Con strategia della tensione ci si riferisce ad una teoria interpretativa che accomuna in un unico disegno politico l’insieme delle stragi e degli attentati terroristici avvenuti in Italia nei decenni successivi alla vittoria alleata della seconda guerra mondiale, con particolare intensità tra il 1969 e il 1984 ma anche – in misura minore – nei decenni successivi. Alcune fonti individuano nell’attentato di Piazza Fontana l’atto iniziale del dispiegarsi, in Italia, della strategia della tensione. La “strategia della tensione” mantiene uno stretto legame con il fenomeno generale del terrorismo di stato e indica la partecipazione nascosta (o il benestare) di settori dello Stato in azioni terroristiche ai danni del proprio popolo.
L’espressione è stata ripresa dalla traduzione letterale dell’inglese strategy of tension, utilizzata dal settimanale The Observer in un articolo del dicembre 1969, per definire la politica degli Stati Uniti, con il fattivo appoggio del regime militare greco, tesa a destabilizzare i governi democratici delle nazioni con particolare valenza strategica nell’area mediterranea, nella fattispecie Italia e Turchia, attraverso una serie di atti terroristici, allo scopo di favorire l’instaurazione di dittature militari.
Rispetto alla congerie di azioni violente che hanno caratterizzato la cronaca politica italiana degli ultimi trent’anni, si inscrive nella strategia della tensione il periodico verificarsi di stragi od attentati privi di rivendicazione, tendenzialmente compiuti con esplosivi in luoghi pubblici o mezzi di locomozione di massa:
Il 1 maggio 1947 a Portella della Ginestra avvenne una strage collocata storicamente solo di recente nella Strategia della tensione. Morirono 11 persone e 27 feriti.
Nel corso del 1969 vennero compiuti degli attentati considerati prodromi di quelli del 12 dicembre: bombe del 25 aprile 1969 e attentati ai treni dell’estate 1969.
Il 12 dicembre 1969 avvenne un attentato a Milano, la strage di Piazza Fontana; morirono 17 persone e 88 furono ferite.
Il 22 luglio 1970 un treno deraglia sui binari sabotati precedentemente da una bomba nei pressi della stazione di Gioia Tauro. La strage di Gioia Tauro; morirono 6 persone e 66 furono ferite.
Il 17 maggio 1973 avvenne la strage della Questura di Milano, in cui morirono 4 persone e altre 46 rimasero ferite.
Il 28 maggio 1974 avvenne la strage di Piazza della Loggia, a Brescia, in cui morirono 8 persone e altre 102 rimasero ferite.
Il 4 agosto 1974 avvenne l’attentato al treno Italicus a San Benedetto Val di Sambro, in provincia di Bologna, in cui morirono 12 persone e altre 105 rimasero ferite.
Il 2 agosto 1980 avvenne la strage di Bologna, in cui morirono 85 persone e furono ferite oltre 200 (tuttavia non tutti indicano questo episodio come parte della strategia della tensione. Esiste ad esempio una pista che indica il terrorismo palestinese colpevole della strage come ritorsione per la rottura del cosiddetto “Lodo Moro” La pista segreta).
Il 23 dicembre 1984, antivigilia di Natale, avvenne l’attentato al treno rapido 904, ancora a San Benedetto Val di Sambro, in cui 17 persone persero la vita e oltre 260 rimasero ferite.
Le condanne definitive per tali stragi sono poche:
Per la strage della Questura di Milano l’anarchico Gianfranco Bertoli, arrestato in flagranza di reato;
Per la strage di Bologna i neofascisti Giuseppe Valerio Fioravanti, Francesca Mambro e Luigi Ciavardini;
Per la strage del rapido 904 un gruppo di fuoco composto da mafiosi, camorristi e Banda della Magliana.
