se, per quanto se ne sa al momento, le inchieste non hanno ancora prodotto prove risolutive.
Il governo, con il 30 per cento, controlla la Finmeccanica, secondo gruppo manifatturiero italiano dopo la Fiat, quotata in Borsa, 70 mila dipendenti e 17,3 miliardi di ricavi. L’esecutivo ha designato propri rappresentanti nel consiglio di amministrazione e ne ha scelto i vertici. Non solo. Sulla base della legge 185/90 dovrebbe essere a conoscenza dei pagamenti di intermediazioni in tutte le attività di esportazione di armi, soprattutto quando superano una soglia critica. Da due anni
il governo, quello di Silvio Berlusconi prima quello di Mario Monti poi, assiste allo scempio di un patrimonio industriale senza battere colpo.
L’immagine della Finmeccanica, che all’estero tutti considerano (a ragione) una propaggine della Pubblica amministrazione e non una società privata, si sta rapidamente deteriorando. In un momento in cui la recessione e lo sforzo diffuso di aggiustamento dei conti pubblici impongono dovunque tagli alla spesa per la Difesa. Mentre “prendere” commesse è sempre più difficile, gli italiani passano per corruttori, e trafficoni. Il governo è muto, con un ministro dell’Economia, Vittorio Grilli, indebolito da uno schizzo di fango giudiziario cui non ha saputo reagire in modo convincente. Lascia il vertice della società al suo posto, nonostante le grane giudiziarie, con poteri inconsueti (il capoazienda Giuseppe Orsi è sia presidente sia ad, il direttore generale Alessandro Pansa siede nel cda), ma non gli riserva un pubblico attestato di fiducia. E ne mina direttamente la credibilità quando invoca (e ottiene) uno schieramento misto di banche pubbliche (Cdp) e imprenditori privati italiani per rilevare il controllo della Ansaldo Energia, messa in vendita dalla Finmeccanica e “opzionata” dalla tedesca Siemens con cui sono in corso trattative.
E’ un azionista un po’ schizoide il governo italiano. Che sembra non avere la forza di far valere le sue prerogative nel gruppo di piazza Montegrappa o la voglia di immischiarsi in faccende dai contorni tanto loschi da far ribrezzo ai compassati “professori”. E invece serve qualcuno che decida in fretta se rilegittimare Orsi, affiancandogli un presidente al di sopra di ogni sospetto, o se voltare pagina. Non può bastare lo scampato pericolo della fusione tra Eads e Bae a salvare la Finmeccanica. E non è bello aspettare che siano i magistrati a decidere.
Il dirigente è accusato dalla Procura di Napoli di corruzione internazionale nell’inchiesta su forniture all’estero da parte del gruppo. Per l’ex titolare dello Sviluppo i pm ipotizzano il reato di corruzione internazionale. Il gip: tangente da 18 milioni al presidente panamense, amico di Lavitola: “raccapricciante vicenda”. Perquisizioni a Napoli nella sede dell’Unione industriali per i rapporti tra il presidente Paolo Graziano e la società Finmeccanica
di DARIO DEL PORTO e CONCHITA SANNINO
La sede romana di Finmeccanica
Un nuovo arresto eccellente apre l’ennesimo capitolo dell’affaire Finmeccanica. Su richiesta dei pm napoletani Vincenzo Piscitelli e Henry John Woodcock è stato eseguito per “pericolo di fuga” un provvedimento di custodia in carcere per Pasquale Pozzessere, ex direttore commerciale della holding di Stato e ora impegnato per la stessa holding nel ruolo di senior advisor per i rapporti con la Russia. Indagato anche Claudio Scajola: l’ex ministro risulta indagato nel filone dell’inchiesta della procura di Napoli sulle forniture Finmeccanica in Brasile. I pm ipotizzano il reato di corruzione internazionale in riferimento ad un suo presunto tentativo di mediazione nell’affare. E’ indagato anche il suo portavoce Nicolucci.
