Stesso prezzo, 80 euro, ma 30 minuti anziché 40. E’ la delibera dell’associazione dei bancali in merito alle prossime tariffe del servizio turistico. “I prezzi erano fermi dal 2006”
Tariffa immutata, durata ridotta. Aumento di esborso nullo, a parità di corse richieste – verosimilmente una – ma aumento di fatto del costo del servizio del 33 per cento. E’ questa la deliberazione dei bancali, la rappresentanza sindacale dei gondolieri di Venezia, riguardo al futuro costo del tradizionale servizio di gita turistica della città, vista dai canali.
In altre parole, restano gli 80 euro, ma la durata del passaggio viene ridotta da 40 a 30 minuti. Come dire, appunto, i turisti spenderanno lo stesso ma vedranno meno, o peggio, con un costo per unità di tempo che sale di un terzo. La deliberazione dei bancali, presa nei giorni scorsi, dovrà ora essere sottoposta al benestare della giunta comunale di Venezia, competente sulla questione. I ‘pope’ (i gondolieri) spiegano che è dal 2006 che non si mette mano al tariffario del servizi, contro il quale si è spesso levato il grido di protesta dei turisti, soprattutto stranieri, a causa dei prezzi gonfiati artificiosamente.
A poche ore dalla manifestazione contro il passaggio delle grandi navi da crociera tra i delicati canali della città veneta il professore Giuseppe Tattara parla dei danni alla laguna. Video di David Marceddu
Scudi umani contro i mostri da crociera
Nel giorno dell’assalto dei Golia galleggianti a Piazza san Marco, ben 9 passaggi in 24 ore, un record, i David del ‘Comitato no grandi navi’ a Venezia si sono buttati in acqua per bloccare il passaggio dei giganti da crociera.
Sono riusciti a fermare il via vai solo per un’ora, ma la vera vittoria è un’altra: il ministero dell’ambiente ha promesso di proporre l’opzione zero passaggi su Venezia, con uno spostamento graduale su Marghera.
Certo, il panorama non sarà proprio lo stesso e i croceristi potrebbero lamentarsi, per cui gli addetti ai lavori già mettono le mani avanti:
“L’incidente del Costa Concordia è avvenuto in mare aperto in condizioni differenti rispetto a quelle della laguna, che ha bassi fondali. – ha commentato Filippo Olivetti del Comitato venezia Crociere- Qui le imbarcazioni devono navigare in un corridoio definito e molto stretto”
Rassicurazioni che non soddisfano il fronte del no alle grosse imbarcazioni nel canale della Giudecca; Silvio Testa: “La soluzione è cambiare modello. Lasciare entrare nella laguna solo le imbarcazioni compatibili con i bisogni della città e dei suoi abitanti, e lasciare fuori le alte”.
La protesta contro il transito delle grandi navi da crociera a due passi dai gioielli di San Marco è iniziata 2 anni fa e ormai coinvolge ampi settori della società. Nella mattinata i centri sociali avevano manifestato nella zona dell’aeroporto di Venezia riservato ai croceristi.
VENEZIA – Dodici, o forse tredici grandi navi in transito nella Laguna di Venezia nell’arco di 24 ore. Sarà il weekend più congestionato dell’anno: sui ponti, migliaia di crocieristi faranno ciao ciao , ammirando le pietre storiche della Serenissima, mentre i grattacieli del mare solcano le acque del canale della Giudecca e del bacino di San Marco. Questo passaggio lento nel cuore della città rappresenta, del resto, il valore aggiunto, il business, degli itinerari di viaggio. Ma il piacere dei turisti, gli incassi del porto e dell’indotto non devono essere anteposti – sono in molti a sostenerlo – agli altri interessi della città. Unica al mondo. Bella e fragile. Da qui le numerose proteste dei cittadini, appoggiati dal coro esterno, trasversale, di ambientalisti, ecologisti. O, più semplicemente, di persone che considerano le grandi navi un oltraggio a Venezia. Questa volta, scende in campo anche Adriano Celentano. Che ha acquistato un’intera pagina del Corriere per gridare il suo sdegno.
