Il sociologo del lavoro Luciano Gallino commenta così la scelta di Fiat di spostare la sede all’estero: “Sbagliano Letta e Chiamparino, la nazionalità è importante e la vicenda Electrolux dovrebbe dirgli qualcosa
di Luca Sappino
Il piano di Marchionne, per Luciano Gallino, sociologo ed esperto di processi economici e del lavoro, «è possibile che funzioni». Ma funzionerà «solo per la Fiat», semmai, mentre a noi dovrebbero interessarci «i posti di lavoro che questa ha ancora in Italia». Il governo ha delle responsabilità, per Gallino, perché «assiste senza muovere un dito allo smantellamento dell’industria automobilistica». In Germania, invece, «hanno un formidabile e interventista ministero dell’economia e un sistema bancario attento all’industria e non alla speculazione».
Gallino ora è ufficiale, la Fiat se ne va. Società olandese e sede nel Regno Unito. Era inevitabile?
«Sì, ma solo perché dipende dalle priorità che un’azienda si dà o che le sono imposte dal governo. Ed è chiaro che, in questo caso, il governo italiano non ha minimamente influito sulla Fiat e che questa ora va quindi dove le pare, dove le conviene di più: ha scelto queste priorità. Va dove si pagano meno imposte, dove trova meno leggi, dove può costruire al miglior prezzo. Il governo italiano da dieci anni e più assiste senza muovere un dito allo smantellamento dell’indisutria automobilistica».
Chiamparino e Fassino, entrambi, hanno detto che non conta la sede legale, né conta quella fiscale, ma conta solo la produzione. E’ veramente così?
«Sbagliano, i due, e l’Electrolux dovrebbe dirgli qualcosa. Fintanto che le cose vanno bene la sede di un’azienda può non essere importante, se l’impresa trova vantaggio a produrre in uno stabilimento all’estero la sede può essere indifferente. Ma nel momento in cui le cose si complicano, come in questo momento, la nazionalità è molto importante, perché una corporation non chiude normalmente gli stabilimenti vicini alla casa madre ma comincia da quelli più periferici».
Anche il premier Letta ha però detto «oggi la Fiat è un attore globale e la questione della sede legale è secondaria». Cosa cambia per un governo tra il trattare con un’azienda italiana e farlo con una con sede estera?
«Cambia moltissimo, evidentemente. Ma per il governo italiano non c’è alcuna differenza, ma solo perché non ha mai trattato nulla con la Fiat. Non vedo questo tipo di preoccupazione in Letta, né capisco perché dovrebbe muoversi oggi per condizionare le scelte di Marchionne, quando non l’ha fatto finora. Quello che dicono le cifre è chiaro: la Fiat produceva in Italia, nel 2003, più di un milione di macchine l’anno, l’anno scorso sono state circa 370 mila. Marchionne ora ha promesso il rilancio e forse la cifra un po’ salirà ma tra i marchi storici internazionali, Fiat è l’unico che ha ridotto così tanto nel suo paese d’origine».
Cosa avrebbe potuto fare il governo?
«Avrebbe potuto fare qualcosa che somigliasse ad una politica industriale, come fanno tutti gli altri paesi. Se in Germania c’è ancora un’industria non è solo perché gli ingegneri sono bravi e gli operai volenterosi, no. E’ soprattutto perché hanno un formidabile e interventista ministero dell’economia e un sistema bancario attento all’industria e non alla speculazione. Negli stati uniti l’industria dell’auto era fallita, ed è stata slavata e rilanciata dal governo».
Tanto nella vicenda Fiat quando nella vicenda Electrolux, parte delle colpe vengono date alle relazioni sindacali, giudicate «novecentesche»
«E’ un pretesto abbastanza banale e molto datato, fermo alla retorica della Thatcher. In Italia le imprese hanno potuto fare tutto ciò che volevano, negli ultimi anni, a cominciare dalla Fiat che ha chiuso Termini imerese e ha fatto l’accordo di Pomigliano, su cui non mi pare ci siano state chissà quali resistenze sindacali».
Magari a danno dell’Italia, ma per la nuova Fiat Chrysler Automobile funzionerà il piano di Marchionne?