All’inizio degli anni novanta il giudice per le indagini preliminari di Savona Fiorenza Giorgi, nel decreto di archiviazione relativo ad un’indagine su alcune bombe esplose in città tra il 1974 ed il 1975, compie un’analisi degli attentati avvenuti nella prima fase della strategia della tensione, in cui, tra le altre cose, cita le coperture garantite dai servizi italiani ad alcune azioni terroristiche ed all’operato di personaggi come Junio Valerio Borghese. Secondo quanto riportato dal giudice:
« Dal 1969 al 1975 si contano 4.584 attentati, l’83 percento dei quali di chiara impronta della destra eversiva (cui si addebitano ben 113 morti, di cui 50 vittime delle stragi e 351 feriti), la protezione dei servizi segreti verso i movimenti eversivi appare sempre più plateale. »
Salvatore Giuliano (Montelepre, 22 novembre 1922 – Castelvetrano, 5 luglio 1950) è stato un bandito e criminale italiano. Per alcuni mesi sfruttò la copertura dell’EVIS, un gruppo di separatisti attivo principalmente a partire dalla fine della seconda guerra mondiale per le sue azioni criminose[1].
Il padre, suo omonimo, costretto ad emigrare negli Stati Uniti, a più riprese riuscì a comprare diversi pezzi di terra nei dintorni del paese. Infine rimpatriò, proprio nell’anno di nascita di Salvatore,[2] per occuparsi della loro coltivazione.
Il giovane Salvatore, finite le elementari, andò ad aiutare il padre. In verità avrebbe preferito il commercio, ma non si sottraeva al suo dovere anzi trovava il tempo per continuare gli studi. Spesso finito il lavoro, andava dal prete del paese o da un suo ex insegnante.
Fu una figura molto controversa: di umili origini, la sua latitanza inizia nel 1943 quando, fermato ad un posto di blocco mentre trasporta due sacchi di frumento (80 kg) caricati su un cavallo, gli vengono sequestrati cavallo e frumento e, lasciato solo, tenta di allontanarsi, ma i militari gli sparano sei colpi di moschetto. Due proiettili lo colpiscono al fianco destro. Un militare gli si avvicina per dargli il colpo di grazia. Salvatore Giuliano reagisce uccidendo il giovane carabiniere con un colpo di pistola, e si dà alla macchia. Presto costituì una banda intorno alle montagne di Montelepre.
Dalla fine del 1945 le sue imprese ebbero per qualche mese una natura politica di ispirazione separatistica, grazie ai contatti inizialmente con il Movimento Indipendentista Siciliano (MIS), entrando, nella sua organizzazione paramilitare l’E.V.I.S. (Esercito Volontario per la Indipendenza Siciliana) fondato da Antonio Canepa, del quale fu nominato “colonnello”. Fu il successore di Canepa, Concetto Gallo, a portare nel dicembre del 1945 Giuliano nell’EVIS,. L’E.V.I.S. si sciolse nei primi mesi del’46. Molti membri delle forze dell’ordine caddero in agguati ad opera degli uomini di Giuliano, in imboscate e assalti alle caserme dei carabinieri di Bellolampo, Pioppo, Montelepre e Borgetto, alcune delle quali furono anche occupate [1]. Fu costituito per contrastarlo l’Ispettorato generale di polizia in Sicilia, ma con scarso successo. Nel gennaio 1946 fu addirittura attaccata la sede della Radio di Palermo [3].
Il M.I.S. nel 1946 decise di entrare nella legalità e di partecipare alle elezioni per l’Assemblea Costituente. Il separatismo scemò con il riconoscimento dello Statuto speciale siciliano conferito da Re Umberto II alla Sicilia nel maggio 1946, 17 giorni prima del referendum che trasformerà l’Italia in Repubblica, e divenne parte integrante della Costituzione Italiana (legge costituzionale n° 2 del 26/02/1948). Con l’amnistia del 1946 per i reati politici, i separatisti lasciarono la banda e Giuliano continuò la lotta con coloro che avevano reati comuni. Le imprese di Giuliano, da allora, furono trasmesse all’opinione pubblica come veri e propri atti di criminalità comune, di “brigantaggio”, compresi i sequestri.
Gaspare Pisciotta e Salvatore Giuliano
Fu accusato della strage di Portella della Ginestra del 1º maggio 1947, presso Piana degli Albanesi (PA), dove duemila lavoratori, in prevalenza contadini, si erano riuniti per manifestare contro il latifondismo ed a favore dell’occupazione delle terre incolte, oltre che per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell’anno e nelle quali il Blocco del Popolo, la coalizione PSI – PCI aveva conquistato 29 rappresentanti su 90 (con il 29% circa dei voti). L’eccidio causò 11 morti e 27 feriti.