Ecco le sue parole: «Domani non sarà un bel giorno per il nostro Paese, anche se ci sarà il sole. Con l’ignobile sfilata delle 13 navi dentro la Laguna di Venezia si celebra l’Eterno Funerale delle bellezze del mondo». Lo sfregio alla Serenissima è motivo bastevole di ribellione, al di là di altre argomentazioni correnti, più o meno discutibili, sugli squilibri del moto ondoso, o sul rischio del fuori rotta, evocato soprattutto da quando il maldestro capitan Schettino provocò il naufragio della Concordia, cioè la tragedia dell’isola del Giglio.
Una dozzina di navi, in 24 ore dunque. La conferma arriva dalle parole di un responsabile della Capitaneria di porto di Venezia. «In questi giorni di settembre, c’è il cambio di calendario delle crociere; così si determina una congestione di traffico straordinaria – spiega Alberto Pietrocola, ufficiale capo della sezione tecnica – Intendiamoci, in porto non c’è spazio per 12 navi. Ma, tra arrivi e partenze, confermo il numero dei transiti, nell’arco di 24 ore, da sabato a domenica. Si tratta di navi da crociera di stazza elevata – aggiunge – Le compagnie? Di sicuro, due navi sono della Msc. Poi, l’Asmara. Non ricordo le altre. Nessuna della Costa».
Comunque sia, il tam tam della mobilitazione è partito. Sul luogo dei transiti nel mirino, tocca al Comitato «No Grandi Navi» gestire la protesta. Alle Zattere, tratto di riva che si affaccia sul canale della Giudecca, domani pomeriggio saranno attivi alcuni gazebo dove chiamare a raccolta i contestatori. «Chiediamo a tutti di venire muniti di pentole e coperchi, in modo da organizzare un presidio vivace – dice Silvio Testa, portavoce del movimento. (Che, per inciso, comprende una quota di ex no global veneziani) – Verrà distribuito materiale informativo, si venderanno magliette, spille, gadget con il nostro simbolo. E generi di conforto».
Il Comitato «No Grandi Navi» è il più intransigente nel chiedere il blocco. «In Laguna oggi passano navi di stazza superiore alle 100.000 tonnellate, lunghe oltre 300 metri – avverte Testa – Noi chiediamo che in Laguna siano ammesse soltanto quelle compatibili. Il limite del Decreto Clini-Passera è di 40.000 tonnellate». Gli intransigenti pensano a un blocco delle Grandi Navi, non soltanto nel canale della Giudecca e nel Bacino di San Marco, ma anche negli altri corridoi lagunari. In sintesi, bocciano le soluzioni alternative, allo studio di fattibilità, che punterebbero a mantenere Venezia come porto crocieristico, deviando, però, le rotte verso l’esterno, cioè lungo il Canale dei Petroli.
Il progetto dell’Autorità portuale, guidata da Paolo Costa, mira a una deviazione parziale, che mantenga l’attuale punto di approdo. Mentre il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, suggerisce Marghera come nuovo porto crocieristico. L’assessore verde all’Ambiente, Gianfranco Bettin, dichiara intanto che in questo weekend trafficato «il Comune sosterrà uno sforzo straordinario di monitoraggio, sotto ogni profilo, della eccezionale situazione che si creerà in Laguna».
Celentano e le 13 navi che«uccidono Venezia»
Giorno dei record, l’artista compra una pagina del Corriere
VENEZIA – Dodici, o forse tredici grandi navi in transito nella Laguna di Venezia nell’arco di 24 ore. Sarà il weekend più congestionato dell’anno: sui ponti, migliaia di crocieristi faranno ciao ciao , ammirando le pietre storiche della Serenissima, mentre i grattacieli del mare solcano le acque del canale della Giudecca e del bacino di San Marco. Questo passaggio lento nel cuore della città rappresenta, del resto, il valore aggiunto, il business, degli itinerari di viaggio. Ma il piacere dei turisti, gli incassi del porto e dell’indotto non devono essere anteposti – sono in molti a sostenerlo – agli altri interessi della città. Unica al mondo. Bella e fragile. Da qui le numerose proteste dei cittadini, appoggiati dal coro esterno, trasversale, di ambientalisti, ecologisti. O, più semplicemente, di persone che considerano le grandi navi un oltraggio a Venezia. Questa volta, scende in campo anche Adriano Celentano. Che ha acquistato un’intera pagina del Corriere per gridare il suo sdegno.