«E’ possibile che funzioni, perché la Chrysler è pur sempre il terzo produttore americano e la Fiat in Turchia, Polonia e Brasile ha stabilimenti importanti, capaci di produrre molto, come ha riconosciuto oggi Marchionne. Il punto però non dovrebbe interessarci più di tanto. Noi non dovremmo preoccuparci del futuro della Fiat ma specificatamente dei posti di lavoro che questa ha ancora in Italia. Non è più l’impresa che era un tempo, è vero, ma ci sono ancora 25 mila lavoratori, impiegati in Fiat, e la loro forza lavoro è satura al meno del 30 per cento. C’è già così un 70 per cento di forza lavoro da recuperare, e solo per tener fermo quel numero. Il piano di Marchionne difficilmente può riuscirci: partiamo da una situazione in cui a Torino, ad oggi, lavorano 3 giorni al mese»
La procura di Nola chiude le indagini preliminari su Sergio Marchionne e sull’amministratore delegato di Fabbrica Italia Pomigliano Garofalo, che potrebbero nelle prossime settimane essere rinviati a giudizio. Duro comunicato del Lingotto
TORINO – La procura della Repubblica di Nola ha inviato all’amministratore delegato di Fiat Sergio Marchionne e all’amministratore delegato di Fabbrica Italia Pomigliano Sebastiano Garofalo l’avviso di conclusione delle indagini preliminari (l’atto che può precedere il rinvio a giudizio) per il mancato riconoscimento dei diritti sindacali alla Fiom e per la discriminazione degli iscritti allo stesso sindacato. Lo comunica la Fiat con una nota, dichiarandosi “sconcertata”.
È un nuovo capitolo nello scontro tra Fiat e il sindacato guidato da Maurizio Landini nelle aule dei tribunali. I numeri li ricordala stessa Fiat: “62 ricorsi, 45 dei quali decisi da 22 giudici in favore dell’azienda, 7 in favore della Fiom, 7 con rinvio alla Corte Costituzionale per la questione di legittimità costituzionale delle norme da applicare e 3 non ancora definiti”.
“Tale iniziativa è l’ennesima espressione dell’inusitata offensiva giudiziaria avviata dalla Fiom nei confronti di Fiat da più di due anni”, scrive la Fiat. Questa volta è la Procura di Nola ad accusare, al termine delle indagini preliminari, Marchionne e l’amministratore delegato di Fabbrica Italia Pomigliano, Sebastiano Garofalo, di mancato riconoscimento in Fabbrica Italia Pomigliano dei diritti sindacali alla Fiom e di discriminazione degli iscritti allo stesso sindacato nel processo di trasferimento dei dipendenti di Fiat Group Automobiles a Fabbrica Italia Pomigliano.
Le reazioni dei sindacati. “Prendo atto – commenta il leader della Fiom, Maurizio Landini – che la Procura, di fronte a un nostro esposto, ha fatto le sue indagini e prendo atto di quanto ha deciso. Da tempo denunciamo la violazione dei diritti sindacali e la discriminazione contro i nostri iscritti. Se arriveremo al rinvio a giudizio faremo tutto quello che possiamo compresa la costituzione parte civile”.
Negativo il giudizio degli altri sindacati. “E’ un’ulteriore mazzata al Sud e all’industria metalmeccanica. Un’iniziativa del genere non aiuta in una situazione così difficile”, commenta il segretario generale della Uilm, Rocco Palombella, mentre il segretario generale dell’Ugl, Giovanni Centrella, parla di “ennesimo errore della magistratura che probabilmente non ha compreso bene quanto accaduto in questi anni in Fiat”. “Non ci sono parole per commentare”, si limita a dire Roberto Di Maulo, numero uno del sindacato autonomo Fismic.
Girlfriend in a Coma è un film documentario realizzato nel 2012 da Bill Emmott (ex direttore della rivista britannica The Economist) e da Annalisa Piras, prodotto da Springshot Productions.Il film è stato proiettato per la prima volta a Londra, il 26 novembre 2012, presso l’Institute of Contemporary Arts. Del pubblico facevano parte cineasti inglesi, politici, diplomatici, opinionisti e molti italiani residenti all’estero, compresi alcuni imprenditori come il presidente della FIATJohn Elkann e l’amministratore delegato di Vodafone, Vittorio Colao.[2] Il titolo del film prende spunto da un successo musicale del gruppo rock inglese Smiths, tratto dall’album del 1987, “Strangeways, Here We Come”. Emmott lo ha scelto come titolo riferendosi al suo coinvolgimento emotivo con l’Italia, vista come una fidanzata che versa in uno stato comatoso.
Saranno regolarmente retribuiti, ma dovranno restare a casa i dipendenti assunti in Fabbrica Italia lo scorso novembre su disposizione della corte d’appello di Roma. Protestano i lavoratori: “Pretendiamo una comunicazione scritta”. Landini: “Schiaffo alla dignità, pronti ad azioni giuridiche”
MILANO – Saranno regolarmente retribuiti, ma resteranno a casa i 19 operai della Fiom assunti in Fabbrica Italia Pomigliano lo scorso novembre su disposizione della corte d’appello di Roma. Lo riferiscono all’Ansa fonti sindacali, confermate dal Lingotto, mentre la Fiom prepara una diffida contro il gruppo.