Una seconda strage, quella di Bellolampo-Passo di Rigano ad opera di Giuliano avvenne il 19 agosto 1949 nella quale persero la vita sette carabinieri e 11 rimasero feriti [4], tra cui il colonnello Ugo Luca. Pochi giorni dopo fu decisa la costituzione del Comando forze repressione banditismo, con Luca al comando.
Operò ancora per diverso tempo in contesti sempre più ristretti, prima di essere ucciso, ufficialmente in uno scontro con i carabinieri del “Comando forze repressione banditismo” del colonnello Ugo Luca guidati dal capitano Perenze, nel cortile dell’avvocato De Maria in via Mannone a Castelvetrano (TP) il 5 luglio 1950, dove era andato, attratto dal suo luogotenente, il cugino Gaspare Pisciotta, che avrebbe dovuto farlo imbarcare su un sommergibile USA per farlo riparare negli Stati Uniti. Sulla sua morte subito apparvero diverse incongruenze della versione degli inquirenti.
Nel 1950 il giornalista de L’Europeo pubblica un’inchiesta sull’uccisione di Giuliano dal titolo Di sicuro c’è solo che è morto[5], nella quale smentisce la versione ufficiale del fatto e indica come assassino di Giuliano, Gaspare Pisciotta.
Gaspare Pisciotta sosteneva di aver raggiunto un accordo con il colonnello Ugo Luca, comandante delle forze antibanditismo in Sicilia, di collaborare e uccidere Giuliano, a condizione che non fosse condannato e che Luca fosse intervenuto in suo favore qualora fosse stato arrestato. Il colonnello Luca sarebbe stato autorizzato a accettare tale accordo dal Ministro dell’Interno Mario Scelba[senza fonte].
Al processo per il massacro di Portella della Ginestra, Pisciotta dichiaro’: “Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: il deputato DC Bernardo Mattarella, il principe Alliata, l’onorevole monarchico Marchesano e anche il signor Scelba… Furono Marchesano, il principe Alliata, l’onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra… Prima del massacro incontrarono Giuliano… Ciò nonostante Mattarella, Alliata e Marchesano, in un processo sul loro supposto ruolo nell’evento, furono dichiarati innocenti dalla Corte di Appello di Palermo. Durante il processo Pisciotta non poté confermare le accuse presenti nella documentazione di Giuliano nella quale questi nominava il Governo Italiano, gli alti ufficiali dei Carabinieri e i mafiosi coinvolti nella sua banda. E ancora: “Servimmo con lealtà e disinteresse i separatisti, i monarchici, i democristiani e tutti gli appartenenti a tali partiti che sono a Roma con alte cariche, mentre noi siamo stati scaricati in carcere. Banditi, mafiosi e carabinieri eravamo la stessa cosa”[6].
Pisciotta fu poi avvelenato nel carcere dell’Ucciardone, con un caffè alla stricnina, prima di rendere la sua testimonianza sulla strage di Portella della Ginestra al procuratore Pietro Scaglione (che verrà assassinato dalla Mafia nel 1971).
« L’attestato di benemerenza rilasciato al separatista Gaspare Pisciotta a firma del ministro Mario ScelbaIl nominato Gaspare Pisciotta di Salvatore e di Lombardo Rosalia, nato a Montelepre il 5 marzo 1924, raffigurato nella fotografia in calce al presente, si sta attivamente adoperando – come da formale assicurazione fornitami nel mio ufficio in data 24 giugno c. dal colonnello Luca – per restituire alla zona di Montelepre e comuni vicini la tranquillità e la concordia, cooperando per il totale ripristino della legge. Assicuro e garantisco fin d’ora che la sua preziosa ed apprezzata opera sarà tenuta nella massima considerazione anche per l’avvenire e verrà da me segnalata alla competente Autorità Giudiziaria perché – anche sulla base delle giustificazioni e dei chiarimenti che egli fornirà – voglia riesaminare quanto gli è stato addebitato, vagliando attentamente e minuziosamente tutte le circostanze dei vari episodi, al fine che nulla sia trascurato per porre in chiara luce ogni elemento a lui favorevole. Il Col. Luca, unico mio fiduciario, raccoglierà intanto ogni dato utile al riesame della sua posizione, tenendomi informato dei risultati conseguiti.