Ecco le sue parole: «Domani non sarà un bel giorno per il nostro Paese, anche se ci sarà il sole. Con l’ignobile sfilata delle 13 navi dentro la Laguna di Venezia si celebra l’Eterno Funerale delle bellezze del mondo». Lo sfregio alla Serenissima è motivo bastevole di ribellione, al di là di altre argomentazioni correnti, più o meno discutibili, sugli squilibri del moto ondoso, o sul rischio del fuori rotta, evocato soprattutto da quando il maldestro capitan Schettino provocò il naufragio della Concordia, cioè la tragedia dell’isola del Giglio.
Una dozzina di navi, in 24 ore dunque. La conferma arriva dalle parole di un responsabile della Capitaneria di porto di Venezia. «In questi giorni di settembre, c’è il cambio di calendario delle crociere; così si determina una congestione di traffico straordinaria – spiega Alberto Pietrocola, ufficiale capo della sezione tecnica – Intendiamoci, in porto non c’è spazio per 12 navi. Ma, tra arrivi e partenze, confermo il numero dei transiti, nell’arco di 24 ore, da sabato a domenica. Si tratta di navi da crociera di stazza elevata – aggiunge – Le compagnie? Di sicuro, due navi sono della Msc. Poi, l’Asmara. Non ricordo le altre. Nessuna della Costa».
Comunque sia, il tam tam della mobilitazione è partito. Sul luogo dei transiti nel mirino, tocca al Comitato «No Grandi Navi» gestire la protesta. Alle Zattere, tratto di riva che si affaccia sul canale della Giudecca, domani pomeriggio saranno attivi alcuni gazebo dove chiamare a raccolta i contestatori. «Chiediamo a tutti di venire muniti di pentole e coperchi, in modo da organizzare un presidio vivace – dice Silvio Testa, portavoce del movimento. (Che, per inciso, comprende una quota di ex no global veneziani) – Verrà distribuito materiale informativo, si venderanno magliette, spille, gadget con il nostro simbolo. E generi di conforto».
Il Comitato «No Grandi Navi» è il più intransigente nel chiedere il blocco. «In Laguna oggi passano navi di stazza superiore alle 100.000 tonnellate, lunghe oltre 300 metri – avverte Testa – Noi chiediamo che in Laguna siano ammesse soltanto quelle compatibili. Il limite del Decreto Clini-Passera è di 40.000 tonnellate». Gli intransigenti pensano a un blocco delle Grandi Navi, non soltanto nel canale della Giudecca e nel Bacino di San Marco, ma anche negli altri corridoi lagunari. In sintesi, bocciano le soluzioni alternative, allo studio di fattibilità, che punterebbero a mantenere Venezia come porto crocieristico, deviando, però, le rotte verso l’esterno, cioè lungo il Canale dei Petroli.
Il progetto dell’Autorità portuale, guidata da Paolo Costa, mira a una deviazione parziale, che mantenga l’attuale punto di approdo. Mentre il sindaco di Venezia, Giorgio Orsoni, suggerisce Marghera come nuovo porto crocieristico. L’assessore verde all’Ambiente, Gianfranco Bettin, dichiara intanto che in questo weekend trafficato «il Comune sosterrà uno sforzo straordinario di monitoraggio, sotto ogni profilo, della eccezionale situazione che si creerà in Laguna».
