Un artista svizzero ha avuto l’idea e la gente del quartiere newyorkese l’ha trasformata in una festa di strada: da oggi per tutta l’estate l’happening culturale tra murales con il volto, la storia e le frasi dell’intellettuale italiano
dal nostro inviato MASSIMO VINCENZI
NEW YORK – Arrampicato su una scala, c’è un ragazzo che disegna un murales: la faccia è quella di Antonio Gramsci. “Antonio? Sarà spagnolo?”, chiede a quello che gli sta vicino. L’amico gli risponde tutto d’un fiato, come uno che ha appena studiato: “No, è italiano. Un filosofo morto in prigione”. Bisogna procedere senza troppa logica per raccontare questa storia che sembra una leggenda metropolitana: un artista che viene dall’Europa costruisce un monumento nel cuore del Bronx dedicato ad uno dei padri del movimento operaio e fondatore del partito comunista, così lo presenta la Cbs. Ma è la verità.
Il monumento è qui, in questo cortile di erba e cemento al centro di un gruppo di grattacieli dai mattoni rossi. Il posto si chiama Forest Houses, negli anni Novanta ci arrivava solo la polizia con le pistole spianate a contrastare una delle tante lotte tra spacciatori di crack. Adesso va meglio, anche se la violenza c’è ancora e Manhattan è lontana come un altro pianeta. Proprio per questo, la strana creazione sta qui, “lontana dal centro e dalle altre gallerie”.
A vederla, sembra qualcosa che sta a metà tra una casa sugli alberi, i castelli per bambini nei parchi e una cabina da spiaggia. Oppure sembra una nave, come suggerisce Tim Rollins, pittore che insegna in un college vicino. È qui per vedere il lavoro del collega e perché ama Gramsci. Guarda i muri chiari, piegando un po’ la testa per abbracciare tutta la visuale: “La prua verso l’orizzonte, per navigare e portare il messaggio a quanta più gente è possibile”. Costruita in legno compensato, plexiglass e tanto nastro adesivo, sta per essere completata in questa domenica umida di pioggia. Una decina di persone dà gli ultimi ritocchi: oggi ci sarà l’inaugurazione, ma non è la parola giusta, meglio dire: oggi aprirà. Perché per quasi due mesi e mezzo sarà il centro pulsante del quartiere, un po’ happening culturale, un po’ festa di paese: ci saranno reading, lezioni di filosofi, corsi per bambini di tutte le età. Baby sitter e insegnanti a cui affidare i piccoli. E poi ancora concerti di musica classica e rock, spettacoli teatrali. Seminari sull’arte e sulla cucina. Una radio e un giornale che verranno animati da chi abita le case qui attorno. E un bar dove ogni sera verrà servito l’happy hour dalle sei alle sette.
Thomas Hirschhorn è l’artista, di solito veste di nero e ha gli occhiali spessi. Ha 56 anni, è svizzero e nel suo ambiente è piuttosto famoso: se lo contendono le migliori gallerie. Ma lui pensa che i confini vadano allargati, che i musei vadano portati per le strade. Questo progetto è il quarto nel suo genere, il primo in America: gli altri sono ad Amsterdam dedicato a Spinoza, poi Gilles Deleuze ad Avignone e George Bataille a Kassel, in Germania. Due anni fa, sceglie New York, inizia a girare per i quartieri periferici cercando persone con cui condividere il suo progetto: “All’inizio mi vedono e pensano che io sia un prete o un ricco eccentrico, poi capiscono che faccio sul serio e da lì in poi è tutto facile”.
A capirlo per primo è Eric Farmer che guida l’associazione residenti di Forest Houses. Immobilizzato dopo un incidente d’auto al college, gira per il cortile su una sedia a rotelle a motore. Lui Gramsci non lo conosceva, sì certo sapeva chi era ma non l’aveva mai letto. Si è fatto dare i libri da Thomas e dopo pochi giorni gli dice: “Mi sembra un’ottima idea. Lo spirito è quello giusto, costruiamo noi la tua cosa”. Vengono assunti 15 residenti a 12 dollari all’ora per due mesi (la paga media in città è 7,5) e “il condominio di Gramsci” inizia a crescere. Alle pareti ci sono le sue massime, le citazioni delle lettere, il suo pensiero: “Tutti gli uomini sono intellettuali”. Appeso alla finestra di un grattacielo c’è un grande lenzuolo bianco con scritto: “Sono un pessimista a causa dell’intelligenza, ma un ottimista per diritto”. A settembre l’opera non verrà imballata ma regalata alla gente di qui, che si contenderà i vari pezzi in una lotteria: sarà la festa di fine estate.
Myma Alvarez tiene il figlio in braccio. Guarda gli uomini al lavoro con un sorriso e chiede loro se hanno bisogno di qualcosa: “È una bellissima idea, fantastica. Qui non c’era niente e adesso avremmo questa casa tutta nostra dove passare il tempo insieme”. In un’intervista al New York Times Thomas spiega: “Io non voglio cambiare le loro vite, le mie ragioni sono artistiche. Gramsci credeva nel valore della cultura e dell’insegnamento per liberare gli oppressi. Ecco, se riesco a far riflettere sulla potenza dell’arte e della letteratura, io sono felice. Ho ottenuto quel che volevo”.
Myma passa davanti al murales. Il ragazzo l’ha quasi finito, si fuma una sigaretta appoggiato al muretto. I due si conoscono da sempre. Lei lo prende in giro: “Ma sai chi è? È un rapper?”. Lui serio: “No, è Antonio: un poeta italiano che è morto dentro una cella”. Dice poeta e la nave può togliere l’ancora.