Il Ministro Mario Scelba.[7] » |
Sulla morte di Giuliano esistono almeno cinque differenti versioni[senza fonte] ed il segreto di stato fino al 2016[8]. Alcuni, come lo storico Giuseppe Casarubea addirittura sostengono che il Giuliano morto in Sicilia fosse in realtà il fratello o un sosia[9], e che il vero Salvatore fu fatto fuggire all’estero oppure divenne latitante e fu ucciso solo alcuni anni più tardi, in un bar di Napoli, con un caffè al cianuro[senza fonte].
Secondo un’ultima ipotesi, al posto del bandito fu ucciso, forse intenzionalmente, un suo sosia, per essere poi tumulato al suo posto. Due studiosi siciliani, Giuseppe Casarrubea e Mario J. Cereghino, hanno chiesto alla Procura di Palermo di riaprire la bara tumulata nella cappella della famiglia Giuliano a Montelepre (Palermo) per accertarne l’identità; la riesumazione è avvenuta il 28 ottobre 2010[10]; ipotizzata anche la riesumazione dei genitori per analisi di tipo genetico. Intanto si è scoperto che il fascicolo con i risultati dell’autopsia sul bandito è sparito[11].
La scena del ritrovamento del cadavere di Salvatore Giuliano a Castelvetrano dall’omonimo film di Francesco Rosi (1962)
Portella della Ginestra (Purtelja së Jinestrës in albanese) è una località montana situata a 3 km circa da Piana degli Albanesi, al cui territorio appartiene, in provincia di Palermo.
Prende il nome dai fiori selvatici che vi sbocciano in abbondanza in primavera, ed è purtroppo nota per essere stata teatro il 1º maggio 1947 della prima strage dell’Italia repubblicana. Sul luogo della tragedia ora sorge un Memoriale (Përmendorja in lingua albanese), opera dell’artista Ettore de Conciliis, costituito da numerose iscrizioni incise su pietre locali di grandi dimensioni, poste attorno al “Sasso di Barbato“, che prende il nome per l’appunto dall’arbëreshë di Piana degli Albanesi Nicola Barbato, socialista, fra i fondatori dei Fasci Siciliani dei Lavoratori. Coordinate: 37°58′34″N 13°15′20″E (Mappa)
Eccidio di Portella della Ginestra | |
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Fu identificato Salvatore Giuliano come l’esecutore della strage di P. della Ginestra |
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Stato | Italia |
Luogo | Piana degli Albanesi |
Obiettivo | Portella della Ginestra |
Data | 1º maggio 1947 10:15 |
Tipo | Massacro |
Morti | 11 |
Feriti | 27 |
Sospetti | Salvatore Giuliano e la sua banda |
Motivazione | Politica |
Il 1º maggio 1947, nell’immediato dopoguerra, si tornava a festeggiare la festa dei lavoratori, spostata al 21 aprile Natale di Roma durante il regime fascista. Circa duemila lavoratori della zona di Piana degli Albanesi, in prevalenza contadini, si riunirono nella vallata di Portella della Ginestra per manifestare contro il latifondismo, a favore dell’occupazione delle terre incolte, e per festeggiare la vittoria del Blocco del Popolo nelle recenti elezioni per l’Assemblea Regionale Siciliana, svoltesi il 20 aprile di quell’anno e nelle quali la coalizione PSI – PCI aveva conquistato 29 rappresentanti (con il 29% circa dei voti) contro i soli 21 della DC (crollata al 20% circa).
Sulla gente in festa partirono dalle colline circostanti numerose raffiche di mitra che lasciarono sul terreno, secondo le fonti ufficiali, 11 morti (9 adulti e 2 bambini) e 27 feriti, di cui alcuni morirono in seguito per le ferite riportate. La CGIL proclamò lo sciopero generale, accusando i latifondisti siciliani di voler “soffocare nel sangue le organizzazioni dei lavoratori”[1].