Viaggio tra Firenze, Venezia e Istanbul nei luoghi del fortunato romanzo. Dove sarà girato il film di Ron Howard. Per scoprire, in mezzo a frotte di turisti, il cuore esoterico del moderno Grand Tour
Benvenuti all’Inferno, quello che dal 18 dicembre del 2015 infuocherà gli schermi del mondo intero. Agitando la copertina del libro di Dan Brown, la Sony l’ha già annunciato urbi et orbi. L'”Inferno” è suo! Non Dante, s’intende, ma quello dello scrittore multimilionario che gli rende omaggio. Un affare che riunisce la coppia vincente formata dall’attore Tom Hanks e dal regista Ron Howard.Colpo grosso. Forse più di quanto non lo siano stati “Il Codice da Vinci” (758milioni) o “Angeli e Demoni”(486 milioni, dollaro più dollaro meno). Perché questa volta Dan Brown ha scatenato il suo professor Robert Langdon nelle viscere dell’immaginario collettivo, nei gironi della Divina Commedia, tra i dannati immersi nel fango a testa in giù, bruciati vivi dalle fiamme del demonio, con la testa data in pasto a Lucifero, diavolo ruvido e peloso che, grazie alle tre bocche, di cervelli riesce a succhiarne tre alla volta.
E’ il raccapriccio, sentimento fisico che dal Medioevo nutre tanto le Apocalissi cattoliche quanto lo splatter dell’horror movie. Poi, quando si sposa da una parte all’erudizione classica e dall’altra alla suspense del buon giallone da 600 pagine, diventa bestseller e subito dopo blockbuster. Ecco il segreto di Dan Brown. Che qui nella sua infernale discesa in Europa (Firenze, Venezia più tappa a Istanbul), segue le orme dei viaggiatori del Grand Tour. Quello scendere a Sud nei segreti del Bello e del Sublime che i giovani sensibili dell’aristocrazia e buona borghesia europea ritenevano necessario a curar mente e spirito.
Come Goethe, come Füssli, come Poussin, si attraverserà l’Italia a narrarne l’apollineo e il dionisiaco cercando immagini (come quelle che mostriamo) affinché «la sensazione inizi dove cambia la percezione», come disse molto più tardi André Gide. Ma Dan Brown non è Gide né tantomeno Goethe (e Ron Howard non sarà il nostro Poussin). Brown non è neanche un viaggiatore, non è un uomo del Settecento, non è europeo. Piuttosto è il tipico bravo ragazzo della provincia americana (nato nel 1964 in una città del New Hampshire da un babbo insegnante di matematica e mamma cattolica organista della Chiesa), cresciuto con il mito di una cultura artistica studiata sui libri, vissuta da turista e soprattutto vista al cinema. Da qui arriva Langdon: professore di storia dell’arte, belloccio, atletico e “arredato” con giacche di tweed scozzese e mocassini Church’s. Metà Bernard Berenson metà Indiana Jones. L’uomo che mentre scappa dal fucile ad alta precisione di una killer professionista coi capelli a spine e da una squadra acrobatica di teste di cuoio, si ferma un attimo a riflettere per ricordare a noi e alla sua compagna di sventura la storia e le storie, i simboli e le allegorie.
Sebbene “l’Inferno” di Dan Brown abbia inizio con l’amnesia di Langdon, la sua memoria eidetica (noi diremmo più genericamente visiva, ma così è definita nel testo) lo consiglia, lo avverte e lo salva come il grillo di Pinocchio. Sa riconoscere quello che è concesso solo agli iconologi e non agli occhi dei comuni mortali.
Se trova l’iscrizione con la parola Aigilas, subito avverte che bisogna guardarla ad uno specchio e leggere Saligia. E se Saligia a noi non dice nulla, lui traduce in un baleno: «E’ un espediente mnemonico latino inventato dal Vaticano nel Medioevo per rammentare ai cristiani i sette vizi capitali. Dunque Saligia è acronimo per Superbia, Avaritia, Luxuria, Invidia, Gula, Ira e Acedia». Parla così Langdon pur nel convulso succedersi degli eventi, anche quando sviene e ripete a loop la parola Vasari (ma l’amica americana, degna di Totò, pensa che dica “Very sorry”). Non si distrae mai il Nostro dal compito di rileggere da par suo le Malebolge dipinte da Botticelli in quella sua “Mappa dell’Inferno” fedele illustrazione della Divina Commedia, con peccatori che sgambettano nell’aria semisepolti a testa in giù; lussuriosi travolti da un’eterna tempesta; adulatori che si cibano dei loro stessi escrementi.