I 18 lavoratori (uno è in aspettativa per impegni elettorali), stamattina si sono recati in fabbrica per conoscere le proprie mansioni ma sono stati invitati, hanno spiegato le stesse tute blu, a tornare a casa perché al momento non è possibile ricollocarli. “Ci hanno consegnato la busta paga – hanno detto – e informati che ci faranno sapere. Noi pretendiamo una comunicazione scritta, ed abbiamo contestato all’azienda le modalità di mancata comunicazione preventiva”. I lavoratori sono rimasti all’interno dello stabilimento in attesa della comunicazione ufficiale, poi, dopo la richiesta dell’azienda di lasciare l’impianto se ne sono andati: “Lo facciamo per evitare di essere licenziati” hanno detto.
Sfuma, quindi, la soluzione del caso annunciata giovedì scorso. Fonti sindacali avevano infatti riferito che era stata trovata la soluzione per i 19 lavoratori Fiat in mobilità, ma anche per i 1.400 in cassa integrazione straordinaria per cessata attività. Entro marzo, secondo una lettera inviata dall’azienda ai sindacati, non ci sarà più la newco Fabbrica Italia Pomigliano e tutti i lavoratori rientreranno in Fiat Group Automobiles (Fga). All’inaugurazione dello stabilimento Maserati di Grugliasco, tuttavia, l’ad Sergio Marchionne si era limitato a dire di essere al lavoro per arrivare a una soluzione sul caso Pomigliano.
Immediata la replica di Giorgio Airaudo, ex responsabile auto Fiom e ora candidato alle elezioni nelle fila di Sel: “Alla Fiat c’è un’idea medievale dei rapporti di lavoro, un’idea vincolata al delirio di onnipotenza dell’amministratore delegato. Anche a Melfi il Lingotto aveva agito così, ma questa volta è clamoroso, perché l’azienda ha formato per quattro settimane dei lavoratori per poi farli stare a casa retribuiti. Questo è un gesto inutile e discriminatorio”.
VIDEO. Landini: “Fabbrica Italia fu una truffa, non un errore”
Secondo Maurizio Landini la mossa del Lingotto “è uno schiaffo alla dignità di questo Paese” e “la conferma di come sia in atto una esplicita politica discriminatoria nei confronti dei lavoratori che decidono di iscriversi alla Fiom”. Il leader delle tute blu della Cgil chiede un intervento diretto di “istituzioni, governo e forze politiche. Il loro silenzio è inaccettabile, l’azienda non può godere di extraterritorialità. Si deve mettere fine a questa commedia. Non chiediamo di difendere noi – ha insistito -, ma il lavoro e il sistema industriale di questo Paese”. Landini si è detto pronto a mettere in campo tutte “le azioni giuridiche e sindacali per impedire il perdurare di una situazione non più accettabile”.
Ospiti in studio il leader di Fli, Gianfranco Fini, partito della coalizione che sostiene Mario Monti, Matteo Salvini, Lega Nord e Maurizio Landini, segretario generale FIOM-Cgil.
L’azienda mette gli operai in cassa integrazione a rotazione. E aumenta i carichi di lavoro per quelli che (a turno) vanno in fabbrica. Così produce le stesse auto spendendo meno per i dipendenti: gli altri li paghiamo noi
Era il 20 dicembre scorso quando i capi della Fiat Sergio Marchionne e John Elkann, al cospetto del premier Monti, presentavano il nuovo piano industriale a Melfi. «Un miliardo di investimenti», dicevano. «Tra gli applausi degli operai», chiosavano i giornali. Poche settimane dopo Fiat annuncia la cassa integrazione straordinaria per due anni, per tutti i 5.500 dipendenti, a partire dall’11 febbraio.
Alla luce di quello che è successo lunedì, la vetrina natalizia con Marchionne e Monti sembra davvero una beffa. Perché il miliardo promesso, fra due anni potrebbe sparire: come sono spariti i 20 miliardi destinati a Fabbrica Italia. E perché abbandonando la produzione della Grande Punto si lascia un’auto ‘popolare’ per produrre vetture di fascia alta con un mercato diverso: «Si entra in un’area di incertezza in cui potrebbe diventare difficile mantenere gli attuali livelli di produzione», dice il segretario provinciale Fiom di Torino, Federico Bellono.
Ma l’annuncio di lunedì non stupisce: «Qui lo sapevamo tutti», dice Marco Forgione, in catena di montaggio a Melfi. «Si può stupire solo chi si occupa di Fiat in maniera approssimativa, come il presidente Monti», conclude Bellono. E con la riforma Fornero del lavoro, una eventuale cessazione di attività non permetterebbe neanche di richiedere la cassa in deroga.
IL PIANO MELFI.