Ma in proposito Scajola dichiara: “Ho appreso di questo avviso di garanzia. Ribadisco che nell’ambito delle competenze di ministro dello Sviluppo economico ho girato il mondo sempre nel rispetto delle leggi e delle regole e ho sempre svolto questi compiti alla luce del sole e in incontri ufficiali. Non ho mai avuto incontri privati. Sono sereno e non capisco cosa ci sia dietro ma da adesso sono a disposizione dei magistrati, se volessero sentirmi sull’argomento. Mi pare strambo – prosegue Scajola – che in questo momento un’attività di ministro di cui sono orgoglioso possa essere vista come qualcosa di losco. Non ammetto alcuna speculazione vergognosa. Non ho alcun portavoce che si chiama Nicolucci, conosco un deputato ma non ho mai avuto un portavoce con questo nome”.
La videointervista Borgogni: “In Finmeccanica assunti partenti dei politici” /L’articolo
Contemporaneamente è scattata una perquisizione anche a carico di Paolo Graziano, l’attuale presidente di Confindustria Napoli, ai piani alti di Palazzo Partanna, nella qualità di amministratore delegato della società Magnaghi. L’accusa per Pozzessere: corruzione internazionale in concorso con Valter Lavitola, l’ex editore de L’Avanti nonché super-consulente di Finmeccanica. Le indagini condotte dalla Digos di Napoli e dai carabinieri del Noe di Roma – è sottolineato in una nota a firma del procuratore aggiunto di Napoli, Francesco Greco – “hanno riguardato le forniture effettuate da tre società del gruppo Finmeccanica Agusta Westland, Telespazio e Selex, al governo di Panama nell’ambito degli accordi stipulati con lo Stato italiano”.
Il coinvolgimento di Pozzessere risale già all’estate del 2011. Poco dopo, scattano le sue dimissioni come direttore commerciale. Sono i giorni in cui esplode il “bubbone” Lavitola-Tarantini, e la Procura di Napoli ipotizza il ricatto condotto dall’editore de L’Avanti! e dall’imprenditore barese ai danni dell’ex premier Silvio Berlusconi. Affiora dall’inchiesta il sospetto di “affari opachi”, uno scenario di corruzione internazionale dietro le commesse di Finmeccanica, in particolare sull’asse Roma-Milano-Panama, dove Lavitola, grazie soprattutto ai rapporti personali con il presidente panamense Martinelli e in qualità di consulente di Finmeccanica, diventa l’interfaccia di ogni fornitura che interessi l’Italia. Emergono intercettazioni in cui il manager Pozzessere, al telefono con una delle consulenti di Finmeccanica, Debbie Castaneda, parla con disinvoltura di accordi, di quote. In una telefonata del 17 maggio tra Pozzessere e Castaneda si parla tra l’altro della conclusione “di un contratto del valore di 600 milioni per il quale sarebbe prevista una commissione pari al 5%, di cui l’1,5 destinato a Debbie Castaneda”. E dal contenuto delle intercettazioni, rilevano gli inquirenti, si intuirebbe che l’uomo che sta concludendo l’affare avrebbe tagliato fuori la donna, “la quale avrebbe così perso 6 milioni di euro”. Sono conversazioni durante le quali gli interlocutori si lasciano andare anche a commenti poco teneri con l’allora governo Berlusconi. Pozzessere decide di fare un passo indietro, “pur confermando la propria totale estraneità ai presunti fatti illeciti”. La decisione del manager venne resa nota con una nota ufficiale di Finmeccanica, al fine di “tutelare la reputazione della società in relazione all’esposizione mediatica alla quale il Gruppo e la sua persona sono stati esposti”.
Era 13 mesi fa. Prima che il groviglio di presunte tangenti e corruzione internazionale spingesse Lavitola a costituirsi dopo la lunga latitanza all’estero; e prima che l’inchiesta colpisse addirittura il vertice di Finmeccanica, Giuseppe Orsi, indagato nell’ambito di un altro filone, poi trasferito da Napoli a Busto Arstizio.