Lungo le quasi 600 pagine del libro (e si suppone gli oltre 120 minuti del film) lo studioso atletico saprà così risolvere passo passo il rebus che il cattivo di turno (un geniale e malefico scienziato svizzero dagli occhi verdi) gli ha posto sotto gli occhi, minacciando di distruggere l’intera umanità grazie a un virus di nuova generazione, capace di scatenare un’epidemia dalla potenza distruttiva equivalente alla Peste Nera del Trecento. Cosa che coinvolge direttamente sia l’Organizzazione Mondiale della Sanità sia un misterioso Rettore incaricato di fornire servizi speciali a ricchi eccentrici e malefici come il Joker o Goldfinger, nonché studiosi di alchimia, storia dell’arte, simbologia, epigrafia.
Per questo non basta James Bond, che fisicamente è messo meglio ma non sa distinguere un affresco da un fumetto. Ci vuole Langdon e la sua lanterna magica che ci illumina nel cammino partendo dalla culla del Rinascimento: il cuore di Firenze. Ma sebbene sia una Firenze che tocca le sacre tappe del turismo internazionale, i luoghi qui descritti sono tutti infernali e dunque eccentrici. Dall’Istituto d’arte, il nostro sapiente eroe salta nel giardino di Boboli, «tela naturale di quattro ettari e mezzo dove Nicolò Tribolo, Giorgio Vasari e Bernardo Buontalenti avevano creato un capolavoro in cui è possibile passeggiare» (dice Landon a pag 124). E nel Giardino di Boboli non passeggia, ma correndo e scappando incontra la statua di una grottesca creatura completamente nuda, in groppa a una tartaruga, con i testicoli schiacciati sul dorso del rettile dalla cui bocca sgorga un filo d’acqua, e non si trattiene dal raccontarci che «costui fu il Nano Morgante, il preferito di Lorenzo de’ Medici».Poi si nasconde nella grotta del Buontalenti che ha tutto il tempo di descrivere e decifrare mentre il lettore, con il fiato sospeso, sa che i cattivi stanno alla porta e sarebbe il caso di darsi una mossa. Ma Langdon conosce i passaggi, le porte nascoste, i segreti dei Granduchi. Da Boboli si getta, come fecero un tempo i Medici, nel corridoio vasariano dissimulato nel sottotetto del Ponte Vecchio fino a sgusciar fuori in Palazzo Vecchio dove, sempre inseguito, raggiungerà le capriate della Sala dei Cinquecento oltre la grande tela con la Battaglia di Marciano del Vasari che chiude decorativamente il soffitto. E nel far questo attraversando il Bel Paese continua a svelarci: il lato infernale del Rinascimento; il significato della maschera della morte col lungo naso a becco che in realtà nasce con fini sanitari durante la Peste Nera, espediente per allontanare le narici dei medici da pustole e bubboni di malati; il motivo per cui i battisteri, compreso il fiorentino, son tutti ottogonali e le gondole hanno quella strana decorazione a pettine che è simbolo stilizzato dei sestrieri di Venezia più cappello del doge; una rilettura critica dei versi di Dante mentre le terzine, come le briciole di Pollicino, passo dopo passo sciolgono l’enigma.
Siamo davvero fortunati ad avere il professor Langdon come guida privata di un viaggio alternativo nelle glorie d’Italia. Solo lui ci può condurre per mano da Firenze a Venezia, dove il giallo si infittisce alla ricerca del “doge ‘ngannator che di più non vedea l’ossa cavò” (Dante). Solo lui può mescolare pittoresco e demoniaco, inferno e paradiso, simbologie d’oriente e d’occidente mentre si fa strada tra le malebolge di turisti, sgomitando e sudando con gli occhi puntati sul campanile di San Marco che come un faro, spiega, indica la strada nel dedalo di calli, ponti, campi e campielli dove è impossibile non perdersi. E non si perde, infatti, ma arriva fino alla luce mistica della meraviglia dorata di Santa Sofia di Istanbul, unione d’iconografia cristiana e islamica, basilica e moschea, volto di Dio e nome di Allah. Come spiega con dovizia di particolari il colto colloquio fra Langdon e il turco studioso Mirsat. Sempre rubando tempo agli inseguitori e sempre circondati da ottuse e inconsapevoli masse di turisti che qui son l’immagine stessa della sovrappopolazione di un pianeta destinato a perire sotto i piedi di troppi uomini.
