In aumento dalle Alpi alla Calabria, al Gargano e al Belice
le rilevazioni oltre il secondo grado della scala Richter
PIÙ AL NORD – «Solo nelle ultime 24 ore – ricorda Mele – abbiamo registrato un centinaio di terremoti, tenendo conto anche di quelli più deboli». Oltre la metà degli eventi si è manifestata nella Pianura Padana emiliana e lombarda che rimane sempre il focolaio più acceso. Tuttavia negli ultimi 2-3 giorni scosse oltre il secondo grado della scala Richter si sono fatte sentire un po’ dovunque, da Nord a Sud, con qualche epicentro più frequente di altri: tra questi c’è l’area calabra del Pollino intorno a Castrovillari. Qui dal 1708 al 1988 si sono verificati sei terremoti con una magnitudo intorno a cinque gradi. «Nella zona c’è una faglia – spiega Mele – che spesso fa emergere lunghe sequenze di relativa intensità». Parte della Calabria è priva di grandi terremoti storici e questo «gap sismico», come lo chiamano gli specialisti, inquieta e si infittiscono gli studi dedicati alla regione. I processi stanno accumulando energia, prima o poi la scaricherà?
L’elenco delle ultime località interessate è lungo. Dalla tristemente nota Valle del Belice alla Sila, dal Golfo di Noto, ad Ascoli Piceno, dal Sannio al Gran Sasso alle Isole Lipari e poi la costa abruzzese e calabra. «Dopo il terremoto dell’Aquila abbiamo ulteriormente intensificato la rete delle stazioni di rilevamento aggiungendone sugli Appennini e nell’Alta Val Tiberina – precisa Mele -. Complessivamente a livello nazionale arriviamo a cogliere 12 mila terremoti all’anno anche se quelli superiori ai due gradi della scala Richter sono soltanto circa seicento. Quest’anno saranno sicuramente di più».
IL RUOLO DEI COMUNI – La cognizione del rischio in Val Padana si è individuata diventando via via più consistente, a partire dagli anni Quaranta quando iniziarono le indagini per cercare i giacimenti di gas e petrolio. Ne uscirono profili del sottosuolo preziosi per capirne la natura ed anche il potenziale pericolo. «Furono ricerche importanti di cui conosciamo però soltanto una parte dei risultati – ricorda Mele – perché molte sono rimaste segrete e ancora chiuse nei cassetti dell’Eni». Una continuazione utile la aggiunsero negli anni Ottanta altri ricercatori dell’Ingv, come Gianluca Valensize. «Negli ultimi giorni si è richiamata più volte la necessità di aggiornare la mappa nazionale del pericolo sismico – conclude Franco Mele -, ma si dimentica che questa costituisce solo un riferimento di base avvalorato anche dai recenti sismi, e che poi sono le amministrazioni locali ad avere il compito di integrarla nei dettagli».
Giovanni Caprara