Per quanto riguarda Graziano, leader degli industriali partenopei, sarebbero emersi rapporti tra lui e i manager accusati di corruzione internazionale, relativamente, si legge nella nota della Procura, “ai rapporti posti in essere dalle società Finmeccanica e Fincantieri con il governo del Brasile per la fornitura di alcune navi militari”, un pacchetto di fregate già all’attenzione della Procura di Napoli.
Nella sua ordinanza di custodia, il gip Dario Gallo parla di “preoccupante ricorso da parte di Finmeccanica e società collegate a pratiche corruttive per l’acquisizione delle commesse di governi stranieri”. Il giudice sottolinea quelle che a suo avviso sono “evidenti profili di criticita”, e mette al centro della sua ordinanza una tangente da 18 milioni di euro, versata al presidente panamense per una fornitura di elicotteri Agusta Westland da 180 milioni. Vicenda – scrive il gip Dario Gallo – “raccapricciante”.
di Stefania Maurizi
Dai nuovi file segreti di WikiLeaks emerge che il colosso italiano ha fornito un sistema di comunicazioni al regime siriano impegnato nella repressione. E l’assistenza dall’Italia arrivava anche durante gli scontri
Dalle centinaia di migliaia di missive spuntano i rapporti commerciali tra Selex Elsag e l’ente del regime Syrian Wireless Organisation. Una mail interna dei siriani lascia capire come componenti del sistema fornito dalla Selex siano stati ordinati per essere spediti alla polizia di Muadamia, un sobborgo di Damasco, proprio a ridosso dei giorni in cui era teatro di violenti scontri. I vertici italiani di Selex e Finmeccanica erano consapevoli che i loro prodotti sarebbero finiti nelle mani dei pretoriani di Bashar al-Assad? Un’altra e-mail preannuncia l’arrivo degli ingegneri della Selex a Damasco, per istruire all’uso della rete di comunicazione, da impiegare anche sugli elicotteri: porta la data del febbraio 2012, quando il dramma del paese era già diventato un caso mondiale.
Finmeccanica ha venduto alla Siria uno dei suoi prodotti leader: il sistema Tetra, una rete per le comunicazioni che permette conversazioni e trasmissione di dati e ha avuto un successo commerciale mondiale. E’ affidabile, sicuro e garantisce il funzionamento in qualunque situazione. Non è un apparato dichiaratamente militare, ma può diventarlo: permette comunicazioni criptate a prova di intercettazione e collega qualunque veicolo, elicotteri inclusi. Alcune componenti di Tetra, come i programmi di cifratura, sono “dual use” e l’esportazione deve essere autorizzata dal governo italiano. Il contratto con Damasco risale invece al 2008, quando il feeling tra l’Italia e la Siria era ottimo e la primavera araba lontanissima. L’accordo da 40 milioni di euro venne siglato con una società greca, la Intracom-Telecom, e prevede la fornitura di Tetra alla Syrian Wireless Organisation, l’ente del governo siriano. Le mail rivelate adesso da WikiLeaks mostrano come i rapporti con la casa madre italiana per il programma siriano siano stati intensi e continui.
Lo schema del business è semplice: Selex e la greca Intracom vendono Tetra alla Syrian Wireless Organisation attraverso la branca siriana della ditta di Atene: la Intracom Siria. Proprio da questa azienda viene inviato in magazzino un ordine per 500 radio mobili VS3000 della Selex. «Questa fornitura andrà al deposito della polizia di Muadamia», recita il messaggio, che porta la data del 7 maggio 2011. Pochi giorni prima Muadamia era stata teatro di rivolte contro la dittatura e in Siria, ormai, dilagava il fuoco della ribellione. A fine maggio 2011, i siriani si mostrano interessati «a un’espansione del 25 per cento del progetto», senza peraltro specificarne le finalità. Il 25 luglio, Selex fa sapere di essere disposta a parlarne con la Syrian Wireless Organisation.