Solo quattro mesi dopo si seppe che a sparare materialmente erano stati gli uomini del bandito separatista Salvatore Giuliano, colonnello dell’E.V.I.S.. Il rapporto dei carabinieri sulla strage faceva chiaramente riferimento ad “elementi reazionari in combutta con i mafiosi“.
Nel 1949 Giuliano scrisse una lettera ai giornali, in cui affermava lo scopo politico della strage. Questa tesi fu smentita dall’allora ministro degli Interni Mario Scelba. Nel 1950, il bandito Giuliano fu assassinato dal suo luogotenente Gaspare Pisciotta, il quale morì avvelenato in carcere quattro anni più tardi, dopo aver affermato di voler rivelare i nomi dei mandanti della strage. Attualmente vi sono forti dubbi che Pisciotta fosse l’autore dell’omicidio, come è stato fatto osservare nella trasmissione Blu notte ed emerge dal lavoro di Alberto Di Pisa e Salvatore Parlagreco[2]. L’episodio, che resta ancora oscuro, porta i segni della collusioni fra la mafia e le forze reazionarie dell’isola.
Queste le 11 vittime, così come riportate dalla pietra incisa posta sul luogo del massacro:
Rimasero gravemente ferite 27 persone.
Sul movente dell’eccidio furono formulate alcune ipotesi già all’indomani della tragedia. Il 2 maggio 1947 il ministro Scelba intervenne all’Assemblea Costituente, affermando che dietro all’episodio non vi era alcuna finalità politica o terroristica, ma che doveva essere considerato un fatto circoscritto, e identificò in Salvatore Giuliano e nella sua banda gli unici responsabili. Il processo del 1951, dapprima istruito a Palermo, poi spostato a Viterbo per legittima suspicione, si concluse con la conferma di questa tesi, con il riconoscimento della colpevolezza di Salvatore Giuliano (morto il 5 luglio 1950, ufficialmente per mano del capitano Antonio Perenze) e con la condanna all’ergastolo di Gaspare Pisciotta e di altri componenti la banda. Pisciotta durante il processo, oltre ad attribuirsi l’assassinio di Giuliano, lanciò pesanti accuse sui presunti mandanti politici della strage[3].
« Coloro che ci avevano fatto le promesse si chiamavano così: L’onorevole deputato democristiano on. Bernardo Mattarella,l’onorevole deputato regionale Giacomo Cusumano Geloso, il principe Giovanni Alliata di Montereale, l’onorevole monarchico Tommaso Leone Marchesano e anche il signor Scelba. Furono Marchesano, il principe Alliata, l’onorevole Mattarella a ordinare la strage di Portella della Ginestra. Dopo le elezioni del 18 aprile 1948, Giuliano mi ha mandato a chiamare e ci siamo incontrati con Mattarella e Cusumano; l’incontro tra noi e i due mandanti è avvenuto in contrada Parrino, dove Giuliano ha chiesto che le promesse fatte prima del 18 aprile fossero mantenute. I due tornarono allora da Roma e ci hanno fatto sapere che Scelba non era d’accordo con loro, che egli non voleva avere contatti con i banditi. »
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La seconda ipotesi fu quella sostenuta da Girolamo Li Causi in sede parlamentare, dalle forze di sinistra e dalla CGIL, secondo la quale il bandito Giuliano era solo l’esecutore del massacro: i mandanti, gli agrari e i mafiosi, avevano voluto lanciare un preciso messaggio politico all’indomani della vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni regionali[4].
