Gli esponenti di giunte militari e dei servizi di sicurezza di Bolivia, Cile, Perù e Uruguay saranno processati il 12 febbraio prossimo dalla corte d’assise. Sono accusati, a vario titolo, della scomparsa e della morte di 23 cittadini di origine italiana avvenuta tra il 1973 e 1978. La chiusura dell’inchiesta risale a tre anni, le indagini sono durate circa dieci anni.
ROMA – Ventuno sudamericani, tra ex alti militari, ex ministri e ex Capi di Stato, di nazionalità boliviana, peruviana, cilena e uruguayana, saranno processati il 12 febbraio prossimo dalla corte d’assise di Roma per omicidio e sequestro di persona in relazione alla scomparsa e all’uccisione di ventitre cittadini italiani, avvenuta tra il 1973 e 1978, nell’ambito della cosiddetta ‘Operazione Condor’, l’accordo di cooperazione portato avanti dalle dittature di sette paesi e finalizzato all’eliminazione di qualunque oppositore al regime (sindacalisti, intellettuali, studenti, operai e esponenti di sinistra). Le procedure per mettere in atto questo piano furono di volta in volta diverse, tutte però con in comune il ricorso sistematico alla tortura e all’omicidio degli oppositori politici. Spesso ambasciatori, politici o dissidenti rifugiati all’estero furono assassinati anche oltre i confini dell’America Latina.
Il gup di Roma ha disposto ‘il non luogo a procedere’ a carico di tre imputati, perché deceduti nel frattempo. Tra questi anche Odlanier Mena Salinas che lo scorso anno si è tolto la vita nella sua abitazione di Las Condes in Cile, durante un permesso dal carcere per militari in cui era detenuto dal 2009. La posizione di altri nove è stata invece stralciata in quanto già processati e condannati definitivamente nei loro Paesi, con trasmissione degli atti al ministero della Giustizia affinché valuti se debbano o meno essere giudicati in Italia. In relazione alla posizione di altri quattro, il giudice ha infine disposto l’acquisizione delle pronunce all’estero dei primi due gradi di giudizio per capire se si tratti degli stessi fatti contestati a Roma.
Uno dei legali di parte civile ha spiegato: “Voglio ricordare in questa occasione una frase di Maria Paz Venturelli, figlia del sacerdote ucciso. Lei diceva, ‘la mia vita è stata segnata dalla mancanza di mio padre, della mancanza di una tomba dove piangerlo, della mancanza della verità. Dal processo attendo questa verità per poter acquistare una nuova vita, piena e serena’”. Per il penalista Luca Milani, che assiste alcuni imputati uruguayani insieme all’avvocato Samanta Salucci, “il provvedimento del giudice Arturi è di buon senso e giusto garantismo, a fronte di sentenze depositate che documentano condanne già inflitte da altri Paesi per gli stessi fatti. Accogliamo con soddisfazione il riconosciuto difetto di procedibilità, per il reato di strage nei confronti di tutti gli imputati. Nel merito occorrerà valutare ogni singola posizione rispetto ai fatti contestati”.