Dalla scorsa estate i combattimenti aumentano, viene assediata la città di Hama con la morte di oltre cento civili. Da Damasco premono per avere i sistemi di cifratura Tea3, necessari per criptare le comunicazioni. Li domandano alla Selex per settimane, ma per questi apparati che possono avere impiego militare è necessario il via libera del governo di Roma. E, recitano le mail, «la decisione finale delle autorità italiane è stata rinviata a fine giugno». Quando alcune componenti da riparare vengono spedite negli stabilimenti di Firenze, i siriani ne cancellano la memoria «per ragioni di sicurezza». E’ solo una procedura di tutela della riservatezza o i terminali contenevano dati compromettenti? Certo è che, per l’assistenza tecnica, i greci indirizzano Damasco sull’Italia: «E’ meglio chiedere al venditore (Selex) perchè qui non abbiamo la necessaria esperienza con la tecnologia Selex».
Infine un messaggio del 2 febbraio 2012 annuncia l’arrivo a Damasco degli ingegneri della Selex per istruire i tecnici della Intracom Syria sull’uso di varie componenti della tecnologia Tetra, tra i cui i terminali degli elicotteri. Nell’e-mail non si specifica se si tratti di elicotteri della polizia o anche militari. I velivoli di entrambi i corpi però stanno avendo un ruolo chiave nella repressione: i mitragliamenti dal cielo contro ribelli e popolazione sono segnalati da tutti gli osservatori. Il giorno dopo nella sola città di Homs vengono massacrati 200 civili.
Nella lettera recapitata nelle redazioni milanesi vengono citati la strage di Brindisi e il ferimento del manager dell’Ansaldo Roberto Adinolfi. “La tentata strage di Brindisi, come Piazza Fontana nel ’69, è stata un’ovvia provocazione dello stato fascista per placare la rabbia delle masse con la paura. Ma le masse proletarie non si faranno abbindolare”. Sul ferimento di Adinolfi si legge invece: “Alle azioni di guerra si risponde con la guerra! L’azzoppamento del manager Ansaldo Roberto Adinolfi a Genova ha riaperto i giochi. Vogliamo però sottolineare ancora una volta che lo spontaneismo armato è inutile e dannoso in quanto tende a disperdere il potenziale delle avanguardie non organizzate ed ancora politicamente immature nella lotta di classe. Bisogna organizzarsi e colpire il regime nei suoi punti cardine seguendo logiche politiche ben precise altrimenti le forze controrivoluzionarie avranno la meglio sul nascere. E’ giunta la nuova alba della rivoluzione. Ogni persona ritenuta colpevole dovrà pagare per i propri reati contro il proletariato. Si rende quindi necessario sviluppare una lotta di classe i cui principali obiettivi siano: formare il partito comunista combattente. Liberare i compagni prigionieri nei lager di stato. Colpire i maggiori rappresentanti dei partiti di regime e i loro ‘soci’. Colpire la Confindustria, il sistema bancario ed i loro sfruttatori. Colpire i loro servi giornalisti”. Il volantino termine con lo slogan: “Colpirne 1 per educarne 100. Potere al popolo armato”.
Secondo un investigatore raggiunto dal fattoquotidiano.it, ”chi scrive ha un sostrato ideologico, anche se gli argomenti è possibile mutuarli”. Inoltre, non ritiene “ci sia dietro una organizzazione” perché “il linguaggio è semplice” Chi scrive infatti “conosce gli argomenti e cita fatti di attualità, come Genova e Brindisi” e presumibilmente “appartiene ad ambienti di estrema sinistra”.
Al Secolo XIX arriva l’ennesimo volantino firmato Brigate Rosse con la classica stella a cinque punte. E’ stato recapitato alla sede di Genova. La Digos di Genova lo ritiene non attendibile. Nel volantino, analogo a quello recapitato a Milano al Giornale, si fa identico riferimento all’attentato di Brindisi: “La tentata strage di Brindisi, come Piazza Fontana nel ’69, è stata un’ovvia provocazione dello Stato fascista per placare la rabbia delle masse con la paura” . E’ giunto per posta ordinaria da Milano Borromeo.