Nei due anni di vuoto i dipendenti entreranno in cassa a rotazione e le due linee di produzione marceranno a fasi alterne. Questo in vista della ristrutturazione aziendale in cui Fiat, fra due anni, dovrebbe emettere il famoso miliardo di euro per produrre due mini suv: la 500 X e la utility vehicle Jeep. Cisl e Uil esprimono fiducia, i rispettivi segretari Bonanni e Angeletti erano con Marchionne e Monti alla presentazione del Piano Industriale il 20 dicembre. La Fiom, invece, è preoccupata: «I livelli occupazionali sono a rischio», dice il segretario Maurizio Landini. Per Marchionne è tutto normale: «Non capisco qual è il problema», spiega dal salone di Detroit. «La cassa integrazione serve a rimodernare le linee per le nuove produzioni». E sempre da Detroit l’a.d. conferma che nessun impianto italiano chiuderà.
Eppure un problema per i lavoratori c’è: «A guardare i fatti e l’operazione fatta con l’Irisbus e lo stabilimento di Termini Imerese il rischio chiusura, alla fine dei due anni, esiste», spiega Antonio Di Luca: «Oppure un forte ridimensionamento come a Pomigliano».
LE REAZIONI IN FABBRICA.
«L’unica garanzia che ci danno al momento è quella della rotazione nella cassa integrazione», ci dice Giovanni Barozzino, uno dei tre operai licenziati nel luglio 2010 a causa di uno sciopero, e poi reintegrati, oggi candidato Sel. «Oggi ho ricevuto tante telefonate dai colleghi, tra loro un padre di cinque figli che mi chiede se fra due anni la fabbrica chiuderà».
Il piano industriale, sulla carta, non c’è: «Per questo sono molto preoccupato», conclude Barozzino. Marco Forgione ha 31 anni, e un anno fa veniva spostato in un reparto per lui pericoloso, in quanto invalido al 75 per cento. In una registrazione audio pubblicata su ‘L’Espresso’ on line il 20 febbraio 2012 il caporeparto ammetteva: «Voi avete pagato delle colpe perché appartenete a una sigla sindacale […] Non è per altri motivi che vi trovate qua».
Il 22 maggio 2012 Marco ha vinto la causa, ed è tornato in catena di montaggio: «Ho rifiutato un posto in ufficio, sono tornato in catena», racconta. «Preferisco così, la mia è stata una battaglia di principio, anche se molti mi hanno detto che ho fatto una fesseria».
Sulla presentazione del Piano Industriale ci dice: «Non è vero hanno applaudito Monti, non gli operai. Vieni a dirmi che sto due anni a casa e vuoi che ti applaudo?».
Marco è molto preoccupato per il blocco della fabbrica, ma, conferma, lo sapevano tutti. Continua a fare il suo lavoro e a lottare per i suoi principi: «Ho provato a far leggere ad alcuni colleghi la Riforma del Lavoro. Ci hanno messo troppo poco per demolire tutto quello che avevamo ottenuto».
LE CONDIZIONI DI LAVORO.
Tra le poche certezze degli operai Fiat c’è quella delle condizioni di lavoro notevolmente peggiorate col partire della cassa integrazione. Ci spiega Edi Lazzi della Fiom: «Sono cambiate le metriche». Cioè? «Hanno tagliato la pause da 40 a 30 minuti, o le tre pause da 15 minuti sono diventate da 10». Continua: «Così finisce che dalla postazione il lavoratore non si sposta proprio».
Poi c’è la questione chiamata ‘imbarcamento’, ovvero quando un operaio in catena di montaggio ritarda la propria mansione – avvitare, svitare, stringere – e finisce a ridosso della postazione successiva. «Il tetto alla saturazione dell’imbarcamento è stato spostato dall’87 per cento al 99 per cento, per cui non ci si può fermare un secondo. Questa metrica favorisce l’insorgere di malattie professionali».
Per Giovanni Barozzino nello stabilimento di Melfi l’innalzamento del tetto alla saturazione ha portato ogni operaio a lavorare 40 minuti in più al giorno. E alla fine «a Melfi ora si producono 100 vetture in più a turno, 300 in più al giorno al giorno, ed era già nel 2010 uno dei siti automobilistici più produttivi al mondo».
Continua Lazzi: «Questo sistema è sopportabile solo per via delle pause nel lavoro dettate dai giorni in cui si è forzosamente a casa. Questo sistema sembra studiato per funzionare esclusivamente in regime di cassa integrazione».
Ma la cosa peggiore per il sindacalista Fiom è che «non si son peggiorate le condizioni di lavoro in cambio di impegni con date certe. Cisle Uil hanno fimato gli accordi (dopo i referendum, nda) dove era prevista solo la prima parte: il cambiamento delle condizioni di lavoro. La seconda parte, gli impegni, gli investimenti sono sempre stati affidati a comunicati stampa».
Un comunicato stampa, come quello in cui si prometteva un miliardo in investimenti per Melfi.