Per questo il cattivo scienziato Bertrand Zobrist vuole diffondere il virus e distruggere un terzo dell’umanità. Per questo dopo 522 pagine di inseguimenti tra il Bello e le birkenstock, gli ombrellini, le audioguide, i pullman a Firenze e le navi a Venezia stracariche dei milioni di pellegrini dell’arte, tra le bolge infernali di Riva degli Schiavoni e i corpi sfatti dei dannati dei tour operator, con vago senso di colpa si comincia a pensare che Zobrist tanto cattivo non è, con la sua stramba idea di sfoltire il mondo. E per fortuna nostra, il colpo di scena finale ce lo conferma. Happy end: possiamo uscire a riveder le stelle.
La città della laguna si candida a diventare la sede del diritto internazionale sull’ambiente. Intanto al convengo che lancia l’iniziativa, si discute dei casi più noti da Bhopal e Fukushima, al massacro delle foreste indonesiane, passando per la montagna di piombo che avvelena gli abitanti di Abra Pampa, in Argentina
VENEZIA – Dai casi più noti, come Bhopal e Fukushima, al massacro delle foreste indonesiane, passando per la montagna di piombo che avvelena gli abitanti di Abra Pampa, in Argentina. E’ un elenco di 12 disastri ambientali accomunati dall’accusa di ecocidio. Viene discusso oggi al convegno “Ambiente e salute: verso una giustizia globale”, organizzato a Venezia che si candida a diventare la sede del diritto internazionale sull’ambiente. “Sono maturi i tempi per estendere le competenze della Corte penale internazionale dell’Aja ai reati ambientali più gravi e per creare il Tribunale penale europeo dell’ambiente, in modo da rendere omogenea e più efficace la battaglia contro questi crimini), spiega Antonino Abrami, presidente della Fondazione Sejf (Supranational Environmental Justice Foundation) e promotore dell’iniziativa.
Ecco una sintesi degli hot spot dell’ecocidio.
Kiribati e Maldive: le isole a rischio global warming. Il presidente delle Kiribati sta negoziando l’acquisto di terreni nelle Fiji per consentire la migrazione dei 113 mila abitanti che rischiano di perdere la casa per l’innalzamento dei mari. E verso l’Australia contano di emigrare i 350 mila abitanti delle Maldive minacciati dal cambiamento climatico.
Canada: le sabbie bituminose minacciano i nativi. Lo sfruttamento delle sabbie bituminose canadesi viene considerato da molti organismi interazionali come l’attività industriale più dannosa del pianeta. Per ottenere un barile di petrolio si usano fino a cinque litri di acqua. E i liquami tossici vengono scaricati in vasti laghi colmi di residui di benzene, composti policiclici aromatici, mercurio, piombo e arsenico che coprono oggi una superficie complessiva di 170 kmq. Nella carne di alce, elemento essenziale della dieta dei popoli nativi del Canada, si è trovato un livello di arsenico fino a 33 volte superiore a quello accettabile per legge.
Nigeria: i fuochi che avvelenano il delta. Durante l’estrazione e il trasporto del petrolio ogni anno viene bruciato l’equivalente di 2 miliardi e mezzo di dollari di gas. Il fumo che proviene dal gas flaring contiene grandi quantità di sostanze pericolose per la salute e per l’ambiente: anidride carbonica, ossidi di zolfo e di azoto, tuolene, xilene e benzene. Gli effetti sulla salute vanno dalle malattie cardiorespiratorie alla silicosi, dall’avvelenamento del sangue al cancro.
Indonesia: devastato il polmone del pianeta. L’Indonesia ha il più alto tasso di deforestazione nel mondo: ogni anno perde 1.871.000 ettari di foreste pluviali. La distruzione della foresta per la produzione della carta si deve soprattutto al gigante cartario asiatico Asia Pulp & Paper (APP). Dopo anni di campagne di protesta, nel febbraio di quest’anno la APP ha annunciato l’immediata moratoria dell’abbattimento di alberi nelle foreste naturali. Ma per i danni prodotti fino ad oggi non pagherà nessun risarcimento.