Alla redazione della Nuova Gazzetta di Caserta in via G.M. Bosco è invece arrivata una lettera contenenti minacce dimorte ai “politici e ai tecnici”, in particolare al presidente del Consiglio, Mario Monti, e al direttore dell’Agenzia dell’Entrate, Attilio Befera. Era firmata “Nar Nucleo Armato Rivoluzionario Giuseppe Valerio Il Giusta”.
Intanto gli investigatori stanno vagliando il volantino firmato Brigate Rosse Brigata Liverani recapitata ieri all’Ansa di Ancona. ”Sono in corso accertamenti” si è limitata a confermare il procuratore distrettuale Elisabetta Melotti, che ha parlato di un atto “dovuto” e funzionale a compiere verifiche sul plico. L’intelligence nutre dubbi sull’attendibilità della missiva, ma in queste ore sono in corso una serie di verifiche tecniche per raccogliere quanti più elementi possibili sulla struttura del linguaggio con cui è stata elaborata, su eventuali copia e incolla di frasi tratte da documenti vecchi e nuovi di gruppi eversivi. Si cerca di capire anche se a vergare le righe in stampatello, con un pennarello, verosimilmente a mano libera e non con un normografo, siano state una o più persone. Non aiuta gli agenti della Polizia scientifica la circostanza che la missiva sia stata spedita in fotocopia, una precauzione che fa pensare ad un mittente non proprio sprovveduto, attento a non lasciare impronte e a schermare il tipo di inchiostro usato. Bisognerà poi attendere almeno una settimana per capire se la lettera sia un “unicum”, o se ne sono state inviate altre identiche: nel primo caso il messaggio potrebbe acquisire maggior peso di quanto non ne rivesta finora. Quanto all’inedita Brigata Gino Liverani Diego (nome di battaglia del brigatista del Comitato marchigiano delle Br, che sarebbe morto latitante in Nicaragua nel 1985), gli investigatori non sembrano attribuire particolare importanza al fatto che il soprannome del terrorista non fosse noto ai più: Diego Liverani compare infatti in vari siti internet.
L’ex direttore centrale del gruppo pubblico ha parlato ai pm di Napoli di una mazzetta di circa dieci milioni di euro destinata al Carroccio nella vendita di 12 elicotteri Agusta Westland all’India. L’operazione – ancora tutta da verificare – sarebbe stata orchestrata dall’ad della storica azienda varesina, Giuseppe Orsi, vicinissimo a Roberto Maroni e oggi numero uno del gruppo pubblico
Già in precedenti interrogatori, Borgogni aveva toccato questo tema e i magistrati hanno tentato di approfondirlo alla luce delle loro recenti acquisizioni investigative. In particolare, secondo quanto ha detto ai pm Borgogni, i costi di mediazione della vendita all’India degli elicotteri militari sarebbero stati gonfiati per pagare mazzette milionarie alla Lega Nord con il consenso dell’allora amministratore delegato di Agusta Westland Giuseppe Orsi. Questo manager nato a Guardamiglio, nel Lodigiano, nel 1945 e promosso prima ad amministratore delegato di Finmeccanica nel maggio 2011 e poi alla guida dell’intero gruppo nel dicembre scorso, rappresenta da decenni l’anima lombarda del gruppo pubblico romano e non fa mistero di essere un buon amico di Roberto Maroni.
Orsi è l’unico manager vicino alla Lega nord a ricoprire un ruolo manageriale di primo piano in una grande società pubblica. Il manager lombardo possiede grandi doti, riconosciute anche da chi non lo ama per i suoi modi bruschi poco adatti a condurre un gruppo che è intriso di politica fino al midollo. Inoltre ha guidato nella sua fase di espansione Agusta, l’azienda più forte del gruppo dal punto di vista industriale. Certamente però solo con il suo curriculum non sarebbe arrivato al gradino più alto. Non è un mistero che Maroni lo abbia sponsorizzato nelle ore decisive della promozione.