L’annuncio del Lingotto: dall’11 febbraio alla fine del 2014 produzione dimezzata per gli interventi in vista del rilancio con due nuovi modelli. L’allarme Fiom: “Nessuna notizia del piano e degli investimenti”. Il 20 dicembre la visita di Monti con Marchionne ed Elkann
POTENZA – La Fiat ha richiesto per lo stabilimento di Melfi (Potenza) la cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione aziendale dal prossimo 11 febbraio al 31 dicembre 2014. Lo rende noto la Fiom-Cgil, che esprime “forte preoccupazione perché ad oggi ancora non si conoscono i dettagli degli investimenti per lo stabilimento”. La Cig interesserà tutti i dipendenti e una linea produttiva per volta, mentre l’altra continuerà a sfornare le “Punto”.
Fonti dell’azienda hanno spiegato stamattina che “la misura è necessaria per realizzare gli investimenti previsti per lo stabilimento”, che l’amministratore delegato Sergio Marchionne ha quantificato in oltre un miliardo di euro quando, lo scorso dicembre, ha parlato del futuro del sito lucano. E dal salone di Detroit l’amministratore del gruppo ha annunciato che la Fiat non chiuderà altri impianti in Italia, dove ha già chiuso lo stabilimento siciliano di Termini Imerese e quello Irisbus di Valle Ufita, in provincia di Avellino.Secondo il top manager italo-canadese, inoltre, i tagli di posti di lavoro effettuati in Polonia avrebbero protetto i lavoratori delle fabbriche italiane.
Almeno fino a un certo punto, visto che a Melfi ora partirà la cassa integrazione. Questa sarà a rotazione e i periodi di cassa saranno ugualmente distribuiti su tutti i dipendenti a seconda dell’attività produttiva della linea in funzione. La produzione della “Punto”, fa sapere l’azienda, continuerà anche nei prossimi mesi, dopo l’avvio della cig straordinaria, perché gli interventi programmati interesseranno a turno solo una delle due linee: sull’altra lavoreranno a rotazione gli operai, per continuare a produrre la “Punto” e soddisfare così la richiesta del mercato.
A Melfi lavorano 5.500 addetti. “La fase che si apre vedrà sicuramente un 2013 molto complicato – ha detto il reggente della Fim Cisl Basilicata, Leonardo Burmo – ma l’avvio della ristrutturazione offre allo stabilimento di Melfi prospettive future molto concrete e lo impegna in una dimensione non solo più europea ma mondiale e questo è l’aspetto più significativo per una rapida uscita dalla crisi”.
Il segretario regionale della Fiom, Emanuele De Nicola, ha sottolineato invece che la richiesta “arriva dopo gli annunci in pompa magna dei giorni scorsi, alla presenza del Presidente del Consiglio, Mario Monti e del Presidente della Regione Basilicata, Vito De Filippo e dei segretari generali di Cisl e Uil”.
La Fiom-Cgil inoltre esprime “forte preoccupazione perché ad oggi ancora non si conoscono i dettagli degli investimenti per lo stabilimento e i tempi per la realizzazione del nuovo progetto” e chiede “alla Fiat e anche alle istituzioni regionali la massima trasparenza nella gestione della Cigs al fine di garantire la rotazione al lavoro di tutti i lavoratori, per impedire come avvenuto a Pomigliano discriminazioni e perdite salariali a danno dei lavoratori”. La risposta di Marchionne non si è fatta attendere: “E’ una richiesta standard che viene fatta per coprire quel numero di persone che durante il processo di ristrutturazione verrà impattata”, ha detto da Detroit l’amministratore delegato di Fiat: “l’obiettivo è fare rientare tutti della data che è stata annunciata nella richiesta” di cigs per ristrutturazione aziendale dal prossimo 11 febbraio al 31 dicembre 2014.
“Stiamo installando le nuove linee per fare le due vetture (500x e piccolo suv a marchio jeep), cosa dovrei fare nel frattempo?”, ha spiegato Marchionne. “Continuiamo a produrre la Punto, quindi non ho capito quale sia il problema”, ha aggiunto il manager. “Tutte e due le vetture devono uscire l’anno prossimo nel mercato”, ha rassicurato marchionne, precisando che una vettura “partirà nel terzo trimestre del 2014 e l’altra nel quarto trimestre del 2014”. “La richiesta [di cigs] è standard e formale che viene fatta in tutte le occasioni simili. Lo abbiamo fatto pure per pomigliano”, ha ribadito il manager.
Per Luigi Angeletti, segretario generale Uil, “la cassa integrazione era prevista” e questa è “la conferma che la Fiat vuole investire e che a Melfi si potranno produrre nuovi modelli di auto”. “Sarei stato molto preoccupato – aggiunge Angeletti – se non fosse accaduto nulla, il fatto che ci sia stata questa decisione, che era stata annunciata, è che per fare nuovi modelli bisogna ristrutturare gli stabilimenti. Sarebbe assurdo investire dei soldi in un luogo che si vuole lasciare”.