Giappone: Fukushima. Ancora oggi, a oltre un anno dall’esplosione della centrale nucleare (11 marzo 2011), più di 21.000 non possono tornare a casa per i livelli di radioattività. E centinaia di migliaia di persone restano esposte alla contaminazione radioattiva a lungo termine causata dall’incidente. Queste vittime non hanno ancora ottenuto un risarcimento equo mentre la nazionalizzazione della società che gestiva l’impianto (la Tepco) nel giugno 2012 ha finito per far pagare il conto di Fukushima a tutti i cittadini giapponesi.
Golfo del Messico: la marea nera. Il disastro della piattaforma petrolifera Deepwater Horizon della BP, il 20 aprile 2010, è stato il più grave danno ambientale marino della storia statunitense: 11 morti e gravissime conseguenze ambientali per le coste della Louisiana. La BP si è accordata con il governo americano per un fondo risarcimento alle vittime per complessivi 20 miliardi di dollari, ma i reali danni del disastro ambientale sono tutti da valutare e la certezza della pena ancora da stabilire.
Romania: l’onda di cianuro del Danubio. L’onda di cianuro partita il 31 gennaio 2000 dalla miniera d’oro Esmeralda, ad Auriol, in Romania, ha devastato il corso del Danubio fino alla foce, la più grande zona umida d’Europa. La diluizione ha abbassato l’impatto immediato del veleno che aveva raggiunto valori 800 volte superiori ai limiti consentiti, ma, sebbene diluito, il cianuro ha rappresentato una minaccia terribile per il più importante serbatoio europeo di biodiversità ittica e di avifauna.
Ecuador: contaminati 2 milioni di ettari. La multinazionale Chevron-Texaco, durante le operazioni di esplorazione e sfruttamento delle risorse petrolifere in Ecuador nell’area del Lago Agrio, è accusata di aver inquinato pesantemente oltre due milioni di ettari, contaminando gravemente la foresta amazzonica e riversando 60 miliardi di litri di reflui tossici nell’acqua utilizzata dalle popolazioni locali. Due popoli indigeni, i Tetes e i Sansahuaris sono scomparsi, mentre le tribù dei Cofan e dei Siona Secoya sono state costrette a migrare dalle terre ancestrali. Ben 30.000 abitanti hanno denunciato nel 1993 la Texaco (acquisita nel 2001 dalla Chevron) e un tribunale ecuadoregno ha riconosciuto la colpevolezza della compagnia petrolifera imponendo una sanzione da 18 miliardi di dollari. Ma la vicenda giudiziaria non è ancora conclusa.
Mediterraneo: la beffa della Haven. L’affondamento davanti ad Arenzano della petroliera Haven, una carretta del mare, nell’aprile 1991, provocò la morte di 5 uomini dell’equipaggio e lo sversamento sui fondali del Mar Ligure di oltre 134 mila tonnellate di petrolio. Petrolio che continuerà a danneggiare l’ecosistema marino per almeno altri 10 anni. Lo Stato italiano ha accettato un risarcimento beffa: 117 miliardi e 600 milioni di lire. Una cifra irrisoria rispetto al caso della Exxon Valdex in Alaska, dove per uno sversamento analogo di petrolio la Esso pagò l’equivalente di 7.700 miliardi di lire.
Bielorussia: Chernobyl. Il disastro avvenuto il 26 aprile 1986 provocò la fusione del nucleo del reattore e la creazione di una nube radioattiva che ha raggiunto molti paesi europei. Non esistono ancora oggi dati ufficiali e definitivi sui morti ricollegabili alla tragedia. Anche in questo caso non è stata accertata alcuna responsabilità penale.
Argentina: la montagna di piombo ad Abra Pampa. Una montagna di 30.000 tonnellate di piombo – residuo delle lavorazioni dell’impianto minerario di Huasi chiuso negli anni ’80 – costituisce una bomba ecologica e sanitaria per la cittadina di Abra Pampa, nel nord dell’Argentina. Secondo lo studio dell’Università di Jujuy sulla valutazione del rischio chimico nella zona, l’81% della popolazione infantile è esposta ai danni derivanti dal piombo, soprattutto a causa dell’inalazione di polvere del minerale.