Maroni e Orsi si conoscono da almeno 15 anni. Agusta Westland ha il suo cuore nella provincia di Varese e Maroni ha cominciato a frequentare l’amministratore di questo colosso industriale per ovvie ragioni istituzionali. L’importanza del gruppo Finmeccanica è nota a tutti in queste zone e soprattutto a casa Maroni: la moglie dell’ex ministro dell’interno, Emilia Macchi, da 25 anni lavora alla Aermacchi, una società controllata da Finmeccanica che recentemente si è fusa, ma forse sarebbe meglio dire ha inglobato, la Alenia dando vita alla Alenia Aermacchi. Emilia Macchi, molto stimata in azienda, è diventata dirigente qualche anno fa grazie a una delibera del Consiglio di amministrazione che ha riconosciuto la sua professionalità. Ovviamente Orsi conosce benissimo la signora Maroni e le due famiglie si frequentano.
La signora Orsi invece non lavora nel settore aeronautico, ma si occupa di consulenza aziendale.Rita Coldani è infatti amministratrice unica di una società intestata a due fiduciarie che schermano i reali proprietari delle quote. La società si chiama Atirus Srl ha sede a Milano in Galleria del Corso e ha come azionisti la Cofircont Compagnia Fiduciaria con il 95 per cento e la Timone Fiduciaria con il 5 per cento. Nel 2010 ha fatturato solo 30 mila euro e l’anno prima poco più della metà. La Atirus possiede però un immobile iscritto al costo di 380 mila euro che si trova a New York. Probabilmente sarà un’eredità del periodo americano del manager.
Il recente ritorno in tv di Lorenzo Borgogni non deve aver fatto piacere a Maroni. Proprio quando, dopo 30 anni nel ruolo di numero due, all’età di 57 anni, l’ex ministro si accinge a scalare la segreteria, il manager da lui sponsorizzato per la presidenza di Finmeccanica torna al centro dell’attenzione per storie di mazzette. E stavolta non si tratta di vicende lontane o romane come quelle che hanno coinvolto la Selex Sistemi Integrali di Marina Grossi, moglie dell’ex presidentePierfrancesco Guarguaglini. Né di storie che impensieriscono principalmente Silvio Berlusconi, come le pirotecniche intercettazioni panamensi di Valter Lavitola. Stavolta si parla di verbali (ancora da riscontrare) che tirano in ballo pesantemente il rapporto tra la Agusta Westland e la Lega.
Lorenzo Borgogni ha riferito di avere saputo in ambito aziendale (anche se non ha rivelato la fonte delle sue informazioni che a maggior ragione sono tutte da riscontrare) che nella vendita di 12 elicotteri da parte di Agusta Westland al governo indiano sarebbe stato riconosciuto un compenso di 41 milioni di euro a un consulente del gruppo che ha rapporti storici con la Agusta, un imprenditore che opera in India ma è residente a Lugano e si chiama Guido Ralph Haschke. Questa somma, dovuta per le sue prestazioni, stando al racconto di Borgogni, però sarebbe stata poi elevata a 51 milioni per far fronte alle “esigenze” dei politici della Lega Nord.
Proprio Giuseppe Orsi avrebbe chiesto inizialmente ad Haschke di sottrarre al suo compenso la somma di 9 milioni di euro da far tornare attraverso un intermediario nella disponibilità del manager. Di fronte al rifiuto del consulente di rinunciare a una parte della sua fetta di commissione, si sarebbe trovata una via diversa a carico della società: in un incontro apposito – sempre stando al racconto di Borgogni tutto da verificare – si sarebbe raggiunto l’accordo di aumentare il costo della consulenza di dieci milioni “per soddisfare le esigenze dei partiti e in particolare della Lega Nord”, partito che avrebbe appoggiato la nomina ad amministratore delegato di Giuseppe Orsi. Un racconto tutto da verificare. I magistrati hanno convocato Guido Haschke ma il consulente si è avvalso della possibilità di non presentarsi essendo un cittadino straniero.