Il 20 dicembre nello stabilimento erano giunti i vertici del gruppo e il premier Monti, che nell’occasione aveva ricevuto l’appoggio di Sergio Marchionne alla sua salita in politica. Nell’area di montaggio dell’impianto, per la presentazione dei due primi minisuv dello stabilimento lucano, Monti aveva ricevuto gli applausi dei dipendenti, del presidente John Elkann e dell’amministratore delegato alla presenza anche dei leader di Cisl e Uil, Raffaele Bonanni e Luigi Angeletti. Assente, invece, il segretario generale della Cgil, Susanna Camusso. Monti aveva detto che proprio da Melfi nasceva un nuovo rapporto tra la Fiat e l’Italia.
Per domani, invece, è previsto a Torino il nuovo incontro tra Fiat e sindacati per chiudere la partita sul contratto specifico di primo livello che interessa oltre 80 mila lavoratori del gruppo. L’appuntamento tra l’azienda e Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Quadri è per domani mattina, all’Unione Industriale di Torino, ma l’incontro potrebbe proseguire anche giovedì proprio con l’obiettivo di arrivare a un accordo. La Fiat ha proposto un aumento mensile lordo di 40 euro, legato alle presenze e valido solo per il 2013, ma la cifra è considerata insufficiente dai sindacati.
Da gennaio a dicembre sono state vendute 1.402.089 automobili, mentre nello stesso periodo del 2011 ne furono immatricolate 1.749.739.Tiene il Gruppo Fiat che si attesta al +0,2% con 415mila vetture vendute. Federauto: “E’ stato un anno amaro. Previsioni rispettate”
Mai così male da oltre trent’anni a questa parte. Nel 2012, infatti, il mercato dell’auto ha dovuto fare i conti con un calo delle immatricolazioni a livelli record. Secondo quanto comunicato dal ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti l’acquisto delle automobili nell’anno appena concluso si è ridotto del 19,87% rispetto all’anno precedente. Nel periodo gennaio-dicembre la Motorizzazione ha immatricolato 1.402.089 autovetture, mentre nello stesso periodo del 2011 ne furono immatricolate 1.749.739. Secondo il Centro Studi Promotor il consuntivo del 2012 riporta il mercato italiano indietro di ben 33 anni, cioè sui livelli del 1979 quando le immatricolazioni furono 1.397.039. Nel solo mese di dicembre 2012 sono state immatricolate 86.735 autovetture, -22,51% rispetto al dicembre 2011, durante il quale ne furono immatricolate 111.928 (nel mese di novembre 2012 sono state invece immatricolate 106.918 autovetture, con una variazione di -19,78% rispetto a novembre 2011, durante il quale ne furono immatricolate 133.283).
Per quanto riguarda i trasferimenti di proprietà di auto usate nel periodo gennaio-dicembre 2012 ne sono stati registrati 4.125.266, con una variazione del -9,75% rispetto a gennaio-dicembre 2011, durante il quale ne furono registrati 4.571.182. A dicembre 2012 ne sono stati registrati 324.531 con una variazione di -16,08% rispetto a dicembre 2011, durante il quale ne furono registrati 386.710 (nel mese di novembre 2012 sono stati invece registrati 374.122 trasferimenti di proprietà di auto usate, con una variazione di -4,27% rispetto a novembre 2011, durante il quale ne furono registrati 390.822). Nel mese di dicembre 2012 il volume globale delle vendite (411.266 autovetture) ha dunque interessato per il 21,09% auto nuove e per il 78,91% auto usate.
Nel 2012, in uno scenario mai così negativo dal 1979, il Gruppo Fiat ha fatto meglio del mercato e ha aumentato la quota di 0,2 punti percentuali attestandosi al 29,6%. Nel corso del 2012, spiega una nota del Lingotto, il Gruppo Fiat ha immatricolato quasi 415mila vetture. A dicembre, in un mercato ancora molto negativo che perde il 22,5% di vendite, il Gruppo Fiat ha migliorato la propria quota. Infatti, con quasi 25.400 immatricolazioni ha ottenuto il 29,3%, +0,85 punti percentuali in più rispetto a dicembre 2011.
“Si chiude un anno amaro per la filiera degli autoveicoli in Italia. Purtroppo le previsioni dell’Osservatorio Federauto sono state rispettate”. Così Filippo Pavan Bernacchi, presidente di Federauto, l’associazione che rappresenta i concessionari di tutti i brand commercializzati in Italia di auto, veicoli commerciali, veicoli industriali e autobus, commenta i dati sulle immatricolazioni. E per il 2013 le previsioni non sono ottimistiche. “La diffusa disoccupazione, le aziende che chiudono, la pressione fiscale, il drastico calo del consumo interno, l’incertezza politica, il prossimo aumento dell’Iva previsto a luglio – aggiunge Pavan Bernacchi – ci fa prevedere un mercato vicino a 1.330.000 unità” contro 1.402.089 dell’anno appena finito.