India: Bhopal, 30 anni di ingiustizia. Nella città indiana di Bhopal nel dicembre 1984 allo stabilimento della Union Carbide India Limited, consociata della multinazionale americana Union Carbide specializzata nella produzione di pesticidi, si verificò la fuoriuscita di 40 tonnellate di isocianato di metile. La nube uccise in poco tempo 2.259 persone e ne avvelenò decine di migliaia. Il governo del Madhya Pradesh, negli anni successivi, ha confermato un totale di 3.787 morti direttamente correlate all’evento, ma stime di agenzie governative arrivano a 15.000 vittime. Nel 2006 fonti governative sono arrivate a valutare che l’incidente ha causato danni rilevabili a 558.125 persone. Nel giugno 2010 un tribunale di Bhopal ha emesso una sentenza di colpevolezza per omicidio colposo per grave negligenza nei confronti di otto ex dirigenti indiani della Ucil ma le pene sono state irrisorie: 500 euro per ogni vittima, 100 euro per ogni persona contaminata.
Le grandi navi, come avevo avuto già modo di scrivere nel settembre 2012, sono l’ultima versione veneziana delle grandi opere. Una versione elefantiaca, una mastodontica offesa ad una città mercificata, trasformata in una vetrina usa e getta, nonostante siano più che evidenti le minacce alla salute dei cittadini, alla sicurezza del patrimonio storico monumentale della città e alla sopravvivenza di tutto l’ecosistema lagunare. Questo sfregio continua anche dopo i gravi fatti di cronaca che sono avvenuti negli recentemente, l’isola del Giglio e non ultimo, seppur in contesto diverso, quella del porto di Genova.
Per queste ragioni è stata lanciata la tre giorni contro le grandi navi e le grandi opere in corso a Venezia. Le giornate sono iniziate il 7 giugno con dibattiti, assemblee, campeggio sociale per approfondire i temi legati alle grandi opere e alla devastazione dei territori ad esse connesso.
Ma è nella giornata di oggi che si esprime la forza dei corpi e della potenza collettiva che rifiutano la servitù ai ricatti dei mercanti e della speculazione finanziaria che soggiaciono alla presenza di queste grandi navi in laguna, così come a tutte le grandi opere nel nostro paese.
Durante la mattinata, infatti, è stato bloccato interamente l’accesso al porto.
La fortissima determinazione dei manifestanti veneziani del comitato No grandi navi, degli spazi sociali cittadini insieme alle delegazioni arrivate da tutta Italia, ha conquistato questa mattina il blocco totale dell’ingresso per terra alle grandi navi.
Partito da piazzale Roma il corteo molto partecipato e determinato – seguito in diretta da Global Project – ha raggiunto la zona del porto dove ingente era lo schieramento di polizia in assetto antisommossa. Il corteo non ha accettato il divieto di accesso all’area imposto dalla polizia e ha conquistato, protetto dai colorati scudi marini, l’ingresso principale bloccandolo.
Non sono servite le cariche a fermare la determinazione dei manifestanti.
“Oggi a Venezia non si sale sulle grandi navi, è tutto bloccato!”, hanno continuano a ripetere gli attivisti dal sound system predisposto dal Laboratorio Morion. I manifestanti hanno bloccato tutti gli accessi, occupando tutto il piazzale per diverse ore. “Nessun passeggero è salito a bordo!” ha annunciato un attivista. Applausi e cori: “Venezia Libera! No alle grandi navi!”
Dopo 5 ore di blocco si è conclusa la prima parte della lunga giornata di mobilitazione attiva che per mare e per terra vuole bloccare le grandi navi per l’intera giornata.
L’appuntamento è rilanciato per il secondo momento di mobilitazione di questa grande giornata, “alle ore 16.00 tutti a San Basilio per il blocco via mare”, ripetono dal sound system.
La determinazione e la rabbia degna ci sono tutte.
Venezia è libera, almeno per oggi, ma le motivazioni per vincere questa battaglia, doverosa e giusta, da oggi hanno una ragione in più.