La televisione Times now mostra documenti intestati alla Agusta Westland per il pagamento di commissioni su un appalto di fornitura alla polizia indiana (poi tramontato). Interesse della Procura di Napoli. La società smentisce categoricamente di avere mai pagato per quello o qualsiasi altro appalto. E minaccia azioni giudiziarie nei confronti dell’emittente indiana
Ieri, è stata la giornata del silenzio. Nessun commento da parte dell’ufficio stampa di Finmeccanica e, soprattutto, nessun commento di un politico italiano. Leader e mezze tacche, di centrosinistra e centrodestra, passando ovviamente per il generale-ministro della Difesa Giampaolo Di Paola e per il presidente del Consiglio Mario Monti, non hanno avuto da ridire su quanto pubblicato dalFatto.
RICAPITOLIAMO: da mesi ormai i giornali hanno dato notizia dell’interessamento dei pm di Napoli per il grande affare di Agusta in India: la commessa da 560 milioni di euro ottenuta nel 2010 per la fornitura di 12 elicotteri AW 101 al ministero della Difesa. Nei primi giorni di marzo era rimbalzata in Italia anche la notizia dell’apertura di un’indagine da parte del ministero della Difesa indiano sull’affare, notizia poi smentita dal ministro sull’ Indian Express. Mercoledì però c’è stato il colpo di scena: Navika Kumar, una famosa reporter investigativa indiana ha mostrato in un servizio della tv Times Now (titolato: “Esclusivo: tangenti per l’affare degli elicotteri?”) ben sette documenti che a detta della tv indiana porrebbero seri quesiti sugli affari indiani di Agusta. Il documento più importante, mostrato in tv mercoledì e ripubblicato dal Fatto (non smentito da Finmeccanica) è una lettera su carta intestata di Agusta Westland datata agosto 2009 nella quale la società italiana offre alla Ganton Ltd di New York un pagamento dell’8 per cento sul valore del contratto per gli elicotteri e del 15 per cento sui ricambi. Ovviamente solo se la commessa sarà ottenuta da parte di Agusta.
L’oggetto del contratto di consulenza siglato con il presidente della società Ganton Ltd, MisterEdmonds C Allen, è però la fornitura di 12 elicotteri AW 119 alla Polizia indiana. E Finmeccanica ha buon gioco a sottolineare che quell’affare non è stato mai concluso, mentre Agusta si è aggiudicata un’altra commessa con il ministero della Difesa per gli elicotteri vip AW 101. “Il contratto con Ganton è un normale accordo per pagare commissioni a un agente e prevedeva clausole stringenti di rispetto delle norme. Non è stato poi eseguito perché – sostengono a Finmeccanica – non abbiamo siglato nessun contratto per la fornitura alla Polizia indiana”. Parallelamente, nello stesso periodo e con lo stesso governo, Agusta otteneva la commessa da 560 milioni di euro per gli elicotteri AW 101, ma stavolta, precisano da Finmeccanica: “Non abbiamo pagato nemmeno un euro di commissione né a Ganton Ltd né a nessun altro per il semplice motivo che la legge indiana lo vieta”.
RESTANO però sul tavolo una serie di questioni non da poco. Innanzitutto non si comprende chi ci sia dietro la Ganton ltd. Edmonds Allen potrebbe essere un prestanome e secondo la tv indiana la società sarebbe dell’imprenditore Abhishek Verma, arrestato nel 2006 per un altro scandalo dal quale è uscito indenne, ma ora di nuovo sotto investigazione per sospetto riciclaggio. La tv Times Now, ha mostrato anche altri documenti che, dopo la minaccia di azione legale di Finmeccanica sono però spariti dal web. Tra questi ci sarebbe una lettera nella quale il ministero della Difesa indiano chiede a Edmonds Allen di portare documenti sulla Ganton Ltd all’ambasciata indiana a New York e una lettera nella quale si parla di 410 milioni di dollari contesi tra Verma ed Edmonds Allen. L’affare tra i due non sarebbe connesso, a quanto si vede dal servizio tv, alla questione Agusta, ma certamente pone interrogativi sul partner prescelto da Agusta per le sue transazioni in India. Il codice etico approvato in pompa magna da Finmeccanica solo nel 2010 permette di scegliere simili partner di affari? Lo abbiamo chiesto alla società e restiamo in attesa di risposta.