Il mitico sketch del Sarchiapone di Walter Chiari nella migliore versione… quella Rai dallo Show “L’Appuntamento” del 1974.
walter chiari
di Stefania Rossini
«Si dimenticava degli appuntamenti, non si presentava in teatri strapieni, ha bucato perfino la puntata finale di ‘Fantastico’. Era un randagio, un dissipatore: ed è morto povero». Parla Simone Annichiarico, il figlio del grande attore scomparso nel ’91
“Ma chiunque lo conoscesse lo era! Non si riusciva a non amarlo. Lui rapiva l’attenzione e gli affetti. Tutti sentivano che aveva un cuore grande e una testa libera da qualsiasi tipo di vincolo. Per questo lo perdonavano sempre”.
Di che cosa doveva essere perdonato?
“Delle fughe, delle assenze, di dare cento appuntamenti contemporanei e non rispettarli, di non presentarsi in teatri strapieni, di bucare addirittura l’ultima puntata di “Fantastico”: sgarbi imperdonabili nel mondo dello spettacolo. Ma appena chiedeva scusa, riconquistava il pubblico e gli amici. Mio padre era un trascinatore”.
Era anche un dissipatore, e lei nel libro non lo nasconde.
“Certo, di denaro, che sperperava a man bassa e distribuiva a chiunque ne avesse bisogno fino a morire povero, ma non di talento. Montanelli, che impazziva per lui, non si capacitava che non stesse in America al posto di Bob Hope, ma Walter faceva soltanto quello che gli piaceva davvero”.
Gli piacevano davvero anche le donne. Guardandoli con gli occhi di oggi come giudica i suoi tanti amori?
“Le donne lo corteggiavano e lui le ricambiava. Ma credo che ne abbia amato una sola: Lucia Bosè. Quando lei lo lasciò per Dominguín, iniziò la sua vita randagia”.
E tutte le altre? Marisa Maresca, Mina, Ava Gardner, sua madre Alida Chelli…
“Con Mina erano rimasti amici e si capisce anche dalla prefazione affettuosa che ha scritto per il mio libro. Con mia madre è stato un abbaglio: mai viste due persone tanto diverse. Le altre? Di una star italiana della passerella e del cinema, eterea come Audrey Hepburn e ancora vivente, mi raccontò stupefatto le porcate che gli aveva gridato durante l’amplesso. Un’altra, al tempo giovanissima e oggi famosa show girl, la lasciammo su un treno con la scusa di scendere a comprare i giornali. Io avevo 10 anni e ci facemmo un sacco di risate”.
Lei ha avuto anche dei vice-padri, Rocky Agusta e poi Pippo Baudo, a lungo conviventi con sua madre. Hanno svolto un ruolo di supplenza?
“Per fortuna non ci hanno neanche provato. Baudo, a cui resto molto affezionato, mi ha però salvato la vita scoprendo il mio talento nel disegno e obbligandomi a iscrivermi al liceo artistico e non, come avevo deciso, allo scientifico. Quando invece c’era Rocky ero molto piccolo e, più tardi, rivedendolo, qualcosa non tornava”.
Che cosa?
“Guardi, non sono certo di niente, ma Rocky somiglia in modo impressionante a mio padre. D’altra parte è nato proprio nel periodo in cui Marisa Maresca lo aveva lasciato per sposare Corrado Agusta. Da bambino non potevo farci caso, ma una decina di anni fa, mentre raccontava una barzelletta, mi sono detto: “Diavolo, i muscoli del viso, le movenze delle mani… sono quelli di papà””.
Quindi un fratello. Ne avete parlato?
“Sì, anche perché abbiamo notato entrambi che suo figlio ha la stessa voce di Walter Chiari. Rocky dice che è possibile, che ricorda che festa fosse per lui quando mio padre arrivava in visita a casa Agusta. Ma ci siamo fermati qui, è inutile scomodare il passato”.
Nel passato di Chiari c’è anche il clamoroso arresto per droga nel 1970, che lei considera un complotto. Non le sembra esagerato?
“Già, ma quei tre mesi gli hanno devastato la carriera. Non era mica come oggi che se uno va in carcere non se ne ricorda nessuno, come per Vasco Rossi. Quando ci penso sogno di tornare nel passato, come quelli di “Higlander”, e farla pagare a quei bastardi della Rai di allora che non gli hanno più dato la possibilità di fare il suo lavoro”.
Eppure ha avuto anche una seconda vita professionale a teatro. Tutti lo ricordano bravissimo in “Finale di partita” insieme a Renato Rascel.
“E’ vero, ma lui amava il teatro leggero, la tv. Era molto colto e si poteva permettere anche di odiare i testi intoccabili. Un giorno alzò gli occhi dalla lettura di Beckett e mi disse: “Questo qua scrive scemenze”. Doveva lavorare e accettava ruoli che non sentiva propri, però ogni tanto riusciva a far venir fuori il vero Chiari”.
Come?
“Per esempio, proprio durante una replica di “Finale di partita”, facendo in modo di cadere dal palco in mezzo alla platea, rialzarsi e fermarsi lì mezz’ora, improvvisando uno di quei suoi irresistibili monologhi che inchiodavano il pubblico e lo facevano finalmente divertire”.