In seguito ai riscontri emersi dal processo, diversi parlamentari socialisti e comunisti denunciarono i rapporti tra esponenti delle istituzioni, mafia e banditi. Intervenendo alla seduta della Camera dei deputati del 26 ottobre 1951, lo stesso Li Causi affermava:
« Tutti sanno che i miei colloqui col bandito Giuliano sono stati pubblici e che preferivo parlargli da Portella della Ginestra nell’anniversario della strage. Nel 1949 dissi al bandito: “ma lo capisci che Scelba ti farà ammazzare? Perché non ti affidi alla giustizia, perché continui ad ammazzare i carabinieri che sono figli del popolo come te?”. Risposta autografa di Giuliano, allegata agli atti del processo di Viterbo: “Lo so che Scelba vuol farmi uccidere perché lo tengo nell’incubo di fargli gravare grandi responsabilità che possono distruggere la sua carriera politica e finirne la vita”. È Giuliano che parla. Il nome di Scelba circolava tra i banditi e Pisciotta ha preteso, per l’attestato di benemerenza, la firma di Scelba; questo nome doveva essere smerciato fra i banditi, da quegli uomini politici che hanno dato malleverie a Giuliano. C’è chi ha detto a Giuliano: sta tranquillo perché Scelba è con noi; Tanto è vero che Luca portava seco Pisciotta a Roma, non a Partinico, e poi magari ammiccava: hai visto che a Roma sono d’accordo con noi? »
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In tempi più prossimi la tesi delle collusioni ad altissimo livello, fino al capolinea del Quirinale, è stata assunta e rilanciata da Sandro Provvisionato, in Misteri d’Italia (Laterza 1994), e da Carlo Ruta, il quale nel prologo de Il binomio Giuliano Scelba (Rubbettino 1995) scrive:
« Sugli scenari che si aprirono con Portella della Ginestra, alcuni quesiti rimangono aperti ancora oggi: fino a che punto quegli eventi tragici videro realmente delle correità di Stato? E quali furono al riguardo le effettive responsabilità, dirette e indirette, di taluni personaggi chiamati in causa per nome dai banditi e da altri? Fra l’oggi e quei lontani avvenimenti vige, a ben vedere, un preciso nesso. Nel pianoro di Portella venne forgiato infatti un peculiare concetto della politica che giunge in sostanza sino a noi. »
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Una tesi più grave, recente, attribuisce invece la strage ad una coincidenza di interessi tra i post-fascisti che durante la guerra avevano combattuto nella Xª Flottiglia MAS di Junio Valerio Borghese, i servizi segreti USA (preoccupati dell’avanzata social-comunista in Italia) ed i latifondisti siciliani[5].
« I rapporti desecretati dell’ OSS e del CIC (i servizi segreti statunitensi della Seconda guerra mondiale), che provano l’esistenza di un patto scellerato in Sicilia tra la cosiddetta “banda Giuliano” e elementi già nel fascismo di Salò (in primis, la Decima Mas di Junio Valerio Borghese e la rete eversiva del principe Pignatelli nel meridione) sono il risultato di una ricerca promossa e realizzata negli ultimi anni da Nicola Tranfaglia[6] (Università di Torino), dal ricercatore indipendente Mario J. Cereghino e da chi scrive[7]. »
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« Il Giuliano allora si è avvicinato a me chiedendomi dove fosse mio fratello. Ho risposto che si trovava in paese con un foruncolo. Egli allora mi ha detto: ‘E’ venuta la nostra liberazione’. Io ho chiesto: -E qual è?- Ed egli di rimando mi disse: ‘Bisogna fare un’azione contro i comunisti: bisogna andare a sparare contro di loro, il 1º maggio a Portella della Ginestra. Io ho risposto dicendo che era un’azione indegna, trattandosi di una festa popolare alla quale avrebbero preso parte donne e bambini ed aggiunsi: ‘Non devi prendertela contro le donne ed i bambini, devi prendertela contro Li Causi[8] e gli altri capoccia’ »
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(Dichiarazione di Gaspare Pisciotta)
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Non fu mai possibile dimostrare la veridicità di questo scenario, tramite testimonianza diretta, perché Giuliano fu ucciso ufficialmente in uno scontro a fuoco con i carabinieri a Castelvetrano nel 1950. Il probabile assassino, il suo luogotenente e cugino, Gaspare Pisciotta, venne a sua volta ucciso nel 1954, avvelenato in carcere con della stricnina nel caffè, dopo aver preannunciato rivelazioni sulla strage. Sosteneva di aver ucciso Giuliano dietro istruzioni del Ministro dell’Interno Mario Scelba e di aver raggiunto un accordo con il colonnello Ugo Luca, comandante delle forze anti banditismo in Sicilia, di collaborare, a condizione che non fosse condannato e che Luca sarebbe intervenuto in suo favore qualora fosse stato arrestato.