Dopo il via libera alla fusione con Cnh il colosso del Lingotto si traferisce nei Paesi Bassi a caccia di agevolazioni fiscali e societarie nell’interesse degli azionisti di maggioranza. Via libera all’operazione dal comitato di indipendenti
di WALTER GALBIATI
MILANO – Alla fine è volata in Olanda. Un colosso come Fiat Industrial da 25 miliardi di euro di fatturato non batterà più bandiera italiana e verserà le tasse altrove. Il rilancio prendere o lasciare del numero uno della società, Sergio Marchionne, ha convinto della bontà dell’operazione gli amministratori indipendenti di Cnh, gli unici che potevano impedire la fusione con la casa madre. Di certo grazie all’unione tra Cnh e Fiat Industrial, annunciata oggi, il nuovo gruppo pagherà meno interessi sul debito (gli analisti dicono 150 milioni in meno) ed, essendo più internazionale, avrà anche più accesso ai mercati finanziari. Ma il vantaggio per gli altri portatori di interesse in Fiat (dai fornitori ai lavoratori, dall’Italia ai clienti) è tutto da dimostrare.
Sembrava francamente difficile che uno Special Committee stipendiato da Fiat potesse opporsi a lungo. Tra di loro non c’era nemmeno un italiano, con l’aggravante che di indipendente quegli amministratori non avevano nulla, visto che sono tutti a libro paga di Torino. Sono il professor Thomas Colligan, ex revisore della Pricewaterhouse Cooper, il professor Rolf Jeker, che nella sua vita ha collezionato numerosi incarichi in Svizzera, Jacques Theurillat, avvocato esperto di tasse, il professor Edward Hiler e il banchiere (tra l’altro ex Lehman Brothers) Kenneth Lipper. Sono stati definiti indipendenti, anche se i primi tre percepiscono, da diversi anni, circa 115mila dollari l’anno da Cnh e gli altri circa 87mila dollari. Per sciogliere la loro riserva e chiarire i loro dubbi si sono avvalsi della consulenza, remunerata sempre da Fiat, di Jp Morgan e di Lazard con l’aiuto dei legali degli studi Cravath, Swaine & Moore LLP, De Brauw Blackstone Westbroek N. V e di Bonelli, Erede & Pappalardo.
Di certo hanno avuto il merito di strappare una maxi cedola da 10 dollari in contanti per azione al temuto Sergio Marchionne che dal canto suo nella trattativa ha messo sul tavolo una minaccia non troppo velata. Se l’operazione non fosse passata, la Fiat Industrial si sarebbe incassata anche lei un dividendo da oltre 2 miliardi di dollari, dando certo un contentino di 290 milioni agli azionisti di minoranza, ma svuotando di fatto la cassa del gruppo americano. Per di più Marchionne aveva minacciato di non garantire più nessuna cedola per il futuro e di rivedere in senso peggiorativo per Cnh tutti gli accordi infragruppo con Fiat. Insomma una spada di Damocle che lo Special Committe ha preferito subito rimuovere.
L’ultima possibilità di bloccare l’operazione è in mano agli Agnelli che, però, hanno annunciato “pieno sostegno all’operazione”. Con lo spostamento della sede all’estero, gli azionisti di minoranza di Fiat Industrial si possono sfilare esercitando il diritto di recesso. Se alla Fiat il recesso costerà più di 325 milioni di euro, gli Agnelli potranno decidere il da farsi. Un ampio recesso sembra tuttavia improbabile, tanto quanto un ripensamento da parte della famiglia. Così nel 2013 si assisterà alla prima grande migrazione all’estero della Fiat coi suoi veicoli industriali, prima che si compia quella più attesa dell’auto. Con la fusione societaria, si trasferisce fuori dai confini nazionali la testa della società, mentre la produzione e gli stabilimenti sono già in via di ridimensionamento o di chiusura.
Trasferire l’azienda dall’Italia all’Olanda porterà benefici societari e fiscali, che vanno nell’esclusivo interesse degli azionisti di maggioranza. I principali sono avere azioni con privilegi diversi e risparmiare in tasse. Il primo lo ha confermato la società stessa nel suo annuncio: “Gli azionisti che parteciperanno alle assemblee di Fiat Industrial e di Case New Hollande convocate per deliberare sull’operazione e rimarranno azionisti delle due società fino al completamento della fusione avranno la facoltà, indipendentemente dal voto da loro espresso, di ricevere due voti per ogni azione loro attribuita. Tale diritto sarà valido fino al momento in cui tali azioni saranno cedute. Successivamente alla chiusura dell’operazione, il diritto di ottenere il doppio voto per azione spetterebbe anche ai detentori di azioni a voto singolo che rimarranno azionisti della società per almeno tre anni”.