« Il nominato Gaspare Pisciotta di Salvatore e di Lombardo Rosalia, nato a Montelepre il 5 marzo 1924, raffigurato nella fotografia in calce al presente, si sta attivamente adoperando – come da formale assicurazione fornitami nel mio ufficio in data 24 giugno c. dal colonnello Luca – per restituire alla zona di Montelepre e comuni vicini la tranquillità e la concordia, cooperando per il totale ripristino della legge. »
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(stralcio dell’attestato di benemerenza rilasciato al bandito Gaspare Pisciotta a firma del ministro Mario Scelba)
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« Una strage [nazionale] che parla albanese. »
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(I sopravvissuti alla strage di Portella della Ginestra[9])
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Il Memoriale di Portella delle Ginestre (Përmendorja e Purteles së Jinestrës) è una originale sistemazione naturale-monumentale del luogo, situato nella contrada omonima di Piana degli Albanesi. La sistemazione monumentale di Portella della Ginestra è un’opera di land art (arte della terra, del territorio) di cui vi sono altri svariati esempi nel mondo. Il Memoriale è stato progettato e realizzato tra il 1979–1980 da Ettore de Conciliis, pittore e scultore, con la collaborazione del pittore Rocco Falciano e dell’architetto Giorgio Stockel.
L’opera, a carattere non effimero né ideologico, è stata immersa nella natura e nel paesaggio per evitare di chiudere la memoria della strage in un blocco architettonico o in un chiuso gruppo di figure. Andando oltre le sistemazioni monumentali concepite in modo più tradizionale, l’artista ha tentato di imprimere un gigantesco e perenne segno della memoria sul pianoro sassoso di Portella della Ginestra. Un muro a secco fiancheggiato da una tipica trazzera, per una lunghezza di circa 40 metri, taglia la terra, come una ferita, nella direzione degli spari. Tutt’intorno, per un’area di circa un chilometro quadrato, dove vi furono i caduti del 1º maggio 1947, si innalzano grandi massi in pietra locale, alti da 2 a 6 metri, cavati sul posto della pietraia. Uno di essi è il masso di Nicola Barbato, da dove il prestigioso dirigente Arbëreshë dei Fasci Siciliani dei Lavoratori era solito parlare alla sua gente. Altri figurano sinteticamente corpi, facce e forme di animali caduti. In altri due sono rispettivamente incisi i nomi dei caduti e una poesia. Una nuova opera di Ettore de Conciliis prevede un altro grande masso, sempre in pietra locale, con incisa una poesia in lingua albanese.
Memorial, la principale organizzazione per la difesa dei diritti umani in Russia, era fra i favoriti della vigilia per il Nobel per la pace. Commentando a caldo la decisione del Comitato Nobel di Oslo, le attiviste Lyudmila Alexeyeva e Svetlana Gannushkina hanno detto che il riconoscimento all’Unione europea è come premiare il nulla:
“È una ben strana decisione secondo me – dice Gannushkina – perché l’Unione europea è un’enorme struttura di governo, una struttura burocratica, non è chiaro chi possa impersonificarla. Ma spero che il premio sia di stimolo all’Unione e agli amministratori che ci lavorano e che a volte sembrano dormire. L’Europa invecchia, spero che tutto ciò contribuisca a ringiovanirla”.
Secondo Alexeeva, che presiede il Gruppo Helsinki di Mosca ed è la più famosa ex dissidente russa, altre organizzazioni avrebbero avuto maggiore bisogno di ricevere il Nobel e la sua consistente dotazione in denaro. Come l’ong russa Memorial, appunto, fondata per salvaguardare il ricordo delle vittime della repressione.
El tenor veracruzano Javier Camerena participa en esta nueva adaptación de la ópera clásica de Rossini; se presenta el 14, 16, 18 y 21 de octubre