I primi a beneficiarne, non vale neanche la pena di sottolinearlo, saranno gli Agnelli. Con la fusione, la loro quota in Fiat Industrial si diluirebbe dal 30% al 27% (al di sotto della soglia d’Opa), ma il doppio diritto di voto blinderebbe di fatto il controllo della società. Quanto ai benefici fiscali, bisogna attendere i dettagli della fusione, sui quali Marchionne ha mantenuto il più stretto riserbo. Uno dei sistemi più utilizzati per creare holding in Olanda è conosciuto come “dutch sandwich” (il “panino olandese”), che consiste nel collocare una società holding madre nelle Antille Olandesi e la società holding figlia in Olanda, che a sua volta possiede l’operativa collocata in uno stato estero (per esempio, Usa e Italia). Il fine è di avere un beneficio fiscale (fino all’esenzione) sui dividendi prodotti dalle controllate o di avere minori aliquote di imposta.
In Olanda, i dividendi non sono tassati a differenza dell’Italia dove sono esenti solo per il 95%, mentre sul restante 5% si versa al Fisco un’imposta del 27,5%. Equivale a una aliquota dell’1,375% che sui grandi numeri non è irrilevante. Avere gli zoccoli ai piedi vuol dire anche pagare meno royalties sui marchi e sui brevetti (non per niente molte case del lusso hanno le società proprietarie dei marchi con sede in Olanda) e avere a disposizione una serie di accordi con Paesi esteri sulla doppia imposizione più numerosi rispetto a quelli siglati dall’Italia.
Un altro fattore rilevante che ha dato di fatto il via libera all’espatrio delle holding italiane è stata la recente normativa sul congelamento delle plusvalenze latenti. Prima, per trasferire la sede fuori dall’Italia, era necessario pagare subito le tasse sulle plusvalenze che la vendita degli asset della società avrebbe generato. Dallo scorso anno la tassazione è differita nel tempo e viene rimandata al momento della cessione vera e propria dell’asset. Liberi tutti. E Marchionne e gli Agnelli non hanno perso tempo per portare una parte del loro gruppo lontano dai controlli degli ispettori del Fisco italiano.
La richiesta di ritiro delle procedure di mobilità presentata a Torino dalle sigle che hanno firmato il contratto di gruppo rifiutato dalla Fiom. Bonanni (Cisl): “Le sentenze si rispettano o il paese va allo sbando”
TORINO – “Fiat è oggi il peggiore ambasciatore che l’Italia può avere nel mondo”. Un giudizio durissimo, senza appello, quello pronunciato dal segretario generale della Cgil, Susanna Camusso, ospite di ‘Che tempo che fa’. Ma contro la scelta del Lingotto di avviare il licenziamento di 19 operai a Pomigliano per assumere altrettanti iscritti alla Fiom come chiesto dalla Corte d’appello di Roma oggi intervengono anche gli altri sindacati, quelli che hanno firmato il contratto di gruppo rifiutato dalla Fiom.
Fim, Uilm, Fismic, Ugl e Associazione Quadri hanno chiesto alla Fiat il ritiro della procedura di mobilità aperta per i 19 lavoratori di Pomigliano e la convocazione di un incontro urgente tra azienda e sindacati. Lo hanno fatto all’Unione Industriale di Torino in occasione della riunione sul contratto del gruppo.
La richiesta arriva dalle sigle sindacali che, a differenza della Fiom, hanno sottoscritto il contratto aziendale che ha sancito di fatto l’esclusione della Cgil dall’attività sindacale negli stabilimenti del gruppo e la conseguente guerra a colpi di ricorsi in molti tribunali d’Italia fra la Fiom e il Lingotto.
Divisi sull’accordo fondamentale per il piano di Sergio Marchionne, i sindacati ritrovano dunque un minimo di unità sulla vertenza campana dove la Fip (Fabbrica Italia Pomigliano) ha annunciato la messa in mobilità di 19 operai 1 dopo che la giustizia ordinaria aveva imposto la riassunzione di 145 operai con tessera Fiom esclusi nel passaggio alla newco.
“Entro oggi Fiat dovrebbe dirci la data dell’incontro che abbiamo chiesto, in seguito all’annuncio della mobilità per 19 operai a Pomigliano”, ha detto Ferdinando Uliano, responsabile auto della Fim. “In apertura dell’incontro, abbiamo formulato la nostra contrarietà sulla decisione dell’azienda, per rispettare la sentenza del tribunale di Roma. Per noi è una decisione profondamente sbagliata, anche alla luce degli accordi che abbiamo preso nel luglio 2011 con l’azienda, che prevedono la riassunzione di tutti gli operai entro luglio 2013”.
Già in mattinata, il segretario generale della Cisl, Raffaele Bonanni, aveva messo in guardia l’azienda sul rispetto delle pronunce dei giudici del lavoro: “O la Fiat ritira i 19 licenziamenti a pomigliano o faremo ricorsi – ha detto Bonanni – . Le sentenze si rispettano e non si discutono. O le sentenze vengono rispettate o il paese va allo sbando”.